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lunedì, Dicembre 16, 2024

Cop26 Flop26, il documento finale del “Patto per il clima” punto per punto

Al di là della retorica, questa Cop26 sarà ricordata soprattutto per le decisioni che non è riuscita a prendere: dall'impegno a restare entro gli 1,5 gradi ai 100 miliardi ai Paesi meno sviluppati al dialogo coi giovani. Per non dire dell’economia circolare

Madi Ferrucci
Madi Ferrucci
Nata in provincia di Pisa il 26 giugno 1991. Laureata in Filosofia e diplomata alla scuola di Giornalismo della Fondazione Basso di Roma. Assieme a due colleghi ha vinto il Premio Morrione 2018 e il Premio Colombe d'Oro per la Pace 2019 con un’inchiesta internazionale sulla fabbrica di armi RWM in Sardegna. Ha lavorato a The Post Internazionale nella sezione news e inchieste. Collabora con Economiacircolare.com, il Manifesto e altre testate nazionali. Fa parte del collettivo di giornalisti freelance “Centro di giornalismo permanente".

Al di là della retorica, questa COP26 sarà ricordata soprattutto per le decisioni che non è riuscita a prendere. Il documento finale del “Patto per il clima” è un riassunto plastico di questo fallimento. Nel susseguirsi convulso di bozze e controbozze, sono state fatte numerose aggiunte, annotazioni e correzioni. E alla fine molte delle “vittorie” annunciate nelle scorse settimane dai leader globali sono andate perse.

Cop26: le questioni irrisolte nel documento finale del “Patto per il clima”

Il documento finale del “patto per il clima” di Glasgow è stato pubblicato dopo una notte di negoziati il 14 novembre. Il presidente della Cop26 Alok Sharma ha tenuto una conferenza stampa con la voce spezzata, dicendosi “dispiaciuto per il modo in cui si è svolto il processo”, ma ribadendo la necessità “di proteggere il pacchetto esistente”.

La delusione riguarda in particolare due questioni centrali: i capitoli del documento relativi a finanza e mitigazione. Non c’è l’impegno a mantenere l’aumento della temperatura media del Pianeta entro gli 1,5 gradi. Il patto, infatti, impegna gli Stati firmatari solo a “sforzarsi di rimanere” al di sotto di questa soglia, ma l’obiettivo è fissato ai 2°C, come già previsto dall’accordo di Parigi del 2015. Il tentativo di “tenere in vita” il limite degli 1,5 °C è stato uno dei punti di discussione più difficili da sciogliere nelle trattative. Ma secondo le stime degli esperti, con gli impegni presi a Glasgow sarebbe difficile riuscire a rispettare la promessa.

Il secondo annuncio disatteso riguarda i 100 miliardi ai paesi meno sviluppati. Proposti nel 2009 e poi riconfermati nel 2015 dopo l’accordo di Parigi, di fatto non sono mai arrivati. La Cop26 era stata l’occasione per tornare a fare il punto sui finanziamenti: sia il primo ministro britannico Boris Johnson che il presidente statunitense Biden ne avevano sottolineata l’importanza. Il fondo è stato presente nella bozza del patto fino alla sua versione finale, dove però i soldi sono di nuovo spariti dal testo.

E l’ultimo grande fallimento è l’impegno ad uscire dal carbone. Nella bozza iniziale i membri della Cop si impegnavano ad un “phasing out” dal carbone, dunque ad abbandonarlo. Ma per l’opposizione forte di Cina e India durante l’ultima giornata di negoziati si è accolta la formula ben più blanda di “phase down unabated fuels”.

In sostanza significa che ci si impegna “a ridurre (non eliminare) le risorse fossili che non possono essere abbattute”: restano escluse da questo sforzo “quindi” tutte le fonti (come il gas) che invece si possono compensare con tecnologie come la cattura e lo stoccaggio di CO2.

Giovedì 18 ore 18 segui il webinar “Cop26: flop26? Gli esiti del negoziato e quello che serve per contrastare l’emergenza climatica, raccontati da scienza, informazione e attivismo

Cop26: I punti “positivi” del documento finale del “Patto per il clima”

Un fallimento su tutta la linea che rimanda le discussioni alla Cop del prossimo anno in Egitto. In questo scenario le parole introduttive inserite nel patto dopo le forti proteste degli attivisti fuori dai cancelli suonano quasi ironiche. Si ribadisce, infatti, “l’importanza per alcuni del concetto di giustizia climatica nella lotta al cambiamento climatico”. Sulla formula “per alcuni”, hanno ribattuto gli attivisti, ci sarebbe però da discutere a lungo.

Tra i pochi risultati positivi la richiesta agli Stati di “rivedere a livello nazionale i propri target di emissione entro la fine del 2022 in modo da rispettare gli obiettivi di Parigi”, ma se il check annuale appare una buona notizia, alla luce delle indecisioni mostrate sui punti chiave del patto suona più come l’ennesimo rinvio.

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E poi c’è l’impegno a valutare un finanziamento per i “danni e perdite” dei Paesi più svantaggiati e colpiti dagli effetti dei cambiamenti climatici, un paragrafo rafforzato nelle ultime giornate a seguito delle pressioni dei delegati dei Paesi interessati dai finanziamenti. Anche qui però la discussione è rimandata al prossimo incontro in Egitto.

Si riconosce infine l’importanza del dialogo con i giovani, con “piattaforme ad hoc dedicate”.

Durante la preCOP di Milano dello scorso ottobre, la piattaforma dei giovani delegati ufficiali “Youth4Climate” aveva creato qualche malumore  tra i grandi della Terra. Una parte di quei giovani, infatti, accuratamente selezionati tra influencer e piccoli business boys, si era ribellata durante le discussioni, imponendo un tavolo sulle fonti fossili. Non è chiaro, invece, che tipo di caratteristiche dovrebbero avere queste nuove piattaforme.

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Cop26: nel documento finale del “Patto per il clima” zero circolarità

Sul tema dell’economia circolare, invece, unica vera notizia è che non c’è alcuna notizia. Non si affronta il tema in maniera esplicita in nessun punto del documento: nessun riferimento neanche alla questione – attualissima – del prezzo (e del sovrasfruttamento) delle materie prime. Evidentemente la preoccupazione di come ricostruire un’economia diversa mentre si dovrebbero (teoricamente) smantellare i settori dell’industria fossile non è nella lista delle priorità.

Intanto proprio durante la COP è stato presentato l’IPCC report delle Nazioni Unite sugli scenari che ci aspettano con le attuali politiche ambientali. Secondo lo studio se continueremo così lo scenario peggiore a fine secolo si aggira intorno a un aumento fino a 5 gradi della temperatura. La soglia dei 2,5 °C potrebbe essere raggiunta già nel 2050. Tradotto in termini semplici dovremo aspettarci migrazioni di massa, catastrofi ambientali, innalzamento vertiginoso dei livelli del mare, nuovi conflitti armati. La fine del mondo per come lo conosciamo.

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