No ai biocarburanti, almeno fino al 2026: è questa la posizione assunta dal Consiglio europeo nella giornata di ieri, in cui gli esponenti del governo in ambito energetico hanno approvato il regolamento che stabilisce standard di prestazione in materia di emissioni di CO2 più rigorosi per autovetture e furgoni nuovi. “Le nuove regole – si legge nel comunicato stampa dell’istituzione europea – mirano a ridurre le emissioni del trasporto su strada, che ha la quota più alta di emissioni da trasporto, e forniscono la giusta spinta all’industria automobilistica per passare alla mobilità a emissioni zero, garantendo al contempo una continua innovazione nel settore”.
Come abbiamo riportato più volte, il governo italiano puntava a ottenere una deroga per i biocarburanti, di cui ENI è la principale produttrice a livello europeo, così come ottenuto dalla Germania nei giorni scorsi con gli e-fuels (i carburanti sintetici). E invece i 27 Stati membri, con la sola eccezione delle astensioni di Italia, Romania e Bulgaria e l’unico voto contrario della Polonia, hanno scelto a maggioranza di approvare le nuove regole, che prevedono la riduzione delle emissioni di CO2 del 55% per le nuove auto e del 50% per i nuovi furgoni dal 2030 al 2034 rispetto ai livelli del 2021; la riduzione del 100% delle emissioni di CO2 sia per le nuove auto che per i furgoni a partire dal 2035.
Si tratta dell’applicazione delle misure previste dal pacchetto Fit for 55, l’insieme di misure presentate dalla Commissione europea il 14 luglio 2021 con le quali l’Unione europea intende ridurre le proprie emissioni nette di gas a effetto serra di almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990 e di raggiungere la neutralità climatica nel 2050. L’approvazione del Consiglio è l’ultima fase della procedura decisionale. Il regolamento sarà ora pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell’Ue ed entrerà in vigore il ventesimo giorno successivo a quello della sua pubblicazione.
La partita, tuttavia, non è del tutto chiusa: il regolamento infatti prevede una clausola di revisione secondo la quale nel 2026 la Commissione potrà valutare i progressi compiuti da altre forme di carburanti che non siano l’elettrico, come ad esempio i biocarburanti, in merito al raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni del 100% entro il 2035. Se in quella data i biocarburanti dovessero dimostrarsi climaticamente neutri, allora la Commissione europea potrebbe consentire anche a essi la deroga già prevista per gli e-fuels. Possibile? A sentire Andrea Boraschi, direttore di Transport & Environment Italia – una delle più note e accreditate ong europee nel campo della mobilità sostenibile -, si tratta di un obiettivo irraggiungibile e poco lungimirante. A lui abbiamo chiesto un commento sulla decisione del Consiglio e sulla posizione italiana sui biocarburanti.
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“I biocarburanti? Inefficienti, poco trasparenti e inquinanti”
“Questo accordo che finalmente si è raggiunto ha il merito di porre fine a una fase troppo lunga di stallo che ha messo in mora a lungo un lavoro importante che era stato fatto dalle istituzioni europee sugli obiettivi di difesa del clima – dice Boraschi – Si chiude dunque una fase di incertezza e questa è un’ottima notizia. Ora l’Unione deve confermare gli indirizzi climatici alla sua industria automobilistica, che è esposta in questo momento a una fortissima concorrenza da parte della Cina e degli Stati Uniti. Per quello che riguarda l’intesa sugli e-fuels, per noi quei carburanti sono un diversivo inefficiente e poco credibile dal punto di vista industriale, nonché molto costoso soprattutto se li pensiamo per il trasporto autostradale. Possono invece essere utili per i settori hard to abate, dunque per l’aviazione e il marittimo di lunga percorrenza. Vale la pena ricordare che al momento gli e-fuels non sono disponibili sul mercato e dunque nel momento della loro possibile applicazione andrà considerato il settore dove applicarli”.
Analoghe considerazioni si possono fare per i biocarburanti, che invece sono stati esclusi in quella che è una sonora sconfitta per il governo Meloni? Lo scopo dell’Italia, infatti, era di replicare ciò che era avvenuto con la tassonomia europea, cioè la classificazione delle attività economiche considerate sostenibili, in cui Francia e Italia (ma non solo) si sono spalleggiate a vicenda per far inserire sia il nucleare che il gas tra le fonti di energia green. Tra l’altro i biocarburanti, rispetto agli e-fuels, sono già disponibili sul mercato.
“I biocarburanti sono una famiglia piuttosto complessa di carburanti e bisogna fare grande attenzione – dice ancora Boraschi – I biocarburanti tradizionali hanno non solo il problema della competizione con la filiera agroalimentare ma possono arrivare a essere una soluzione molto peggiore del problema che vorrebbero risolvere. I biocarburanti sono potenzialmente in grado di rilasciare gas serra fino a tre volte superiore rispetto agli idrocarburi classici. I biocarburanti avanzati, prodotti a partire dai rifiuti o da scarti agricoli, sono potenzialmente molto meno emissivi, ancorché non a zero emissioni, ma scontano una disponibilità molto limitata delle materie prime da cui dipendono. In più si tratta di materie di importazioni e poggiano su filiere di importazioni molto spesso opache o deboli. Detta in altre parole, nel momento in cui si volesse puntare su questi biocarburanti si dovrebbe fare molta più attenzione, ad esempio, al fatto di essere in presenza davvero di oli usati e non di oli di palma vergine che vengono camuffati e ottenuti da deforestazione. In più c’è il grande problema dell’efficienza, in cui i biocarburanti replicano il problema dei motori termici: alimentare oggi un’auto con i biocarburanti implica un consumo di energia fino a quattro volte superiore rispetto a quello richiesto da un veicolo elettrico”.
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