“La transizione verso l’economia circolare nell’Unione europea è in ritardo”: si apre così il comunicato stampa della Corte dei conti europea, che in una relazione boccia senza appello i pochi sforzi dei 27 Stati membri. Perché il punto centrale, secondo i giudici contabili, resta proprio questo: nonostante “l’enfasi crescente posta dalla legislazione UE” e “i piani d’azione per l’economia circolare della Commissione”, a procedere lentamente nell’applicazione sono poi i singoli Stati.
Nelle 67 pagine della propria relazione la Corte dei conti europea analizza l’utilizzo dei fondi destinati all’economia circolare negli ultimi anni, monitora i lenti progressi degli Stati membri, spiega le debolezze del monitoraggio effettuato dalla Commissione, suggerisce alcune raccomandazioni per incentivare in maniera più efficace e più rapida la transizione circolare. A essere esaminato è il periodo che va dal 2014 al 2022.
Nelle comunicazioni la Corte osserva che “tra il 2015 e il 2021 il tasso medio di circolarità per tutti gli Stati dell’UE-27 è aumentato soltanto di 0,4 punti percentuali. Sette di essi – Lituania, Svezia, Romania, Danimarca, Lussemburgo, Finlandia e Polonia – hanno addirittura fatto passi indietro. Gli auditor della Corte concludono pertanto che l’ambizione dell’UE di raddoppiare la percentuale di materiali riciclati e reintrodotti nell’economia entro il 2030 appare decisamente difficile da realizzare”.
Per migliorare i propri punti di debolezza bisogna prima conoscerli. Ecco perché all’analisi delle debolezze la Corte aggiunge nelle conclusioni dove e in che modo bisogna agire. “Preservare i materiali e ridurre al minimo i rifiuti è fondamentale se si vuole che l’UE utilizzi efficientemente le risorse e raggiunga gli obiettivi ambientali del Green Deal” ha dichiarato Annemie Turtelboom, membro della Corte dei conti europea. “Ma le azioni finora intraprese dall’UE sono state inefficaci e la transizione verso l’economia circolare è quasi ferma in molti Paesi europei.”
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Le debolezze dell’economia circolare nell’Ue
Come ricorda la stessa Corte dei conti europea “la progettazione di un prodotto determina circa l’80% del relativo impatto ambientale. Al fine di ridurre al minimo detto impatto ambientale, i prodotti e i processi produttivi devono essere riprogettati in base ai principi di economia circolare, in linea con la priorità dell’UE di prevenire la produzione dei rifiuti”. Si tratta di un principio fondamentale: pur continuando a insistere sul riciclo e sul riutilizzo, gli Stati membri dovrebbero cominciare a dare la stessa importanza all’ecodesign e alla progettazione.
“Per contribuire all’economia circolare – ricorda la Corte – la Commissione europea ha preparato due piani d’azione: il primo, del 2014, conteneva 54 azioni specifiche, il secondo, del 2020, ha aggiunto 35 nuove azioni e fissato obiettivi che raddoppiano il tasso di circolarità, ossia la quota di materiale riciclato e reintrodotto nell’economia, per il 2030. Tali piani non erano vincolanti, ma miravano ad aiutare gli Stati membri ad aumentare le attività di economia circolare negli ultimi anni. Fino a giugno 2022, quasi tutti i paesi dell’UE disponevano o stavano elaborando una strategia nazionale per l’economia circolare”. Tutto bene, quindi? Non proprio. I giudici contabili fanno notare che allo stato attuale è difficile monitorare l’efficacia delle misure nazionali per quel che riguarda l’innovazione e gli investimenti. Inoltre la priorità non dovrebbe più essere esclusivamente rivolta alla gestione dei rifiuti ma alla prevenzione degli stessi.
“L’UE ha messo a disposizione ingenti finanziamenti – scrive ancora la Corte – stanziando oltre 10 miliardi di euro tra il 2016 e il 2020 per investire nell’innovazione verde ed aiutare le imprese ad essere all’avanguardia nella transizione verso l’economia circolare. Invece, gli Stati membri hanno speso la stragrande maggioranza di questi fondi per gestire i rifiuti invece che impedirne la produzione attraverso la progettazione circolare, che avrebbe avuto probabilmente un impatto maggiore”.
