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venerdì, Novembre 15, 2024

“Termovalorizzatori sempre meno inquinanti, ma attenzione anche agli aspetti sociali”

Parliamo di termovalorizzatori ed inceneritori con Francesco Di Maria, professore di Ingegneria dell’Università di Perugia

Daniele Di Stefano
Daniele Di Stefano
Giornalista ambientale, un passato nell’associazionismo e nella ricerca non profit, collabora con diverse testate

Riduzione, anche grazie alle norme europee, delle emissioni inquinanti degli impianti. Aumento della loro efficienza energetica. CO2 legata alla combustione di fonti fossili evitata. Se insomma, per Francesco Di Maria – professore di Ingegneria dell’Università degli studi di Perugia ed esperto di rifiuti – gli inceneritori (o termovalorizzatori, che dir si voglia) sono utili e necessari (“in Italia ne servirebbero 7”) la loro sostenibilità dipende non solo da questioni tecniche ma anche da aspetti economici e sociali.

Professor Di Maria, ci sono ricerche su come gli impianti di incenerimento/termovalorizzazione sono migliorati negli anni sotto il profilo ambientale? Intendo riduzione delle emissioni ed efficienza nella produzione di energia.

Un documento ufficiale, quale il rapporto ISPRA sulle emissioni in aria “Informative inventory report – Italy 2021”, evidenzia come nel trentennio 1990-2019 a fronte di un incremento del quantitativo di rifiuti inceneriti, che è passato da circa 1,8 milioni di tonnellate del 1990 a circa 6 milioni del 2021,  si è avuto un forte calo del totale delle emissioni del settore incenerimento. Alcuni inquinanti come le diossine (vedi figura seguente) di fatto sono “scomparse”. Lo stesso vale, per esempio per i metalli pesanti. In alcuni casi le emissioni totali sono rimaste quasi invariate ma considerato il forte incremento dei quantitativi di rifiuti inceneriti questo vuol dire un forte calo delle emissioni per la singola tonnellata incenerita.

Anche il rendimento ha subito forti aumenti negli anni. I moderni impianti riescono a recuperare sotto forma di energia elettrica e di calore oltre l’85% del calore prodotto dalla combustione del rifiuto.

Tutto ciò è frutto di una politica Europea che a partire fino dai primi anni ’80 ha posto particolare attenzione all’impatto sull’ambiente dei diversi settori industriali incluso quello dell’incenerimento. A partire dal 1996 con la direttiva IPPC (Integrated Pollution Prevention and Control – in italiano, Prevenzione e Riduzione Integrate dell’Inquinamento: Direttiva 96/61/CE, ndr.) viene introdotto per legge il concetto delle BAT (best available technology), ovvero delle migliori tecniche disponibili per il controllo delle emissioni di cui gli impianti industriali devono essere dotati. Con cadenza ciclica (circa 10 anni) la CE procede ad un aggiornamento delle BAT a seguito della quale tutti gli impianti esistenti e nuovi dell’EU sono obbligati ad adeguarsi.

Leggi anche: Termovalorizzatori, l’Unione europea è d’accordo o no sulla costruzione di nuovi impianti?

Ci sono differenze sostanziali tra impianti di incenerimento e termovalorizzazione oppure è solo una questione di “marketing”, come sembra indicare la Crusca? Ci sono impianti “sostenibili”?

Per la legge e per la normativa esistono solo inceneritori che sono divisi in due categorie. Quelli a bassa efficienza energetica, che recuperano energia ma a appunto a bassa efficienza e sono classificati come impianti che smaltiscono. E quelli ad elevata efficienza energetica, che recuperano energia ad elevata efficienza e sono classificati come impianti che recuperano materia.

In Italia come negli altri paesi del nord Europa oltre il 90% dei rifiuti inceneriti lo è in impianti ad elevata efficienza energetica. Il termine termovalorizzatore viene comunemente associato alla seconda categoria di inceneritori ed è comunemente accettato anche dalle autorità competenti in materia di autorizzazioni e di controlli.

Quanto alla sostenibilità la questione è meno semplice: in primo luogo la legge prevede che tutti i rifiuti che non possono essere preparati per il riutilizzo e/o riciclati vengano recuperati, compreso anche il recupero energetico. A tale scopo una soluzione largamente utilizzata in Europa è appunto l’incenerimento ad elevata efficienza energetica.

Il termine sostenibilità è molto usato ma spesso poco compreso. Si associa alla sostenibilità solitamente il solo aspetto ambientale. In generale qualsiasi impianto ha delle emissioni tuttavia ce ne sono altri che hanno emissioni minori ed altri maggiori. Inoltre c’è anche il tema delle emissioni evitate spesso trascurato negli studi di impatto ambientale.

L’inceneritore nasce con la funzione di minimizzare sia il fabbisogno di discarica sia le emissioni che si generano dalle discariche. Da questo punto di vista l’inceneritore è sicuramente più sostenibile di una discarica. Inoltre il recupero di energia, ed oggi anche di materia dalle ceneri della combustione, consente anche di evitare emissioni legate alla produzione di stessi quantitativi di energia e di materiali utilizzando rispettivamente fonti fossili e/o materie prime vergini.

