Partendo da Amsterdam The New Raw, uno studio olandese di ricerca e design, ha iniziato a trasformare i rifiuti plastici in arredi urbani, grazie alla stampa 3D. Considerando i rifiuti come una risorsa, il loro progetto Print your Life – questo il nome – è un esempio concreto di artigianato digitale che sposa l’economia circolare.
“Le città rappresentano un terreno adatto per applicazioni con plastica riciclata di grandi dimensioni e di lunga durata”, spiegano gli ideatori sul proprio sito. “In questo campo, la tecnologia della stampa 3D consente di chiudere il ciclo della plastica con un breve percorso di riciclo e un processo di produzione a rifiuti zero, oltre a combinare riparazione modulare e personalizzazione”.
La Terza Rivoluzione Industriale sarà dunque in grado di salvare il Pianeta? Difficile dirlo. Quel che è certo è che la stampa 3D, se messa al servizio della sostenibilità ambientale e sociale, diventa una leva importante per la transizione a un’economia circolare.
La stampa 3D per una produzione più sostenibile
La stampa 3D può e deve essere un grande alleato dello sviluppo sostenibile. Attraverso questo tipo di produzione è possibile fabbricare oggetti da modelli tridimensionali, depositando strati (layer) di materiale uno sopra l’altro grazie a una tecnologia di Additive Manufacturing (AM). Esattamente il contrario dei sistemi classici basati sulla sottrazione: in questo modo si riducono gli sprechi e di conseguenza gli scarti di produzione, che possono essere poi recuperati e riciclati.
Inoltre, la produzione additiva porta con sé un’altra serie di vantaggi in ottica circolare: oltre a ridurre materie prime e rifiuti, utilizza materiali più ecologici e riciclati al posto delle plastiche monouso. La stampa 3D apre anche straordinarie possibilità nel mercato dei pezzi di ricambio e permette a ciascuno di noi di riparare facilmente apparecchi domestici che altrimenti finirebbero nella spazzatura. La customizzazione del prodotto, infatti, permette di adattarlo perfettamente ai bisogni del consumatore e prolungarne il ciclo di vita grazie alla scomponibilità e alle parti di ricambio on-demand realizzabili con la stampa 3D.
Altro aspetto positivo è la riduzione della carbon footprint legata ai trasporti grazie a una produzione diffusa, che permette di produrre sempre nella vicinanza della rete di vendita e di evitare stoccaggi, magazzini e quantità eccessive di prodotti sul mercato. Come riscontrato nel settore dell’automotive, la manifattura additiva garantisce anche un alleggerimento dei componenti, contribuendo così a ridurre l’impronta ambientale e a risparmiare denaro.
Grazie ai significativi vantaggi economici e ambientali che questa tecnologia offre, la produzione additiva sta crescendo, passando dai laboratori dei cosiddetti makers – gli artigiani digitali del terzo millennio – alla produzione industriale. La stampa 3D non è più soltanto una tecnologia efficace per autoprodurre oggetti di uso quotidiano, riducendo l’impatto ambientale delle grandi aziende, ma diventa un modo per ripensare i modelli di produzione e di business.
Come confermano i dati, la crescita non è infatti trainata dai consumi, bensì dall’industria. Uno studio della statunitense IDC rivela che il settore nel 2021 si aggira intorno ai 20 miliardi di dollari tra ricavi, software per la progettazione, materiali e servizi accessori. Secondo le stime del 3d Printing Trend Report 2022, supererà i 100 miliardi di dollari entro il 2030.
Tra il 2018 e il 2019 il valore totale delle parti stampate in 3D è cresciuto del 300%, ma il numero dei pezzi prodotti non ha visto questa crescita esponenziale. Questo significa che la stampa 3D sta passando da un mercato “basso” a consumatori professionali, disposti all’oscillazione dei prezzi per ottenere una maggiore qualità.
È evidente, dunque che la produzione additiva potrà avere un ruolo importante per la transizione verso un’economia circolare, garantendo a ognuno di autoprodursi oggetti di uso quotidiano e, al contempo, consentendo alle aziende produzioni in larga scala. Attenzione però: nel 2018 in Italia solo il 15% delle manifatture usava i sistemi di stampa 3D e solo il 10% si diceva intenzionato a investire su questa tecnologia nel breve periodo. Dato che si abbassa al 3% se guardiamo alle PMI, per le quali risulta ancora complicato abbracciare questa nuova sfida tecnologica mantenendo intatta la sostenibilità industriale.
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Dai pezzi di ricambio alle case stampate in 3D
Come detto, la stampa 3D apre straordinarie possibilità nel mercato dei pezzi di ricambio, permette di stampare ciò che serve e porre fine a usura e inutili sprechi. Un esempio arriva dal progetto Felfil Evo che mira a riciclare e trasformare gli scarti di produzione in filamento nuovamente utilizzabile. Il loro dispositivo consente di valorizzare la plastica avanzata da precedenti stampe errate che, opportunamente tritata, genererà nuova materia prima seconda. In questo modo la stampa 3D diventa davvero circolare, più produttiva ed economica. E questo vale tanto per l’appassionato che utilizza stampanti domestiche, quanto per la grande azienda in possesso di macchine professionali.