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Dove agire per una reale economia circolare nell’Ue
L’analisi della Corte dei conti europea è estesa e prende in esame non solo i provvedimenti adottati in sede comunitaria ma anche le loro applicazioni a livello nazionale. “Gli auditor della Corte – si legge nella relazione – hanno esaminato la documentazione e avuto colloqui con il personale delle direzioni generali della Commissione coinvolte nell’attuazione dei piani d’azione, di Eurostat e della Banca europea per gli investimenti (BEI). Hanno condotto anche colloqui con i pertinenti portatori di interessi a livello internazionale e degli Stati membri (compresi i rappresentanti delle imprese), per corroborare l’analisi degli auditor dei documenti e delle informazioni fornite dagli Stati membri”.
Come già anticipato, una delle conclusioni dei giudici contabili è quella di “indirizzare in maniera più mirata i finanziamenti UE verso la progettazione circolare, che rappresenta il modo più efficace per realizzare un’economia circolare”. Ma in che modo è possibile farlo? Come già avevano indicato sia il Parlamento europeo che l’Agenzia europea dell’Ambiente, uno dei problemi, sempicemente, è che “non esistono indicatori specifici relativi alla
progettazione circolare dei prodotti”. Diventa dunque difficile, per non dire impossibile, finanziare qualcosa che non si conosce neanche bene.
Un caso emblematico su tutti è quello dell’obsolescenza programmata, cioè la pratica di limitare artificiosamente la vita utile di un prodotto fin dalla fase di progettazione, in modo che diventi obsoleto dopo un periodo di tempo prestabilito. I giudici contabili hanno notato che fino al momento in cui hanno steso la relazione la Commissione non si era dotata di adeguati strumenti per monitorare il fenomeno, anche se ora sembra che si stia preparando a farlo.
Particolarmente critico è stato poi l’utilizzo dei fondi che in teoria dovevano supportare l’economia circolare. Come già accennato, molto spesso, in assenza di indicazioni precise, sono serviti in pratica a supportare la gestione dei rifiuti, molto spesso, per giunta, secondo una logica lineare e non circolare. Anche in questo caso riportiamo un esempio (tra i tanti che sono stati analizzati dalla Corte), vale a dire i progetti LIFE, lo strumento finanziario dell’UE per l’ambiente e l’azione per il clima, con una dotazione iniziale di bilancio prevista di 3,4 miliardi di euro.
“Per il periodo 2014-2020 – si legge nella relazione – la Corte ha individuato due sottoprogrammi di LIFE e 249 progetti relativi all’economia circolare per finanziamenti complessivi di 421 milioni di euro, vale a dire il 12 % della dotazione complessiva di LIFE per detto periodo. Il sistema di monitoraggio e valutazione di LIFE non richiedeva alla
Commissione di fornire informazioni su quanti di questi progetti riguardassero la fase
della progettazione circolare“.
Si nota dunque che, per agevolare gli Stati membri a mettere in pratica una reale economia circolare, secondo la Corte dei conti europea dovrà essere la Commissione a “tener meglio conto degli aspetti fondamentali dell’economia circolare, in particolare, la progettazione circolare dei prodotti, per migliorare il monitoraggio dei progressi realizzati dagli Stati membri nella transizione verso un’economia circolare e agevolare l’adozione di decisioni informate relative alle nuove politiche, iniziative e azioni“.
Inoltre, scrive ancora la Corte, “alla luce del potenziale impatto della progettazione circolare sull’ambiente, la Commissione dovrebbe analizzare i motivi per cui i finanziamenti UE in regime di gestione concorrente e diretta non abbiano condotto all’avvio di più progetti in materia. Nel quadro di detta analisi, dovrebbe valutare la possibilità di fornire ulteriori incentivi per lo sviluppo dei progetti riguardanti la progettazione circolare dei prodotti nell’ambito della politica di coesione“.
La buona notizia è che, almeno secondo il parere dei giudici contabili, entrambe le raccomandazioni potrebbero applicarsi nel giro di un anno. L’auspicio è che ciò si realizzi davvero. Ma va tenuto conto delle future elezioni europee, previste appunto per il 2024, che potrebbero rovesciare gli attuali equilibri, rendendo ancora più complicata la transizione verso l’economia circolare.
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