fbpx
venerdì, Novembre 15, 2024

Conversazione sul tessile del futuro con Giulio Bonazzi di Aquafil

L'ad di Aquafil, leader mondiale nella produzione di componenti di nylon per l’arredo e la moda, è un imprenditore vicentino che da più di 20 anni si occupa di sostenibilità ed economia circolare. In un settore, il tessile, che solo ultimamente ha cominciato a interrogarsi sulle nocività del fast fashion

Cinzia Gubbini
Cinzia Gubbini
Giornalista professionista freelance ha lavorato per “il manifesto” e attualmente lavora in Rai dove ha collaborato con vari programmi tra cui Report, Indovina Chi Viene a Cena e Mi Manda Rai Tre.

Prima di tutto alzi la mano chi pensa che l’avanguardia del riciclo nel tessile passi per il comparto della moquette: probabilmente nessuno (se non i diretti interessati).

E ora alzi la mano chi sa che Roy C. Anderson, il padre putativo dell’azienda rigenerativa, fosse un produttore mondiale di moquette: gli amanti del genere certamente sì, come anche i frequentatori dei Ted, di cui Anderson è stato grande protagonista. Infine alzi la mano chi è stato nel 1998 sull’isola di Maui, alle Hawaii, in uno dei resort più esclusivi al mondo in compagnia di Bruce Willis e Michael Jordan (tra gli altri), in un’atmosfera carica di aspettative e dal sapore dell’”appuntamento con la storia”. Qui la mano possono alzarla davvero in pochi, pochissimi fortunati. Giulio Bonazzi, imprenditore vicentino, amministratore delegato di Aquafil, leader mondiale nella produzione di componenti di nylon per l’arredo e la moda, è tra questi.

Leggi anche: Servono più materiali e più studio, intervista a Giulio Bonazzi di Aquafil

La mission 20-20 di Anderson

Aquafil, che ha sede a Trento, nel ’98 era un piccolo, piccolissimo fornitore della Interface, l’azienda di Anderson. Eppure anche Bonazzi fu chiamato a contribuire al grande evento. “Il primo giorno, Anderson ci riunì in una stanzetta, che sembrava l’aula di un liceo, e ci fece un discorso molto chiaro: disse che avrebbe messo in piedi la ‘mission 20-20’ – racconta Bonazzi a EconomiaCircolare.com – e cioè che entro il 2020 sarebbe stato a capo di una azienda a impatto zero sul Pianeta: totalmente basata su materie prime riciclate, zero emissioni, zero spreco di acqua e utilizzo razionale di questo bene prezioso, energia solo da fonti rinnovabili, eccetera …T utti pensammo: è pazzo. Ma da lì, per ciascuno di noi, è cambiato il modo di vedere il nostro lavoro ed è cominciato un viaggio che continua ancora oggi”. Una scintilla.

Il 2020 è passato e certo Roy Anderson non poteva immaginare che sarebbe stato l’anno della pandemia globale. Forse neanche che la sua idea di creare aziende totalmente “rigenerative” e sostenibili aveva bisogno di un tempo addirittura più lungo e soprattutto non solo di alcuni grandi visionari, perché ci vuole anche una politica. Eppure il 2021, a parziale consolazione, è l’anno in cui l’Unione europea, che rappresenta una bella fetta di pianeta, ha deciso di puntare sulla costruzione di azioni che rendano il settore tessile sostenibile e circolare. Anche l’industria dei tessuti dovrà sprecare di meno, riutilizzare di più, mettere in campo tecnologie specifiche e design che assicurino un minor impatto ambientale.

Leggi anche: È ora di vestire circolare, l’Europa lancia la roadmap per il settore tessile

Un filo di nylon come nuovo

Giulio Bonazzi e la sua Aquafil arrivano al 2021 super corazzati, dopo vent’anni – da quel lontano 1998 alle Hawaii – passati a ragionare su come rendere la propria azienda un meccanismo il più possibile vicino al sogno di Anderson: produrre restituendo, poi, al Pianeta quel che è stato preso, integrando storie ed esperienze dai quattro angoli del globo. In sostanza Aquafil oggi è un’azienda leader nel riciclo del nylon: porti un avanzo di moquette, ne esce un nuovo filo che andrà a produrre un costume da bagno, porti un costume da bagno e ne esce un nuovo filo che potrà andare a costruire una corda da arrampicata (in realtà, come vedremo, il problema è esattamente cosa si può portare, e l’abbigliamento è il settore più complicato).

Può sembrare banale ma non lo è: ci sono voluti anni di studio e di investimenti per creare una tecnologia che prima non c’era. “La chiave – spiega Bonazzi – è stata riuscire a produrre una tecnologia che permetta di fare tutto questo in modo economico. Il nylon non è l’unico poliammide riciclabile, anche il poliestere lo è, ma al momento non esiste per quel materiale una tecnologia che ne permetta il riciclo in modo economico”.

