Abbiamo chiesto a Rete ONU, l’Associazione nazionale degli operatori dell’usato – che raccoglie circa 13 mila operatori dell’usato, dai mercatini delle pulci ai negozi conto terzi – cosa ne pensa dello schema di decreto sulla responsabilità estesa del produttore (EPR) per la filiera dei prodotti tessili. Abbiamo visionato le osservazioni che l’associazione ha inviato al Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica (MASE), e qui ve ne raccontiamo il succo.
“Una rete di raccolta esiste già, con la relativa filiera”
Più volte nelle osservazioni inviate da Rete ONU al ministero emerge un aspetto già evidente nelle osservazioni di altri soggetti: l’impressione che il ministero abbia trascurato la filiera di prevenzione-raccolta-riuso-riciclo esistente. Ad esempio, commentando l’articolo 4, l’associazione ricorda che “come applicato in altre filiere EPR, i sistemi di gestione devono garantire la raccolta dei rifiuti su tutto il territorio nazionale e non la realizzazione di una rete capillare di raccolta, che è già esistente e sviluppata tramite l’attività di operatori professionali di grande esperienza”. Ancora, muovendo rilievi alla parte definitoria dello schema di decreto (articolo 2): “Trasporto e raccolta sono anelli essenziali della filiera dei rifiuti tessili. Gli operatori che svolgono queste operazioni, di fatto, sono parte integrante del ciclo di qualità e garantiscono lo stato di conservazione necessario ad applicare operazioni di recupero efficienti”. Oppure, quando all’articolo 10 si definiscono le funzioni del centro di coordinamento (CORIT), alla lettera m (“stipula specifici accordi con le associazioni di categoria dei soggetti recuperatori”) Rete ONU propone di sostituire con uno “stipula specifici accordi di programma con le associazioni di categoria dei distributori, dei raccoglitori, dei soggetti autorizzati alle operazioni di selezione, di preparazione per il riutilizzo, riciclaggio e recupero dei rifiuti tessili”, proprio a coinvolgere tutti gli anelli della filiera che opera nel Paese.
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Precisare gli obiettivi
Lo schema di decreto, come abbiamo più volte osservato, prevede obiettivi progressivi (da 25% in peso entro il 2025 al 50% entro il 2035) “di preparazione per il riutilizzo, riciclaggio e recupero dei rifiuti tessili”. Rete ONU punta a precisare le quote di riutilizzo, riciclaggio e recupero: per questo chiede che vengano “stabiliti con precisione gli obiettivi di:
– Preparazione per il riutilizzo (45% entro il 2025 con auspicabile incremento per le annualità successive)
– Recupero e smaltimento (massimo 20% entro il 2025 con lo scopo di ridurre tale percentuale in favore di un incremento della frazione destinata al riciclaggio)”.
Rete ONU propone di prevedere, nel perimetro dei beni sottoposti al sistema EPR, anche le categorie merceologiche dei prodotti per ospitalità (“del tutto similari a quelli per la casa”) e dei giocattoli con componenti tessili, come i peluche, “che vengono abitualmente gestiti nelle raccolte urbane”.
Meno peso ai centri di raccolta (e ai Comuni)
Nell’EPR immaginato da Rete ONU a partire dallo schema di decreto del MASE, non tutti i rifiuti dovranno passare per i centri di raccolta comunali. Questo, è la nota critica dell’associazione, ingesserebbe il sistema. “L’obbligo di conferimento al centro comunale di raccolta dei rifiuti raccolti dai distributori risulta del tutto inopportuno, inserisce un passaggio obbligato che ha come unico effetto quello di incrementare i costi di gestione e ambientali (aumento del numero di trasporti) della filiera”. Per questo, leggiamo ancora nelle osservazioni, “dovrebbe invece essere prevista la possibilità di conferimento al centro comunale laddove la rete logistica e impiantistica non sia presente o efficiente. Si evidenzia inoltre che un passaggio obbligato al centro comunale di raccolta aumenta i rischi di cannibalizzazione”. “L’utilizzo dei Centri di Raccolta Comunali come snodo obbligato sia per i flussi raccolti dai Comuni che per quelli raccolti dai produttori – sottolinea Alessandro Stillo, presidente di Rete ONU – è una soluzione che di per sé ci lascia perplessi perché queste strutture non hanno e non possono avere le caratteristiche logistiche e tecniche per assumere questo ruolo”.
