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venerdì, Novembre 15, 2024

E se casa tua si smontasse e rimontasse? Storie di architettura reversibile e circolare

Se avete esperienza di ristrutturazioni edili sapete che i materiali nei quali si abitava diventano, da un giorno all'altro, dei rifiuti. Immaginate cosa succede quando ad essere abbattuto è un edificio intero. Perché distruggiamo tutto ciò? La soluzione c'è. Vediamo alcune esperienza in Italia e nel mondo

Letizia Palmisano
Letizia Palmisanohttps://www.letiziapalmisano.it/
Giornalista ambientale 2.0, spazia dal giornalismo alla consulenza nella comunicazione social. Vincitrice nel 2018 ai Macchianera Internet Awards del Premio Speciale ENEL per l'impegno nella divulgazione dei temi legati all’economia circolare. Co-ideatrice, con Pressplay e Triboo-GreenStyle del premio Top Green Influencer. Co-fondatrice della FIMA, è nel comitato del Green Drop Award, premio collaterale della Mostra del cinema di Venezia. Moderatrice e speaker in molteplici eventi, svolge, inoltre, attività di formazione sulle materie legate al web 2.0 e sulla comunicazione ambientale.

Chi, almeno una volta nella vita, si è trovato impegnato ad affrontare una ristrutturazione sa bene che, nel corso dei lavori, vengono prodotti decine di quintali di rifiuti e ciò non rappresenta solo un problema di natura ambientale. Lo smaltimento dei rifiuti edilizi rappresenta, infatti, una delle voci di costo che vanno a gravare sul budget: pavimenti e pareti, una volta rimossi, diventano macerie che, come tali, vanno smaltite nei modi previsti per legge. Purtroppo, a dispetto delle sanzioni imposte a carico dei trasgressori, ancora in troppi preferiscono “correre il rischio” e abbandonare, in aree isolate o addirittura in oasi naturali, cumuli di calcinacci proprio per evitare il pagamento dello smaltimento.

Dal punto di vista ambientale, vi è un altro aspetto che, in ogni caso, va considerato: stiamo trasformando un bene duraturo come una parete o un pavimento – che per lungo tempo ha avuto un valore – in un rifiuto!

Ora immaginate cosa accade quando ad essere abbattuto è un edificio intero.

Perché distruggiamo tutto ciò? Perché non ci serve più. Quando possibile alcuni inerti vengono recuperati (anche se spesso si tratta di un riciclo di bassa qualità, come sottolinea il rapporto dell’Agenzia Europea per l’Ambiente, Construction and demolition Waste che parla di downcycling), ma il volume dei rifiuti edili che va in discarica è ancora ingente.

Architettura reversibile: come progettare gli edifici per renderli disassemblabili

Una soluzione al problema dello smaltimento dei rifiuti edili potrebbe essere raggiunta se ogni costruzione venisse pensata per essere durevole e, al contempo, temporanea: una volta che le esigenze di vita, o più semplicemente i gusti, venissero a mutare basterebbe disassemblare la costruzione.

Ad oggi sono stati pubblicati e realizzati molti progetti architettonici pensati per essere utilizzati nel lungo periodo, ma, al tempo stesso, anche per adattarsi alle sopravvenute necessità grazie all’impiego di strutture flessibili o magari per rispondere in maniera efficace a situazioni di emergenza, come potrebbe accadere dopo una calamità naturale.

Nascono così gli edifici “reversibili” nei quali, i criteri del green building sono applicati nelle fasi di progettazione e di realizzazione al fine di rendere riutilizzabili o riciclabili i materiali adoperati. Ciò in effetti non rende una costruzione temporanea, anzi. L’edificio potrà continuare a durare nel tempo, magari mutando destinazione d’uso o addirittura delocalizzato in altra sede, ma soprattutto senza mai doverlo abbattere.

Fantascienza? Macchè. Ecco alcuni esempi “made in Europe”.

Leggi anche: Ripensare l’edilizia attraverso l’economia circolare, lo studio della Luiss

Ridare vita alle strutture temporanee degli Expo e dei grandi eventi temporanei

Quante volte, nella storia, abbiamo assistito alla creazione di strutture legate a manifestazioni temporanee – come alloggi per atleti olimpici o padiglioni fieristici – che, terminati gli eventi che avevano giustificato la loro edificazione, sono diventati veri e propri centri abitati o sedi di uffici? Questo cambio di destinazione d’uso, però, avveniva più frequentemente in passato anche a causa della forte richiesta di strutture abitative.

Oggi, dopo un grande evento, ci si interroga sul destino delle strutture costruite ad hoc che spesso finiscono per essere abbandonate trasformandosi in veri e propri ecomostri.

Così, in previsione dell’Expo di Milano – maxi manifestazione che ha fatto della sostenibilità uno dei propri temi principali – il Ministero dell’Ambiente promosse addirittura un premio – il “Towards a Sustainable Expo” – per stimolare e valorizzare l’adozione di soluzioni sostenibili. Tra le quattro categorie in gara non poteva mancare l’architettura e non si può dire che l’idea non abbia funzionato: tra i criteri impiegati per la progettazione e la realizzazione di gran parte dei padiglioni si annoverano la progettazione per il riuso delle costruzioni, allestimenti inclusi, l’impiego di materiali riciclabili e il ricorso alle fonti rinnovabili.