La tecnologia giusta è soltanto un passaggio della potenziale rivoluzione che potrebbe ridurre l’impatto del nostro modo di usare il nylon. Ma prima di capire quali sono le grane che al momento non permettono la perfetta chiusura del cerchio è impossibile non chiedersi: ma il nylon, di per sé, non è un tessuto artificiale che nasce da un processo chimico per di più da fonte fossile (il petrolio)? Come può allora il nylon essere uno dei tessuti capofila dell’economia circolare?

Nylon e sostenibile

Bonazzi non è un tipo che si tira indietro. Guai ad esempio a chiamare il nylon riciclato “vergine”, benché un nylon depolimerizzato e riportato al suo stato di monomero (caprolattame) è di fatto come nuovo (e non è lo stesso per altri materiali che invece nel processo di riciclo diventano meno performanti degli “originali”, basta pensare alla carta): “Utilizzare la parola ‘vergine’ non va bene, bisogna fare anche un’ecologia della parola – dice Bonazzi – sia perché il nylon è un materiale che nasce da una materia prima fossile, sia perché il processo di depolimerizzazione prevede in ogni caso un impiego di energia e un processo chimico. Semplicemente – spiega – si tratta di materia prima riciclata”. E poterlo fare a un prezzo contenuto spalanca le porte a un futuro in cui lo stesso utilizzo di materie plastiche potrebbe cambiare di segno. Non a caso Aquafil continua nella sua opera di ricerca di sostenibilità: sia stabilendo patti con fornitori che assicurino attenzione nell’impiego di energia (per esempio nel trasporto), sia mettendo in pista nuovi studi che potrebbero un giorno portare al nylon di origine vegetale.

Si può fare sempre meglio: intanto però Aquafil è un buon posto dove andare a cercare cosa nella ambiziosa road map europea potrebbe andare storto, e quali sono i punti che vanno corretti nell’attuale produzione di tessile da arredamento e da abbigliamento per far sì che le nuove tecnologie possano esprimersi al meglio.

Leggi anche: Circolarità del settore tessile? Ecco perché servono norme europee

Il fine vita del prodotto

Una delle parole chiave è “fine vita”: dove va a finire un prodotto quando non serve più? Aquafil va a cercare, ad esempio, reti da pesca in tutto il mondo. E per quanto riguarda le moquette il suo quartier generale è a Phoenix, in Arizona, dove l’azienda ha uno specifico impianto di riciclo di tappeti. “Siamo andati in America perché lì la moquette è ancora prodotta in grande quantità con il filo di nylon. In Europa ad esempio non sarebbe stato possibile: qui da tempo la moquette in nylon è stata sostituita da quella in poliestere, più economica ma non riciclabile”. C’è quindi un fattore legato a quale materiale si decide di utilizzare, e anche su questo la road map europea dovrà prendere delle decisioni. Decisioni non facili perché inevitabilmente fare una scelta significherà avvantaggiare alcuni prodotti e penalizzarne altri. “C’è un gran movimento di lobby in questo momento, il settore del tessile guarda alla nuova impostazione europea con timore, ma se non verranno date indicazioni molto chiare rischierà di finire tutto in una bolla di sapone”, prevede Bonazzi.

Come è la situazione nel settore moda, al momento? In fondo, cosa c’è di più facile di riciclare una maglietta? “E invece è una cosa difficilissima – spiega Bonazzi – prima di tutto bisogna considerare che per l’attuale legislazione europea se un materiale è presente in un prodotto tessile in una misura inferiore al 10% non deve essere dichiarato”. Quindi, ad esempio: la maglietta è in cotone? Potrebbe esserlo solo al 90%. Poi c’è la questione delle cuciture: molto spesso il filo con cui è cucita una maglietta non è né di nylon né di cotone, ma di poliestere. Se qualcuno volesse fare una prova potrebbe tentare di tingere un pantalone di cotone bianco con il cotone nero, come è successo allo stesso presidente di Aquafil con un paio di pantaloni quasi nuovi ma rovinati da un incidente domestico. “La tintoria me li ha restituiti neri, tranne che per le cuciture, che erano in poliestere”, ricorda. E lo stesso è per le etichette: quelle indicazioni preziose e obbligatorie sono in genere stampate su tessuto di poliestere. Si tratta solo di alcuni esempi che fanno capire quanto sia difficile riciclare il tessile: anche una semplice maglietta è un mosaico di materiali diversi.

Leggi anche: Acquisti online post pandemia, cresce il quantitativo di packaging e crescono i rifiuti

L’ecodesign

Solo colpa delle aziende “cattive” che vogliono risparmiare? Le cose non sono così semplici: è lo stesso mercato che deve attrezzarsi, da un lato. E dall’altro le aziende produttrici del settore moda devono formare stilisti in grado di pensare i loro prodotti con un’attenzione alla sostenibilità: evitare le “mischie” (che non ha a che fare con il rugby ma con l’abitudine a utilizzare materiali composti da sostanze diverse), porre attenzione ai cucirini con cui si compongono le cuciture: di cosa sono fatti? Sono prodotti in modo sostenibile? Si possono riciclare? “Ma per poter far questo – puntualizza Bonazzi – prima ci deve essere un mercato in grado di fornire quel che serve: se lo stilista vuole fare un bel prodotto di colore arancione, deve esserci un cucirino sostenibile arancione”. Altrimenti parliamo del nulla.