“Sempre più aziende si avvarranno della stampa 3D per modificare le loro supply chain tradizionali e renderle più efficienti e flessibili”, ha ricordato Davide Ferrulli, manager di Hp. La multinazionale statunitense dell’informatica collabora con importanti marchi, come ad esempio Decathlon, che sta utilizzando la stampa 3D per realizzare pezzi di ricambio per i propri prodotti. O, come nel caso di L’Oréal, la più grande azienda di cosmetici al mondo, per creare packaging innovativi e offrire nuove customer experience ai propri clienti. “Oltre alle nuove applicazioni, riteniamo che ecosistemi e collaborazioni completamente nuovi nasceranno man mano che le aziende cercheranno di fornire un valore aggiunto ai clienti finali”, aggiunge Ferrulli. “Stiamo già assistendo a questa tendenza in settori come quello automobilistico, consumer, healthcare e industrial”.
Tutti ricordiamo il ruolo che la stampa additiva ha avuto durante l’emergenza pandemica con l’esperienza del giovane imprenditore Cristian Fracassi, che con la sua azienda Isinnova ha stampato in 3D dei respiratori per contrastare le carenze della terapia intensiva dell’Ospedale Chiari di Brescia. Un caso mediatico che ha portato all’attenzione del grande pubblico, forse per la prima volta, le enormi potenzialità e i vantaggi che si possono ottenere tramite l’utilizzo della stampa 3D.
Gli esempi sono innumerevoli: il Laboratorio Industry 4.0 del Dipartimento di Ingegneria Gestionale del Politecnico di Milano, nell’ambito del progetto Horizon 2020 FENIX, è riuscito a dare nuova vita ai rifiuti elettronici, recuperando materiali come rame, stagno, argento e platino per trasformarli in nuovi filamenti metallici per la stampa 3D, polveri metalliche green per la manifattura additiva e gioielli sostenibili stampati in 3D.
La società di Rotterdam Tanaruz, invece, vende barche stampate in 3D realizzate con plastica riciclata, rendendo le barche da diporto accessibili a tutti. Ma grazie alla stampa 3D si possono realizzare anche intere abitazioni. L’impresa americana ICON, insieme allo studio di architettura Lake Flato ha lanciato il progetto House Zero: delle case interamente stampate in 3D e autosufficienti dal punto di vista energetico. La prima è stata realizzata ad East Austin, in Texas.
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Verso nuovi modelli di produzione
Parlando di stampa 3D bisogna dunque considerare sia le soluzioni tecnologiche accessibili a ognuno di noi per la creazione di piccoli oggetti d’uso quotidiano, sia quelle che rientrano nei più complessi scenari collegati all’industria 4.0, riferiti al mondo dell’additive manufacturing.
La produzione additiva potrebbe efficacemente integrare i sistemi industriali esistenti, consentendo al nostro sistema di operare in modo circolare in una prospettiva di lungo termine, per ridurre rifiuti e impatti ambientali. Uno dei limiti per l’adozione della manifattura additiva però è da imputarsi ai costi, proibitivi soprattutto per le imprese più piccole. Fortunatamente, per questo vengono in soccorso i FabLab, laboratori di fabbricazione digitale che garantiscono un servizio di stampa 3D on demand, abbattendo i costi per l’acquisto dell’attrezzatura. L’Italia può vantare un primato europeo, con più di un centinaio di laboratori sparsi sul territorio nazionale.
Al problema dei costi si aggiungono la non adattabilità all’economia di scala, i rischi dell’open source per la proprietà intellettuale e la possibile perdita di posti di lavoro. Oltre al danno economico per i paesi grandi esportatori: è già in corso un processo di deglobalizzazione che mira a privilegiare la produzione locale e una catena di distribuzione più corta.
Secondo il report HP Digital Manufacturing Trends, però, il principale ostacolo per il passaggio alla manifattura additiva rilevato dalle aziende è dato dalla difficoltà nel reperire forza lavoro qualificata. Per ovviare a questo deficit di competenze, il 64% delle aziende intervistate vorrebbe offrire più servizi di formazione professionale, mentre il 53% chiede un aiuto da parte delle istituzioni. L’80% delle imprese intervistate poi, si aspetta un investimento statale per la transizione verso la stampa 3D.
In quest’ottica, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) rappresenta per molte aziende una grande opportunità per promuovere e sostenere la trasformazione digitale e sostenibile, di cui l’additive manufacturing è un passaggio fondamentale e, per certi versi, inevitabile.
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