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sabato, Novembre 30, 2024

EPR tessili, Corertex: “Migliorare il sistema, non rifondarlo”

Dalla governance agli obiettivi del sistema all’eco contributo, vi raccontiamo le osservazioni del consorzio Corertex allo schema di decreto sulla responsabilità estesa del produttore (EPR) per i rifiuti tessili

Daniele Di Stefano
Daniele Di Stefano
Giornalista ambientale, un passato nell’associazionismo e nella ricerca non profit, collabora con diverse testate

Si rischia di buttare il bambino insieme all’acqua sporca: è questa, metaforicamente parlando, una delle osservazioni che Corertex, il Consorzio per il riuso ed il riciclo tessile, ha mosso allo schema di decreto sull’EPR tessili. Schema di decreto in consultazione e sul quale il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica (MASE) ha ricevuto dai soggetti coinvolti osservazioni e proposte di emendamenti.

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Migliorare piuttosto che rifondare

Il consorzio nato per gestire la Responsabilità estesa del produttore (EPR) e centrato (geograficamente e idealmente) nel distretto tessile di Prato definisce la bozza “un documento molto complesso ed articolato, che tocca svariati fattori. Ad esempio la convivenza tra pubblico e privato, il bilanciamento tra sostenibilità ambientale ed efficienza economica, il rischio di compromettere tutti i risultati raggiunti fino ad oggi, il più che importante aspetto sociale e inclusivo rappresentato dalle cooperative di raccolta”. Secondo il presidente del Corertex, Raffaello De Salvo, siamo di fronte ad “un buon inizio per normare il settore ma che presenta notevoli criticità, soprattutto sotto l’aspetto tecnico”. A preoccupare il consorzio e mettere a rischio i risultati raggiunti, è la volontà di ridisegnare quasi da zero la filiera dei rifiuti tessili.

Sarebbe “preferibile e meno impattante – leggiamo in una nota – implementare e migliorare il sistema attuale di gestione dei cicli post consumo piuttosto che rifondare completamente l’intero percorso con conseguenti maggiori costi e rischi di minori garanzie”. Il sistema attuale cui la nota fa riferimento è, ovviamente, la filiera nazionale della raccolta, selezione e commercializzazione degli abiti usati e del riciclo dei rifiuti tessili. Alla quale la bozza di decreto fa riferimento solo di sfuggita. De Salvo parla di un “modello Prato”: “Il sistema attuale, tipo il modello Prato, pur non essendo perfetto e sicuramente migliorabile, offre garanzie di virtuosità, tracciabilità e massimizzazione del riuso e del riciclo, risultando molto in linea con quanto richiesto dalle direttive europee”. Gli impianti di riuso a Prato sono una cinquantina, riferisce il consorzio, con 600 addetti e una capacità annua di lavorazione di circa 70mila tonnellate di indumenti usati. Gli scarti, poi, vengono gestiti dalla filiera del riciclo. Perché allora, se il sistema attuale funziona, sostituirlo con uno diverso e dagli esiti non scontati?, riflette De Salvo.

Cambiare le regole del gioco potrebbe avere conseguenze non solo sull’attuale filiera del riuso-riciclo, ma anche sulla spesa comunale per la gestione dei rifiuti urbani: “Fino ad oggi la raccolta del tessile non è stata un problema per i Comuni e per i cittadini: perché c’è una filiera che funziona. Se il meccanismo non funziona più a causa delle novità introdotte dal decreto (vedi oltre, ndr) si rischia di aumentare il costo della TaRi per i cittadini”.

E poi c’è l’aspetto sociale. “Le cooperative che oggi fanno la raccolta sono socialmente inclusive, impiegano soggetti problematici e deboli. Se si stravolge la filiera si rischia qualche problema. C’è dunque anche aspetto sociale che è bene che il ministero consideri: un principio di efficientamento puramente economico della filiera rischia di far saltare questi meccanismi virtuosi”.

MA veniamo ai punti critici dello schema di decreto che dovrebbe, nelle intenzioni del ministero, regolare la responsabilità estesa del produttore nel settore tessile.

Chiarire gli obiettivi dell’EPR

Lo schema di decreto prevede target progressivi da raggiungere. La lettera indica “obiettivi di preparazione per il riutilizzo, riciclaggio e recupero dei rifiuti tessili” che entro il 2035 dovranno essere almeno il 50% in peso. “Ma non specifica le singole quantità: quanto riuso, quanto riciclo e quanto recupero. Teoricamente – ipotizza De Salvo – chi avrà in capo la proprietà del rifiuto potrebbe scegliere la via più breve e più facile, la termovalorizzazione o la pirolisi, ad esempio, a discapito di riuso e riciclo e in conflitto con la gerarchia europea dei rifiuti”.

Questo rischio potrebbe essere superato, propone Corertex, “affidando al Coordinamento per il Riciclo dei Tessili denominato (CORIT) un ruolo non solo di coordinamento e promozione, ma di indirizzo preciso e puntuale di quelle che devono essere le migliori pratiche di riuso e riciclo in termini di efficienza e sostenibilità ambientale che i consorzi dei produttori devono favorire”. Al Coordinamento dovrebbe spettare, secondo il consorzio pratese, la redazione di una sorta di linee guida alle quali i singoli consorzi dei produttori dovrebbero poi attenersi.

