La strada che devono percorrere i biocarburanti è poco chiara e piena di asperità: è il monito della Corte dei conti europea in una relazione speciale diffusa lo scorso 13 dicembre. Nella dettagliata relazione di 66 pagine i giudici amministrativi, nel loro ruolo di controllo della gestione finanziaria dell’Unione Europea, mettono a nudo tutti i limiti di una delle strategie preferite ad esempio dall’Italia per ridurre le emissioni di gas serra dei trasporti. La relazione speciale 29/2023, intitolata “Il sostegno dell’UE ai biocarburanti sostenibili nei trasporti: una strada incerta”, è disponibile sul sito della Corte.
Da una parte, denuncia la Corte, l’assenza di una prospettiva a lungo termine nell’Unione ha inciso sulla sicurezza degli investimenti; mentre dall’altra parte i ben noti problemi di sostenibilità, insieme alla corsa all’accaparramento delle biomasse e ai costi elevati della filiera, limitano la diffusione dei biocarburanti.
“Con i biocarburanti si mira a contribuire al raggiungimento degli obiettivi di neutralità climatica dell’UE e a rafforzare la sovranità energetica di quest’ultima. Tuttavia, con l’attuale politica in materia di biocarburanti, l’UE sta vagando senza una mappa e corre il rischio di non raggiungere la destinazione”, ha dichiarato Nikolaos Milionis, il membro della Corte dei conti europea che ha diretto l’audit.
Un problema notevole se si pensa che per il periodo 2014-2020, sono stati assegnati circa 430 milioni di euro di fondi UE a progetti di ricerca e alla promozione dei biocarburanti. A distanza di 10 anni dai primi incentivi, una bocciatura così netta potrebbe pregiudicare il futuro di una delle alternative finora considerate più credibili alle fonti fossili?
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In che modo l’Europa punta sui biocarburanti?
Quella della Corte dei conti europea non è la prima bocciatura sulla strategia Ue in merito ai biocarburanti. Ce n’era stata una molto simile, e altrettanta netta, nel 2016. Si potrebbe obiettare che però a quel tempo l’alternativa ai carburanti “classici” fosse ancora agli albori e che era indirizzata principalmente sul settore privato, allo scopo di sostituire in misura crescente soprattutto benzina e gasolio. Da allora però sono passati altri sei anni e i biocarburanti, che mantengono l’obiettivo di contribuire a ridurre le emissioni di gas a effetto serra nel settore dei trasporti, ora anche navale ed aereo, e a migliorare la sicurezza dell’approvvigionamento dell’UE, di miglioramenti ne hanno fatto ben pochi. Anche perché, come sottolinea la Corte dei conti nel suo report, “il passaggio dalla fase iniziale di ricerca in laboratorio a quella di produzione può richiedere come minimo dieci anni. A ciò si aggiungono i frequenti cambiamenti nelle politiche, nella normativa e nelle priorità dell’UE relative ai biocarburanti, che hanno reso il settore meno allettante e hanno inciso sulle decisioni degli investitori”.
Gli sforzi profusi dai singoli Stati membri nella promozione dei biocarburanti sono stati però diseguali. Ne è un esempio proprio l’Italia, lo Stato che più di tutti ha deciso di investire su questa forma di combustibili, spinta soprattutto dalle esigenze industriali di Eni. Il cane a sei zampe, infatti, nel corso degli anni ha visto nei biocarburanti l’occasione per riconvertire il settore in perdita costante della raffinazione in “bioraffinerie”, dedite appunto alla creazione dei biocarburanti. In anticipo rispetto alla normativa europea, la prima “green refinery” è stata a Porto Marghera nel 2014, a cui poi è seguita Gela nel 2019 e, probabilmente già il prossimo anno, Livorno. Ma a tali sforzi industriali non è seguito analoga decisione dal punto di vista politico. Soprattutto perché i biocarburanti si sono dimostrati sconvenienti sotto ogni punto di vista (ci torneremo).
Non sorprende perciò che, come fa notare la Corte, “la diffusione dei biocarburanti avanzati è più lenta del previsto. Come richiesto, tutti i paesi dell’UE hanno imposto obblighi in capo ai fornitori di carburanti, per far sì che la percentuale di energie rinnovabili fosse almeno del 10% entro il 2020 nei settori del trasporto su strada e ferroviario, e del 14% in tutti i settori dei trasporti entro il 2030. Ciononostante, gran parte dei paesi dell’UE (per citarne solo alcuni: Grecia, Polonia, Romania, Francia e Spagna) non ha raggiunto i propri obiettivi”.