Che fine hanno fatto i padiglioni di Expo 2015

Raccontare tutte le seconde vite delle costruzioni che ospitarono milioni di visitatori a Milano è impossibile, ma vale la pena fare qualche esempio per comprendere l’importanza del riuso delle strutture.

Gli spazi della Ferrero vennero progettati in modo tale che tutto il materiale impiegato per la loro realizzazione (stand ed installazioni incluse) potesse essere disassemblato e tornare a nuova vita sotto forma di scuole e centri per bambini in Asia ed Africa. Anche il padiglione del Principato di Monaco, una volta terminato l’Expo, ha avuto una nuova funzione “sociale” divenendo una sede della Croce Rossa in Burkina Faso.

Lo spazio espositivo della Coca Cola è stato trasformato in un campo da basket che ora consente a tutti di praticare lo sport con la palla a spicchi nel quartiere milanese di Famagosta. I principi di architettura sostenibile adoperati per il padiglione salesiano Casa Don Bosco hanno permesso alla struttura di vivere una seconda esistenza in Ucraina, divenendo un centro polifunzionale in grado di ospitare 300 ragazzi disagiati.

Il padiglione dell’Azerbaigian, talmente bello da essere spesso definito come “il gioiello”, ora è un centro dedicato alla biodiversità.

Ricordate lo spazio Svizzero? Era costituito da quattro torri dedicate ad altrettante tipologie di prodotti: acqua, mele, caffè e sale. Se ogni persona avesse preso un solo alimento fra quelli presenti nelle torri, sarebbero bastati per tutta l’esposizione. Purtroppo però, come spesso accade, i primi arrivati fecero razzia, svuotando presto le torri. Questo padiglione ha quindi rappresentato un monumento alla cupidigia umana ed ora è tornato in patria sotto forma di serre urbane.

Leggi anche: Prevenire è meglio che smaltire, il caso dell’edilizia italiana

Il tribunale di Amsterdam: esempio di struttura durevole reversibile

Fino ad ora abbiamo preso ad esame edifici nati per un utilizzo temporaneo, ma ciò non deve far pensare che l’architettura disassemblabile limiti il proprio raggio d’azione solo a tali tipi di costruzioni.

Ad esempio il tribunale di Amsterdam è stato costruito per garantire una flessibilità di adattamento alle esigenze future fino alla possibilità di riciclare le componentistiche dell’edificio. Costruito con una serie di elementi prefabbricati in acciaio, le parole d’ordine nella sua progettazione sono state modularità e flessibilità di adattamento alle necessità future. L’utilizzo di componentistica prefabbricata ha un altro vantaggio: la velocità di costruzione e di eventuale disassemblaggio senza dover rinunciare a requisiti fondamentali come l’efficienza energetica della struttura o il livello di comfort.

Esempi di economia circolare dal futuro: Dubai 2020 (ovvero… 2021)

A causa del Covid-19 l’expo di Dubai 2020 è stato rinviato ad ottobre 2021. Il Padiglione Italia già si preannuncia come un esempio di architettura circolare e sostenibilità.

Come spiegano gli architetti e progettisti Carlo Ratti e Italo Rota, la struttura nascerà dall’incontro di tre barche che arriveranno all’Expo per poi, successivamente, veleggiare verso altri angoli del mondo per promuovere un’architettura che consenta di non buttare via nulla ma di ricomporre i propri elementi per dar luogo a nuovi spazi.

Tra i diversi padiglioni da non perdere ove vi recaste all’Expo di Dubai, segnaliamo anche quello francese che non solo sarà smontabile ma prevedrà anche una copertura con piastrelle fotovoltaiche blu, in omaggio a Le Ninfee di Monet.

Leggi anche: Eccellenza dall’eccedenza. La filosofia di Daniela Ducato

Il BUGA wood pavilion: ovvero quando la robotica realizza l’economia circolare

Cosa c’entrano i robot con l’architettura sostenibile? Molto più di quanto forse pensereste. Realizzato dall’Università di Stuttgart, il BUGA wood pavilion, come suggerisce il nome, è un padiglione in legno realizzato interamente da robot e ispirato a un riccio di mare. Rappresenta una costruzione che ha saputo coniugare l’utilizzo di materie prime rinnovabili, l’efficienza, l’innovazione digitale e la ricerca scientifica.

La digitalizzazione nella componentistica ha permesso l’annullamento degli scarti. L’utilizzo delle macchine nella fase di costruzione ha garantito un assemblamento rapido nella realizzazione di un luogo per eventi all’aperto che potremmo definire un grande puzzle tridimensionale.

Il tempo di assemblaggio complessivo è da record: sono bastati solamente dieci giorni per ottenere una struttura prefabbricata che, all’occorrenza, potrebbe essere disassemblata, spostata e rimossa. La struttura è infatti completamente riutilizzabile.

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