Ecco che, allora “i distributori possono consegnare i rifiuti ai sistemi di gestione dei produttori o ad operatori autorizzati” (suona così un comma che si propone di aggiungere all’articolo 13, che riguarda ritiro e trasporto dei rifiuti tessili conferiti presso i distributori). Questo “per garantire pluralità di mercato e libertà di contrattazione con gli operatori della filiera della raccolta e del recupero”. All’attuale sistema di raccolta pubblico, dunque, si affiancherebbe anche una specifica raccolta presso i distributori. In entrambi i casi coordinata dal CORIT, ma solo il primo, ovvero l’attuale sistema di raccolta pubblico, governato da accordi ANCI-CORIT.
“Nella bozza da noi proposta – ci spiega ancora Stillo – non definiamo modalità operative specifiche in base all’origine dei flussi ma la ratio è quella di non generare ‘monopoli’ né da parte dei Comuni né dei produttori, a maggior ragione visto che all’interno del testo non si chiarisce in maniera puntuale, ad esempio, come verranno gestite le attuali raccolte stradali con contenitore, presso gli ecocentri, porta a porta, raccolte a chiamata, punti mobili etc… Mantenere delle possibili alternative crediamo possa essere un elemento che favorisca la concorrenza e l’efficacia del provvedimento”.
Le raccolte presso i negozi (i distributori) non dovranno però, chiede Rete ONU, avvenire secondo lo schema “uno contro uno” previsto dal MASE: “Troppo oneroso per il cittadino che sarebbe costretto a suddividere il tessile da conferire in più negozi e per di più solo a fronte di un nuovo acquisto per poter usufruire di tale servizio”. Ecco che, allora, “la facoltà di applicare anche l’uno contro zero favorirà schemi win-win dove i negozi fidelizzeranno la clientela avviando flussi adeguati alla filiera.”
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Il ruolo problematico dei centri per il riutilizzo
I centri per il riutilizzo, che nello schema di decreto EPR tessili hanno un ruolo importante accanto ai centri di raccolta comunali, possono, secondo Rete ONU, creare dei problemi al raggiungimento degli obiettivi ambientali che la responsabilità estesa del produttore deve avere. ”L’attività di prevenzione è storicamente esercitata da filiere che sono nettamente separate e non interferenti con il ciclo dei rifiuti”, si legge nelle osservazioni: “Si tratta di negozi e operatori ambulanti che, in base a propri meccanismi di intercettazione, gestiscono beni usati che in nessun momento si avvicinano ai luoghi di raccolta e smistamento dei rifiuti”. Motivo per cui, secondo gli operatori dell’usato, “non è comprensibile, a fronte della maturità di queste filiere, imporre una gestione comunale dei ‘centri per il riutilizzo’: a che titolo, e con quale legittimità, una pubblica amministrazione locale si mette a fare concorrenza agli operatori dell’usato del territorio?”.
Altro problema è la collocazione di questi centri. Stando alla definizione dello schema di decreto, i centri per il riutilizzo sono “appositi spazi individuati presso i centri di raccolta per l’esposizione temporanea finalizzata allo scambio tra privati di beni usati e funzionanti direttamente idonei al riutilizzo”. “Lo scenario diventa veramente pericoloso se all’interno o in prossimità dei centri di raccolta comunali si favoriscono, chiamandoli ‘Centri per il Riutilizzo’, sistemi di ‘scrematura’ sistematica delle frazioni maggiormente valorizzabili, ossia quelle che oggi garantiscono la sostenibilità economica degli impianti di trattamento, e di preparazione per il riutilizzo, che funzionano secondo le procedure di legge”, avverte Stillo. “Si andrebbero a generare, nei fatti, flussi alternativi e meno controllati di beni, che molto probabilmente, oltre che a minare le basi economiche del sistema, andrebbero anche ad alimentare tutte quelle filiere poco trasparenti interessate a scavalcare/bypassare i processi di accreditamento/certificazione messi in atto sia dai produttori che dagli enti preposti al controllo della corretta gestione del rifiuto”. Aggiunge ancora il presidente di Rete ONU: “Sia chiaro: noi, come associazione degli operatori dell’usato, rappresentiamo anche alcuni importanti gestori di Centri di Riuso, ma proprio per questo pensiamo che questo tipo di strutture, anziché assumere un ruolo negativo di ‘cannibalizzazione’ e ‘cherry picking’, dovrebbero iniziare ad avere un importante ruolo di servizio nei confronti delle filiere dell’usato, e possibilmente senza interferire con le operazioni dei Centri di Raccolta Comunali”.