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La questione delle governance

Tutti gli anelli della filiera, sostiene Corertex, devono avere voce in capitolo nella gestione dei consorzi e del Centro di Coordinamento per il Riciclo dei Tessili. Non possono lavorare “conto terzi” per organismi dove si decide delle attività della filiera e dove non avranno diritto di parola. Il timore de consorzio è che una questione pubblica, la gestione di centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti tessili, resti una questione privata in mano ai soli produttori.

“La centralità dei Consorzi dei Produttori – leggiamo nelle osservazioni inviate al ministero – li espone ad un potere molto importante il quale dovrebbe essere opportunamente mediato da una rappresentanza che sia il più eterogena possibile della filiera al suo interno”. E poi: “È necessario che l’intera filiera possa dare il proprio contributo di competenza e quindi si rende necessario sfruttare il più possibile il know how che il nostro comparto industriale riesce a fornire”. Su questo punto, secondo Corertex, il decreto risulta essere “un po’ debole, in quanto non da nessun obbligo ai consorzi dei produttori circa la necessità di una rappresentanza che possa garantire la presenza all’interno dei diversi organi statutari, di tutte le competenze che la filiera può fornire, le quali garantirebbero scelte strategiche sicuramente più puntuali ed in linea con l’obiettivo principale del sistema EPR che ricordiamo essere identificato come strumento per migliorare l’efficienza e l’efficacia in termini di prevenzione (ecodesign) e gestione del post-consumo dell’intero comparto industriale tessile”.

Per questo, tra gli emendamenti proposti al ministero, il consorzio pratese propone la creazione di uno “statuto tipo” per i consorzi dei produttori che preveda l’obbligo di rappresentanza dell’intera filiera. “Non vogliamo essere un ostacolo per i produttori, ma una risorsa”, sottolinea il presidente del consorzio pratese, che si rivolge loro idealmente: “Avrete il problema di gestire centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti tessili, noi possiamo essere parte della soluzione cdl problema”.

Inoltre, aggiunge ancora, “abbiamo suggerito la costituzione di un Comitato di controllo e garanzia, preferibilmente all’interno del futuro Corit, formato da stakeholder rappresentativi di tutta la filiera, quindi raccoglitori, selezionatori dei primi impianti, riciclatori, sistemi consortili e produttori”. Nella visione del Corertex, il Comitato di garanzia “dovrebbe essere composto da tutti gli attori della filiera per verificare il buon funzionamento del CORIT. Altrimenti chi controlla il controllore? Chi verifica il principio di efficienza ed economicità?”.

Per questo stesso motivo De Salvo pone la questione di una qualche forma di partecipazione dello Stato al Corit, o di una gestione sotto l’egida del ministero dell’Ambiente.

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Eco contributo

Uno dei nodi, quello forse più scontato, è relativo alla gestione dell’eco contributo (quello che per gli imballaggi è il CAC, Contributo ambientale Conai): quello che sarà pagato dai consumatori (il decreto prevede che il prezzo verrà indicato sull’etichetta dei prodotti) e versato dai produttori per gestire appunto il sistema di responsabilità estesa. “Abbiamo consigliato, in via prioritaria, una corretta distribuzione del futuro contributo ambientale su tutta la filiera di riuso e riciclo, coprendo tutti i costi efficienti di gestione dei rifiuti tessili: dalla raccolta, alla selezione per il riuso, alla preparazione per il riutilizzo, al riciclo e allo smaltimento, senza dimenticare l’eventuale fase di rientro in Italia delle aziende che in precedenza avevano delocalizzato”, spiega la nota dei Corertex. Chiarisce De Salvo: “L’eco contributo dovrebbe andare a sostenere tutti gli attori filiera”, anche quelli, come la raccolta e la selezione, che oggi si sostengono stando sul mercato. E poi potrebbe servire a promuover il reshoring, “la rilocalizzazione di ciò che è stato delocalizzato”. Pensiamo ad esempio a quei lavori antieconomici che oggi si fanno all’estero, dove i costi della manodopera sono più bassi: “Per riciclare una maglia di lana – racconta De Salvo – vanno tolte le cuciture, i bottoni, le cerniere: questi lavori una volta si facevano in Italia, a Prato, oggi sono antieconomici, e allora vengono fatti all’estero”. L’eco contributo potrebbe sostenere il reshoring di queste attività, secondo Corertex.

Altro aspetto fondamentale relativo all’eco contributo, secondo il consorzio, è l’eco-modulazione, cioè la variazione dell’entità del contributo proporzionale alla minore o maggiore sostenibilità del prodotto commercializzato. “Presumo che potrebbe funzionare così: chi usa tutti materiali vergini pagherà il contributo massimo, chi usa materiali riciclati pagherà un po’ meno”.

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