Claudia Brunori è entrata in Enea nel 1996 e da 25 anni grazie al suo lavoro ha un punto di osservazione completo sull’economia circolare e sulle politiche ambientali del nostro Paese. Attualmente è a capo di una delle divisioni del Dipartimento Sostenibilità dei Sistemi Produttivi e Territoriali ma tutto è iniziato con la sua tesi di laurea. “Mi sono laureata in Chimica ambientale nel ’96 a Roma preparando la tesi in Enea, dove poi sono rimasta fino ad oggi – spiega infatti Claudia Brunori a EconomiaCircolare.com -. L’interesse per l’economia circolare è nato gradualmente, è iniziato tutto nel 2008 quando Enea ha deciso di dedicare un intero laboratorio alla tematica delle tecnologie ambientali con l’obiettivo di supportare direttamente il sistema produttivo nella transizione ecologica. Nel 2010 sono diventata la responsabile di un laboratorio di eco-innovazione dei processi produttivi, dove abbiamo portato a termine numerosi progetti sul territorio e infine nel 2015 con un concorso ho ottenuto il ruolo di Responsabile divisione. Come donna non ho avuto grosse difficoltà con i miei stretti responsabili, nel mio dipartimento ci sono moltissime donne, ma nell’interazione con altre realtà ho più volte notato la mancanza di figure femminili nelle posizioni decisionali. Anche a livello mediatico gli uomini sono chiamati spesso ad intervenire su questi temi, come se noi donne non avessimo abbastanza autorevolezza”.
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Quali sono i principali ostacoli al pieno sviluppo dell’economia circolare?
Esistono purtroppo diversi ostacoli, tecnologici, normativi, finanziari e anche culturali. Una delle principali criticità è la questione impiantistica, mancano impianti in grado di valorizzare i rifiuti prodotti e mancano strumenti per incentivare l’utilizzo delle materie seconde e dei sottoprodotti, che potrebbero invece diventare risorse preziosissime per le imprese. C’è ancora tanto da lavorare sull’ecodesign, sulla progettazione dei prodotti e sulla sensibilizzazione dei consumatori. Di fatto la maggior parte dei prodotti in commercio sono ancora pensati soltanto per l’economia lineare e alla fine l’azione di contrasto allo spreco si concentra solo sulla fase finale del riciclo. In questo modo “l’onere della circolarità” risulta tutto spostato sull’iniziativa del singolo consumatore.
Quali potrebbero essere le soluzioni a questo tipo di problematiche?
Cambiare un modello economico richiede azioni sistemiche complesse che devono essere estese agli attori di diversi settori: istituzioni, imprese, cittadini. C’è bisogno di quindi una governance della transizione e di un piano d’azione nazionale per l’economia circolare. Da un lato servono strumenti normativi e finanziari più forti a supporto delle imprese e incentivi che promuovano stili di vita più sostenibili e dall’altro c’è bisogno di una maggiore azione di coordinamento tra i vari ministeri preposti all’organizzazione del processo di transizione ecologica. Pensare solo alla tutela dell’ambiente è riduttivo e limita le potenzialità di una trasformazione del sistema economico, occorre creare un contesto in cui la transizione sia più semplice e conveniente rispetto all’attuale sistema economico lineare.
Con il Piano nazionale di ripresa e resilienza dovrebbero arrivare anche ingenti risorse destinate a rendere concrete queste azioni…
Sì, e rappresentano un’importantissima occasione per cambiare passo, se non riusciamo ad approfittarne rischiamo un effetto boomerang, con il rischio di rimanere indietro rispetto agli altri Paesi che invece stanno correndo, con piani di azione strategici ambiziosi e ben definiti.
Che cosa pensa della nascita del nuovo ministero della Transizione ecologica?
Il nuovo Ministero della Transizione ecologica, il Mite, può rappresentare una grande opportunità, coordinerà infatti la transizione verso un modello economico più circolare, ma sarà fondamentale implementare azioni integrate che sappiano mediare la necessaria protezione dell’ambiente con le esigenze del sistema produttivo. Un’economia circolare basata sulla gestione attenta delle risorse riesce a coniugare la tutela ambientale con la richiesta di competitività delle aziende, soprattutto le Pmi. Le imprese al momento sono rimaste di competenza del Mise mentre il settore dell’energia è confluito nel ministero della Transizione ecologica, sarà dunque importante vedere come il Mite deciderà di declinare questo processo a partire dalle priorità che verranno individuate nel Pnrr e dalla quantità di fondi che intenderà destinarle. Spero che che davvero il Next Generation Fund rappresenti un investimento per le future generazioni, con scenari che guardano non al domani o al dopodomani ma al futuro dei prossimi cinquant’anni.
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