Motivo per cui la Rete degli operatori dell’usato propone una diversa definizione dei centri per il riutilizzo, senza legami con i centri di raccolta e aperta anche alle compravendite e non solo allo scambio: “Appositi spazi finalizzati alla compravendita o allo scambio tra privati di beni usati e funzionanti direttamente idonei al riutilizzo, diversi dagli spazi di esposizione temporanea di cui all’articolo 181, comma 6, del D.Lgs. n. 152/2006”.
L’articolo citato del Testo unico Ambiente, ricorda Rete ONU, parla di spazi di esposizione temporanea di scambio tra privati, non di Centri per il Riutilizzo: “Ciò va inteso, a nostro avviso – recitano le osservazioni – come spazi aperti dove gli utenti dei centri di raccolta, senza intermediazione alcuna, possono scambiarsi beni usati. Vanno evitati in ogni modo strutturazioni artificiose e gruppi di interesse che, in modo sistematico, si dedichino a cannibalizzare o fare cherry picking sui flussi da destinare alla preparazione per il riutilizzo operata negli impianti di selezione R3; questi ultimi infatti sono efficaci, efficienti e sostenibili economicamente solo e soltanto in presenza di tutte le qualità di rifiuto tessile (e non solo quelle peggiori e meno valorizzabili)”.
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Contributo ambientale e prevenzione
Secondo Rete ONU servirebbero altre priorità nell’impiego del contributo ambiente, rispetto a quelle indicate dal MASE. Lo schema di decreto prevede (articolo 4, comma 5) che sia destinato “in via prioritaria” alla copertura dei costi relativi alle misure di prevenzione, riutilizzo e riparazione. Secondo l’associazione, invece, “dovrebbe essere destinato principalmente alla gestione del fine vita dei prodotti tessili, e promuovere, non in via prioritaria, attività di prevenzione”. Inoltre, sottolinea l’associazione, “si evidenza che sono già presenti su tutto il territorio nazionale reti di operatori che svolgono attività di prevenzione in un regime di libero mercato”. Ancora in riferimento alla prevenzione, secondo Rete ONU sarebbe opportuno che “sia misurabile e rendicontata e concorra al raggiungimento degli obiettivi definiti nell’art. 5. Altrimenti si correrebbe il rischio di promuovere attività non sottoposte a controllo e monitoraggio, con la creazione di flussi paralleli e potenzialmente illeciti”.
“È fondamentale – sottolinea Stillo – che il Ministero intenda che la prevenzione dei rifiuti avviene lontano dal ciclo dei rifiuti e avviene per mezzo di operatori dell’usato che hanno forme consolidate di lavorare e che già oggi, globalmente, garantiscono la reimmessa in circolazione di mezzo milione di tonnellate annue di beni di seconda mano. Queste filiere possono sicuramente essere migliorate sul piano della strutturazione, della formalizzazione e della rendicontazione, ma in primo luogo hanno bisogno di essere riconosciute. La prevenzione esiste già: non bisogna inventarla ex novo, e tantomeno con modalità spurie che erodano la sostenibilità del recupero dei rifiuti”.
Per arrivare ad una rendicontazione (specifica il comma 3 che si propone di aggiungere all’articolo 6) i sistemi di gestione dovranno inserire nei propri piani annuali le azioni di prevenzione che concorrono alla realizzazione degli obiettivi ambientali (articolo 5), “attraverso la rideterminazione, per ciascun sistema di gestione, delle quote di immesso sul mercato di competenza secondo i criteri di calcolo stabiliti dal Centro di Coordinamento CORIT in accordo con il Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica e ISPRA”.
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