Tuttavia il concetto di sostenibilità in realtà include anche aspetti di natura sociale ed economica. Questi due aspetti posso rendere non sostenibile l’inceneritore in determinate aree.

Secondo The European House – Ambrosetti servono almeno 6 o 7 impianti di termovalorizzazione in Italia. Secondo altri – soprattutto considerando anche gli impianti di diversa natura che bruciano rifiuti, come i cementifici – quelli già presenti sono addirittura sovradimensionati. Che ne pensa, visti anche gli ambiziosi obiettivi europei di riciclo?

Allora, se confrontiamo l’Italia alla Germania per quanto riguarda la gestione dei rifiuti (vedi figura sotto, Rapporto Rifiuti 2020 – ISPRA) possiamo vedere che le percentuali di rifiuti riciclate e compostate sono sostanzialmente simili. La maggiore differenza fra Italia e Germania risiede nella percentuale di rifiuti recuperati energeticamente. Ad oggi l’Italia ha una differenza in termini percentuali di rifiuti avviati a recupero di energia rispetto alla Germania di circa il 10%. Rapportato al totale dei rifiuti prodotti nel nostro paese questo equivale a circa 3.000.000 tonnellate/anno. Ciò detto, considerato che le dimensioni economicamente sostenibili per nuovi impianti di incenerimento è sulle 400.000 tonnellate/anno risulta che l’Italia oggi avrebbe bisogno di circa 7 impianti.

Nonostante i tanti cementifici?

La questione dei cementifici è una questione che in Italia non è ancora riuscita a decollare. Infatti una ulteriore possibilità per il recupero di energia dei rifiuti non preparabili per il riutilizzo e non riciclabili è la produzione di un Combustibile Solido Secondario (CSS) da utilizzare in impianti produttivi in sostituzione di combustibili fossili.  Mentre in Germania tale pratica è molto diffusa in Italia ancora oggi, nonostante anche il decreto end-of-waste per il CSS combustibile, questa opzione trova grandi difficoltà ad essere implementata.

Siccome uno degli argomenti di chi è contrario all’incenerimento è che quando si avviano questi impianti il riciclo perde slancio, vorrei sapere se su questo tema ci sono evidenze scientifiche. Cosa accade all’estero: il ricorso agli inceneritori danneggia il raggiungimento dei target di raccolta differenziata? Perché, ad esempio, la Germania importa rifiuti da bruciare?

C’è un grande equivoco di fondo. Il riciclo lo fa, ad eccezione della frazione organica, l’industria e non chi gestisce i rifiuti e ci sono obiettivi molto chiari imposti dalla legge. Ora esiste una larga parte dei rifiuti, stimabile intorno al 25-30% (per l’Italia vuol dire circa 8-9 milioni di tonnellate), che è per sue caratteristiche tecniche e per ragioni economiche non riciclabile. Cosa fare? La legge è chiara: recupero, ovvero, recupero di energia.

La Germania ha effettivamente una grande capacità di incenerimento. L’Italia ha circa 38 impianti per una capacità di trattamento di circa 6.000.000 tonnellate/anno, la Germania ne ha circa 120, ovvero circa 1/4 del totale degli impianti europei. Oggi con il crescere delle raccolte differenziate inizia ad avere impianti sottoutilizzati. Ma non è questo il caso dell’Italia.

Leggi anche: Termovalorizzatori, per gli ambientalisti meglio investire nell’economia circolare

Gli impianti esistenti in altri Paesi europei, che per essere sostenibili economicamente arrivano ad importare rifiuti, sono compatibili con un approccio basato sulla prevenzione?

Altro equivoco che spesso serpeggia. La prevenzione, cioè l’evitata produzione di rifiuti, richiede modifiche importati ai sistemi economici (industria, consumatori, supporto legislativo ed economico, sviluppo di nuovi materiali, nuovi cicli produttivi, nuovi prodotti etc. etc.). Il gestore dei rifiuti può far poco in tal senso. Può solo cercare di supportare i sistemi economici nell’inserimento nei cicli produttivi dei quei rifiuti che sono riciclabili, recuperabili. In tutto ciò l’incenerimento centra poco.

Conosce studi sulle emissioni del famoso termovalorizzatore di Copenaghen, indicato spesso come un modello, e sui loro effetti sulla salute?

Non ho dati sulle emissioni dell’inceneritore di Copenaghen. Tuttavia ho dati su studi di biomonitoraggio umano condotti dall’ARPA Piemonte su campioni di popolazione esposte un anno prima (2013) ed un anno dopo (2014) l’entrata in esercizio dell’inceneritore di Torino (400.000 tonnelate/anno). Tali studi hanno evidenziato dopo l’entrata in esercizio dell’impianto un forte calo della concentrazione di gran parte degli inquinanti considerati nelle orine e nel sangue dei soggetti esposti rispetto ai valori dell’anno precedente.

Leggi anche: “No a inceneritori ed estrazioni di gas nel Pnrr”. Gli orientamenti della Commissione UE

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