Infine c’è da tenere in considerazione l’ambizione europea di diventare il primo Continente a emissioni zero. In questo disegno è chiaro come ci sia poco o zero spazio per i biocarburanti, che invece si sono dimostrati notevolmente impattanti anche sul fronte delle emissioni. Basta guardare al pacchetto Fit for 55, il piano con il quale l’Unione europea punta a ridurre le emissioni nel Vecchio Continente di almeno il 55% entro il 2030. “Il futuro dei biocarburanti è molto incerto anche nel settore del trasporto su strada – riconosce la Corte dei conti Ue – La scommessa ambiziosa sulle auto elettriche e la fine della vendita di auto nuove a benzina e a diesel prevista per il 2035 potrebbero far sì che i biocarburanti non abbiano un futuro su larga scala nel settore del trasporto su strada dell’UE”.
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Tutti i dubbi della Corte sui biocarburanti
“I benefici dei biocarburanti sull’ambiente sono spesso sovrastimati” scrive in maniera netta la Corte dei Conti Ue nella propria relazione. “Ad esempio, i biocarburanti derivanti da materie prime che richiedono terreni coltivabili (e quindi potenzialmente implicanti deforestazione) potrebbero incidere negativamente su biodiversità, suolo e acqua. Questa situazione suscita inevitabilmente questioni etiche riguardanti l’ordine di priorità tra beni alimentari e carburanti”.
“Inoltre – osserva ancora la Corte – la disponibilità di biomassa limita la diffusione dei biocarburanti. La Commissione europea si aspettava di ottenere un aumento dell’indipendenza energetica grazie ai biocarburanti. Tuttavia, la dipendenza da paesi non-UE (ad esempio, le importazioni di olio da cucina esausto da Cina, Regno Unito, Malaysia e Indonesia) è in realtà aumentata drasticamente a causa della crescente domanda di biomassa nel corso degli anni. Il problema è che il settore dei biocarburanti si contende le materie prime con altri settori, in particolare quello alimentare, ma anche quello dei prodotti cosmetici, farmaceutici e delle bioplastiche”.
Questo specifico problema è stato più volte sollevato da varie ong (lo abbiamo raccontato anche qui). E nonostante le denunce e gli allarmi non è mai stato risolto. “Infine – fanno notare i giudici amministrativi comunitari – i biocarburanti sono più cari dei combustibili fossili e, di conseguenza, non sono ancora economicamente sostenibili. Le quote di emissione sono attualmente meno costose della riduzione delle emissioni di CO2 ottenuta utilizzando i biocarburanti, non sempre favorita dalle politiche di bilancio dei paesi dell’UE”.
I biocarburanti si dividono in tre categorie, a seconda della materia prima di provenienza: biocarburanti da colture alimentari e foraggere (la cosiddetta prima generazione), quelli avanzati derivanti da rifiuti, residui e prodotti derivati (la seconda generazione) e quelli derivanti da oli da cucina e grassi animali (la terza generazione). Nonostante gli annunci e i proclami delle industrie, però, i più diffusi sono ancora quelli di prima generazione.
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I problemi dell’approvvigionamento di materie prime
“Esistono delle problematiche per tutte e tre le principali categorie di materie prime” fa notare ancora la Corte. “Per quanto riguarda le colture alimentari e foraggere usate per i biocarburanti, la Commissione non dispone di una panoramica del totale di superfici agricole usate per queste colture nell’UE e perciò non può valutare l’impatto dei biocarburanti derivanti da colture alimentari sulla disponibilità di beni alimentari. Dall’indagine realizzata dalla Corte risulta che 14 Stati membri non avevano informazioni circa le colture per i biocarburanti nel 2014 e nel 2020 e 5 Stati membri hanno dichiarato che non erano stati usati terreni per le colture per i biocarburanti. Nei restanti 8 Stati membri, per alcuni l’area era aumentata, in altri era diminuita, ma il numero totale in ettari era rimasto più o meno lo stesso”.
