“Abbiamo l’impressione che il legislatore, che sia quello nazionale o quello europeo, vada un po’ per conto suo, ricordandosi dei tecnici solo in seconda battuta”. Raffaello De Salvo, presidente del Corertex, il consorzio pratese per il riuso ed il riciclo tessile, lamenta lo scarso coinvolgimento degli operatori della filiera tessile negli iter normativi che li riguardano. Lo abbiamo raggiunto per sapere cosa pensa del congelamento della bozza italiana sull’EPR e dello “Schema di Regolamento recante disciplina della cessazione della qualifica di rifiuti tessili”, il cosiddetto end of waste (EoW), sottoposto dal Ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica (MASE) a consultazioni.
Raffaello De Salvo, a che punto dei lavori sulla responsabilità estesa del produttore (EPR) e sull’end of waste il ministero vi ha coinvolto?
Siamo tutti d’accordo che il tessile è un territorio da normare, ma va normato per bene, senza meccanismi che invece di semplificare lo complicano. Per questo il legislatore ha bisogno dei tecnici. Per l’EPR siamo stati chiamati in causa, noi e gli altri attori della filiera, solo in un secondo momento. Lo stesso vale per l’end of waste. Osserviamo che di solito il legislatore va un po’ per conto suo.
Che ne pensate dello stop sullo schema di decreto sulla responsabilità estesa del produttore. Fa bene il ministero ad attendere una norma europea?
Una bozza c’è, abbiamo lavorato e stiamo lavorando per evidenziare gli aspetti positivi e le criticità. Ora sarebbe inutile andare avanti per dire una cosa e poi scoprire che l’Europa ne dirà una diversa, costringendoci ad adeguarci. Aspetterei piuttosto una direttiva più chiara e più definita dall’Europa, possibilmente emendabile e con dei buoni margini.
Aspettiamo dunque.
Sì, ma non passivamente. Vorrei che si potesse andare alla Commissione europea per spiegare le criticità che ci sono rispetto alle loro idee. E ci aspettiamo poi maggiore coinvolgimento da parte del MASE.
Stiamo ad esempio lavorando col Centro comune di ricerca della Commissione, il JRC.
Ci racconti.
Di recente il JRC ha inviato ad Astri, Associazione Tessile Riciclato Italiana, un questionario con un centinaio di domande sul fine vita dei prodotti tessili. Avendo siglato un protocollo di intesa, abbiamo collaborato con Astri per quanto riguarda le domande sul riuso. Chiedono cosa molto specifiche, ad esempio quando una maglietta è da considerarsi riusabile e invece quando è da avviare a riciclo.
Cosa avete risposto?
Beh, per una maglietta si può aprire un mondo. Ad esempio anche se ha un piccolo buco ma è di un buon cotone o è un capo firmato, allora può essere riusata. L’argomento è complesso, si entra nel tecnico. Al JRC sono sei o sette anni che stanno lavorando su questo tema, senza ancora venirne a capo. Anche perché si toccano tanti interessi, quelli dei produttori, delle manifatture, delle multinazionali, non è semplice mettere tutti d’accordo.
A proposito del fine vita dei beni: che ne pensate della proposte di end of waste per i tessili messa in consultazione dal Ministero?
Condivido la posizione che Confindustria Toscana Nord, CNA Toscana Centro e Confartigianato Imprese Prato hanno espresso al ministero dell’Ambiente: l’idea di passaggio da rifiuto a materia prima secondaria è troppo avanzato. La regola, che ad oggi può essere soggetta a varie interpretazioni, dovrebbe essere che quando i rifiuti arrivano nell’impianto e noi apriamo il sacchetto e lo lavoriamo, lì si perde la qualifica rifiuto che diventa così o materiale da riuso o da riciclo (materia prima seconda). Io sposo questa linea. Il Ministero e la Commissione Europea, invece, sono più orientati a indicare la cessazione della qualifica di rifiuti a processo finito, quando la fibra torna fibra dopo il riciclo. Ma questo vuol dire che tutte le sfilacciature, i pezzamifici e chiunque lavori materie prime seconde diventeranno centri raccolta e lavorazione rifiuti, con tutte le problematiche del caso. Una cosa assolutamente negativa.
E sull’EPR?
Sull’EPR un tema importante riguarda i produttori non europei che esportano in Europa e ai quali magari non interessano le norme europee. Il MASE ha detto che anche chi importa da fuori dall’Ue va considerato un produttore, ai fini dell’EPR. E per questo dovrà pagare l’eco contributo. Ma bisogna vedere se le multinazionali mondiali sono d’accordo. Parliamo di interessi notevoli: il fast fashion arriva quasi tutto da fuori Ue, pensiamo a Primark, a Shein. È importante capire come fare a controllare che una maglietta comprata online su Shein abbia pagato l’eco contributo o no. Altro tema importante è anche questo: dove andrà l’eco contributo?
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