Leggi anche: I centri del riuso, esempi concreti di economia circolare e solidale

Cosa vuol dire sostenibile per l’Europa?

L’Unione europea dovrà anche chiarire in modo inequivocabile cosa voglia dire “sostenibile”. Su cosa puntiamo? La riduzione dell’emissione di anidride carbonica (ad ora l’unico obiettivo chiaramente prefissato)? La riduzione del consumo di acqua? L’uso di coloranti? Il rilascio di microplastiche? Anche su quest’ultimo punto Aquafil avrebbe qualcosa da dire avendo sviluppato, insieme al Cnr, una tecnologia – al momento sui tavoli europei – che permette di misurare quanto un prodotto tessile disperda in microfibre, quelle microparticelle che invadono il mare e in parte derivano proprio dall’abbigliamento che, quando viene lavato in lavatrice, le disperde (per questo è consigliato usare cicli a freddo). Il loro filo di nylon non ne rilascia, ma va anche detto che è un filo continuo, quindi per sua stessa natura non ha questo genere di problema (a meno che non ci sia un’azienda che compra il filo di nylon e poi lo sottopone a trattamenti chimici, cosa al momento non vietata da alcuna legge).

Però spesso hanno questo problema i fili artificiali tagliati a fiocchi – una metodologia che li rende più simili a quelli “naturali” – e per questo più appetibili sul mercato. “Ci auguriamo che questa tecnologia un giorno diventi un marchio ISO (la certificazione di qualità, ndr)”, auspica Bonazzi. Anche qui, è questione di scelte. Ma è possibile misurare in modo onesto un tessuto “ecofriendly”? “Esistono delle metriche trasparenti, come l’LCA, lo studio dell’impatto ambientale lungo l’intero ciclo vita di un prodotto, o le normative ISO – assicura Bonazzi -: io sono convinto che un prodotto sostenibile sul lungo termine sia anche più economico, ma certo questa è una cultura che va incentivata”.

Leggi anche: Che fine fanno gli abiti usati? La seconda vita degli indumenti, tra riuso e riciclo

La tassazione

“Il punto centrale è senza dubbio l’obbligo di raccolta differenziata per il tessile – dice Bonazzi – che la road map europea fissa per alcune fibre al 2025. Ma cosa fare con quei tessuti che non sono riciclabili? Come incentivare la produzione di tessile riciclabile? Io sono convinto che occorra puntare su un “differential assestament”, che significa tassare di più quel che non è riciclabile e premiare invece, per esempio con uno sgravio sull’IVA, ciò che lo è. Inevitabile che questo sia il punto più controverso e su cui si scatenano interessi che occorre saper gestire. In California – racconta – il parlamento ha proposto alle aziende produttrici di tappeti di rendere trasparenti quali sono i costi ambientali dei propri prodotti. Ne è nata una discussione molto accesa che non si è ancora risolta”.

Leggi anche: L’Italia  è pronta per raccogliere i rifiuti tessili in maniera differenziata?

La competitività

La macchina europea sta iniziando a muoversi, anche se le priorità da stabilire sono ancora molte e così come le scelte da fare. Ma la ritrosia del mondo del tessile non è spiegabile anche con il timore che i nuovi standard dell’Ue potrebbero portare a una riduzione della competitività dei prodotti europei? “Il rischio esiste e va assolutamente evitato – dice Bonazzi – non dobbiamo fare come è accaduto con il REACH, il regolamento europeo sulle sostanze chimiche: da noi sono state vietate quelle pericolose per proteggere ambiente e salute, ma poi importiamo prodotti esteri che le utilizzano. In questo modo abbiamo soltanto esportato inquinamento, e non può certo essere questa la strada”. Un alltro elemento di cui tenere conto nella difficile strada della road map europea sul tessile.

Resta da fare una domanda a un imprenditore del tessile che punta tutto sulla sostenibilità: potremo un giorno non lontano immaginare di utilizzare soltanto tessuti riciclati? “È impossibile – replica l’amministratore delegato di Aquafil -: va considerato che la popolazione mondiale cresce e crescono i consumi, va considerato inoltre che non è possibile pensare di riciclare il 100% di quello che produciamo. Bisogna essere onesti e pragmatici. Ma anche seri: è possibile identificare quali sono sul mercato i prodotti che hanno una migliore contabilità ambientale, quelli cioè che impattano di meno sull’ambiente e puntano su quella strada”. Bisogna premiare chi lo fa, e scommettere sul fatto che, in questo modo, anche gli altri sceglieranno di imboccare questa strada, che è aperta a tutti.

Leggi anche: Tessuti naturali da fibre vegetali. Dalla banana all’ortica, l’abbigliamento che nasce dalle piante

© Riproduzione riservata

spot_img

POTREBBE INTERESSARTI

Ultime notizie