Persistono parecchie criticità, ancora irrisolte dopo anni di segnalazioni e denunce, anche sui biocarburanti di terza generazione. Qui le frodi accertate sono state evidenziate anche dalla relazione della Corte dei Conti Ue. “Uno studio riconosce che la natura dell’olio da cucina esausto rende difficile confermare che l’olio usato importato sia effettivamente un prodotto di scarto. A ciò si aggiunge il fatto che il prezzo dell’olio da cucina esausto, a causa dell’incremento della domanda di biocarburanti, può essere più alto di quello dell’olio vergine. Nel febbraio 2022 il prezzo di una tonnellata di olio da cucina esausto ha raggiunto i 1.400 euro, quasi il doppio del febbraio 2020. Nel 2022 l’Agenzia internazionale dell’energia (AIE) ha avvisato che, a livello mondiale, se le tendenze attuali non cambiano, i produttori di biodiesel, diesel rinnovabile e biocarburante per l’aviazione si troveranno a far fronte a una crisi dell’approvvigionamento di materie prime nel periodo 2022-2027, riferendosi in particolare all’olio da cucina esausto e ai grassi animali”.
Dal 2011, secondo la ricostruzione della Corte dei Conti Ue, “le importazioni di olio da cucina esausto nell’UE sono aumentate sensibilmente con una grossa percentuale proveniente da Cina, Regno Unito, Malaysia e Indonesia”. I dati in questo senso sono emblematici, con una tendenza a spostare al massimo i luoghi da cui importare gli oli esausti o le materie prime necessarie per ottenere i biocarburanti: dall’olio di palma dell’Indonesia all’olio di ricino del Kenya, come ad esempio ha fatto Eni.
“Mentre l’uso di biocarburanti dovrebbe aumentare l’indipendenza energetica, la biomassa usata per i biocarburanti dovrebbe evitare distorsioni nei mercati delle materie prime dentro e fuori l’UE. Secondo la Commissione, all’inizio degli anni 2000 circa il 90% del consumo di biocarburanti nell’UE-25 era coperto da materie prime di origine interna e il 10% da importazioni. Allo stesso tempo la Commissione si attendeva che i biocarburanti, rispetto ai combustibili fossili, potessero contribuire a ridurre la dipendenza dalle importazioni di energia. Gli esempi mostrano che, vent’anni dopo, la dipendenza dalle importazioni di materie prime è aumentata a causa della crescita negli anni della domanda di biomassa” conclude la Corte dei conti europea.
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L’esempio dell’aviazione
L’assenza di una tabella di marcia chiara è un problema messo in particolare evidenza dagli auditor della Corte. In questo senso l’esempio più emblematico è quello dell’aviazione. Essendo un settore difficile da elettrificare, i biocarburanti avanzati potrebbero rappresentare una buona opzione di decarbonizzazione. La nuova normativa ReFuelEU Aviation, adottata nel 2023, ha fissato il livello richiesto di carburanti sostenibili per l’aviazione (SAF) – inclusi i biocarburanti – al 6% per il 2030, cioè a circa 2,76 milioni di tonnellate di petrolio equivalente. Al momento, però, la capacità di produzione potenziale nell’UE raggiunge a malapena un decimo di quella cifra. Inoltre, non esiste ancora una tabella di marcia a livello UE su come accelerarne la produzione, a differenza degli Stati Uniti.
D’altra parte attualmente i prezzi dei SAF sono da 1,5 a 6 volte superiori a quelli dei carburanti per l’aviazione di origine fossile. La valutazione d’impatto della Commissione per la ReFuelEU Aviation motiva questa ampia variazione con diversi livelli di maturità industriale e tecnologica e con poca certezza dei costi di produzione di alcune filiere dei SAF. Una disparità che, di nuovo, è possibile notare proprio in Italia, dove invece, sempre grazie al ruolo propulsivo di Eni e alla sponda del governo, i SAF cominciano a estendersi: se nel 2021 il cane a sei zampe annunciava la “produzione di carburanti sostenibili per l’aviazione”, in due anni sono stati numerosi gli accordi chiusi dall’azienda – da Fiumicino al Kenya.
Appena qualche giorno fa, nella sede della Cop28 a Dubai, Giuseppe Ricci, direttore generale Energy Evolution Eni, ha affermato che “la stima della domanda complessiva di SAF in Italia è di circa 500mila tonnellate al 2030, e i piani di produzione delle bioraffinerie Eni attraverso la tecnologia HEFA saranno in grado di soddisfarla, ma la nostra strategia è di incrementarne la produzione seguendo la crescente domanda a livello globale”.
Evidentemente le proiezioni di mercato di Eni contano anche sulla capacità del governo italiano di modificare la normativa europea, promuovendo in maniera più ampia e più vantaggiosa l’utilizzo dei biocarburanti, pur con tutti i dubbi che ne accompagnano lo sviluppo. Eppure la realtà finora accertata dalla Corte dei conti europea va in tutt’altra direzione.
Le incertezze della normativa Ue sui biocarburanti
Nell’ultima direttiva UE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, i biocarburanti sono definiti come “carburanti liquidi per il trasporto ricavati dalla biomassa” e devono rispettare determinati criteri di sostenibilità. Nel 2021 la maggior parte dei biocarburanti utilizzati nell’UE derivava da colture (principalmente etanolo e biodiesel).
“Attualmente – scrive la Corte – esiste un obiettivo per il 2030 sull’uso di energia da fonti rinnovabili in tutti i settori dei trasporti combinati (RES-T), ma non ne esiste uno specifico per i trasporti stradali. La RED III ha aumentato l’obiettivo del 2030 per la quota di biocarburanti avanzati nell’energia usati in tutti i trasporti dal 3,5% al 5,5% (ma almeno un punto percentuale deve provenire da carburanti rinnovabili di origine non biologica, gli RFNBO). Gran parte di questo aumento potrebbe essere assorbita dai settori aeronautico e marittimo, mentre la limitazione riguarda l’espansione di biocarburanti derivanti da colture e biocarburanti maturi (parte B) nei trasporti stradali. Ciò lascia poco spazio a un uso maggiore di biocarburanti nei trasporti stradali. Per raggiungere l’ambizioso obiettivo RES-T del 2030 sarà necessario incrementare significativamente le altre fonti di energia rinnovabile”.
“Non esistono neanche indicazioni chiare sulla politica dei biocarburanti dopo il 2030 – sottolinea poi la Corte – Nel 2021 con la revisione dei livelli di prestazione in materia di emissioni di CO2 delle auto nuove, la Commissione ha proposto di vietare dal 2035 la vendita di autovetture nuove con motori a combustione interna. Nel compromesso raggiunto nel 2023, i colegislatori hanno chiesto alla Commissione di proporre di immatricolare dopo il 2035 esclusivamente veicoli che richiedono “carburanti neutri in termini di carbonio”, un termine non ancora definito giuridicamente. Nella situazione attuale, i biocarburanti potranno anche essere usati dopo il 2035 nelle auto già immatricolate. Per quanto riguarda i mezzi pesanti come i camion, più difficili da elettrificare rispetto alle auto, una proposta della Commissione include un obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni di GES entro il 2040, che potrebbe limitare in maniera significativa le immatricolazioni di nuovi camion a diesel”.
La risposta della Commissione sui biocarburanti
Accanto alla dettagliata relazione, sul sito della Corte dei conti europea è possibile consultare anche la risposta della Commissione europea che, in fondo, è la “grande accusata” nella relazione. La Commissione fa notare che “la politica sui biocarburanti deve essere considerata nel contesto della più ampia strategia di attuazione del Green Deal europeo“. In particolare, sul tema specifico dei biocarburanti, vanno tenute in considerazione “la revisione della direttiva sulla promozione delle energie rinnovabili, il regolamento sull’infrastruttura per i combustibili alternativi, il regolamento ReFuelEu Aviation e il regolamento FuelEU Maritime. Le misure – scrive la Commissione – forniranno la prospettiva a lungo termine necessaria per lo sviluppo delle soluzioni di decarbonizzazione in tutte le modalità di trasporto”.
In merito alle accuse principali, cioè la poca sostenibilità dell’intera filiera e la mancata tracciabilità, la Commissione ritiene che “il contributo alla decarbonizzazione dei biocarburanti derivanti da colture alimentari e foraggere sia limitato e che il loro utilizzo per la produzione di energia, che siano prodotti nell’UE o importati, dovrebbe essere ridotto al minimo”. Anche se poi riconosce che “i biocarburanti avanzati (cioè quelli di seconda e terza generazione, nda) sono ancora in una fase iniziale di sviluppo“. In più, scrive ancora la Commissione, “la direttiva RED riveduta si concentra sulla promozione di
biocarburanti avanzati e di altri biocarburanti da rifiuti sostenibili. Tali priorità si riflettono anche nell’uso dei fondi dell’UE“.
Infine “per quanto riguarda la necessità di garantire la tracciabilità delle partite di materie prime e combustibili rinnovabili, nel 2023 la Commissione ha progettato e realizzato la banca dati dell’Unione, che comprende le intere catene globali del valore, dal primo punto di raccolta delle materie prime (in uno Stato membro dell’UE o in un paese terzo) fino al punto di consumo dei carburanti rinnovabili in uno degli Stati membri dell’UE. Questo strumento sarà anche utilizzato dagli Stati membri per comunicare i dati pertinenti ai sensi del regolamento sulla governance”.
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