Crescita economica, tutela dell’ambiente ed equità non sono inconciliabili tra di loro: è solo l’attuale sistema economico a non essere riuscito a trovare la sintesi, ma una crescita sana è possibile. Si muove lungo questo crinale scivoloso l’opera di ricerca di Per Espen Stoknes, contenuta nel saggio “L’economia di domani”, edito da Franco Angeli. Stoknes non cerca, infatti, una specie di “via mediana” tra le idee liberiste alla base del capitalismo e le teorie sulla decrescita felice dei filosofi ecologisti.
È più un’attitudine all’ascolto, connaturata alla sua formazione da psicologo, prima di economista, che di fronte all’incomunicabilità tra visioni contrapposte, lo porta ad accettare la validità di prospettive differenti e proporre una soluzione in cui la crescita economica resta il motore dello sviluppo, mentre degrado ecologico e disuguaglianze sono ostacoli da rimuovere.
Eppure, finora, il mondo ha ricercato una crescita definita da Stoknes “grigia”, esclusivamente orientata al Pil: e le cose sono andate male per l’ambiente e per la giustizia sociale. E anche per la psiche degli individui: molti disturbi affrontati da Stoknes nei primi anni di lavoro da psicoterapeuta, ricorda, erano riconducibili alle pressioni della società e del mercato del lavoro così come è stato concepito negli ultimi due secoli. Ecco perché serve cambiare: per la salute del pianeta e dei suoi abitanti.
Professor Stoknes, potrebbe definire con più precisione cosa significhi crescita “sana” o “verde”, coma la chiama in altre parti del libro?
Da almeno 35 anni economisti e politici discutono sul concetto di sviluppo sostenibile, senza però trovarsi d’accordo su cosa significhi nella pratica e sulla velocità con cui vadano introdotti i cambiamenti. La crescita sana vuole essere un modello quantificabile di sviluppo da utilizzare a ogni livello: aziende, città, settori dell’economia come l’industria, l’edilizia o la mobilità, fino agli Stati nazionali.
La crescita è sana quando la creazione di valore prodotta da qualsiasi attore economico utilizza le risorse in modo sufficientemente intelligente e più inclusivo ogni anno. La crescita sana crea profitti misurabili, utilizza in modo più produttivo le risorse e porta maggiore redistribuzione della ricchezza. In poche parole, la crescita sana è una crescita verde ed equa.
Come misura la crescita sana? Pensa servono nuovi strumenti di misurazione rispetto al Pil?
L’obiettivo è avere un tasso di crescita sana mondiale del 5% annuo per arrivare entro il 2050 a società con più benessere in tutto il globo. Per misurarla, però, bisogna andare oltre al Pil. Non dico sia necessario eliminarlo, perché ormai questo strumento di misurazione ha radici profonde nel pensiero economico: le aziende nei loro bilanci tengono conto degli attivi e passivi, ovvero quello che il Pil misura a livello aggregato in una nazione. Sono convinto si debba, però, considerare il Pil in un’ottica più ampia, in cui al capitale economico si affiancano il capitale sociale e naturale.
Strumenti di misurazione utili da aggiungere al Pil sono la produttività del lavoro e la produttività delle risorse. L’obiettivo è migliorare ogni anno la produttività per ora lavorata e ridurre le tonnellate di materiale utilizzate per unità di prodotto. Infine, gli strumenti per valutare l’equità in una società: ogni anno il reddito del 40 per cento della popolazione più povera deve crescere, mentre il livello di disuguaglianza deve diminuire. Invece, stiamo assistendo a una crisi di ineguaglianza in cui crescono economia e differenze tra i ceti sociali.
Il mercato da solo può garantire una crescita sana o serve il supporto dello Stato per sostenerla e scoraggiare la crescita grigia?
Nel libro considero tutti gli attori dell’economia: gli individui, le aziende e i governi. Gli individui con le loro scelte influenzano il mercato e la politica. Le aziende sono fondamentali per modificare velocemente il sistema economico in modo da adattarlo alla crescita sana e, infine, i governi determinano l’indirizzo politico. È un sistema triangolare dove i tre attori devono muoversi in sincrono nella stessa direzione. Se uno non si muove, rallenta il cambiamento dell’intero sistema.
In questo momento storico, quale pensa sia la forza che più rallenta il cambiamento?
Attualmente vedo nelle aziende la forza trainante del cambiamento, sia nella ricerca di innovazione, sia nella volontà di passare all’elettrificazione dei trasporti e accettare di stilare report di sostenibilità. Un ostacolo, invece, in molte nazioni, come Italia, Regno Unito e Svezia viene dall’elettorato che privilegia forze politiche contrarie al cambiamento.
Certo, alla base c’è un errore della politica stessa, che ha fallito nel comunicare ai cittadini come una crescita sana porti vantaggi a tutta la popolazione. Invece, per molti individui la crescita economica è un privilegio esclusivo delle élite e la tutela dell’ambiente aggrava la crisi economica in atto. È il risultato di non aver affrontato per anni il problema della disuguaglianza nella società.
Lei è anche psicologo: c’è una relazione tra la crescita personale e la crescita sana di un’economia?
Per lo sviluppo personale è importante avere un “growth mindset” (mentalità di crescita). In psicologia è ben noto l’effetto per cui se una persona ritiene o viene indotta a pensare di avere una bassa capacità intellettiva, con molta probabilità rinuncerà alla sua formazione perché, ad esempio, voti scolastici bassi confermeranno il pregiudizio.
All’opposto, coloro che fissano target troppo alti, quando si accorgono di non poterli raggiungere, li abbandonano, interrompendo ugualmente il percorso di crescita. Invece la mentalità orientata alla crescita si basa sul miglioramento graduale: al di là del punto di partenza o degli obiettivi di arrivo bisogna crescere poco alla volta, ogni settimana deve essere migliore alla precedente.
E questa mentalità come influenza gli individui nel suo modello triangolare?
Gli individui per modificare e migliorare un sistema economico possono applicare questo tipo di mentalità e compiere quattro azioni:
- Come consumatori, acquistare un po’ più “green” ogni settimana o ogni anno. Per esempio sostituire il motorino con una bicicletta elettrica.
- Come lavoratori, rendere più verde o sostenibile la propria mansione o il progetto per il quale si lavora.
- Come proprietari di casa, automobili o fondi pensione, cercare di rendere a mano a mano le nostre proprietà sempre più verdi: ad esempio installando pannelli solari nell’abitazione o fare investimenti Esg con i propri risparmi.
- Come cittadini, votare per i partiti a sostegno di politiche verdi e inclusive. Monitorare le promesse dei politici e se non vengono rispettate parlarne con gli amici, sul posto di lavoro oppure fare attivismo.
Sembrano tempi particolarmente complicati per sperare in una crescita sana. La crisi economica spinge le persone a concentrarsi sull’interesse immediato e individuale, mentre i partiti inseguono soluzioni a breve termine e semplicistiche.
La crisi combinata della guerra, dell’inflazione e della pandemia è preoccupante. La prima cosa da fare è raggiungere la sicurezza energetica, rinunciando all’energia fossile, spesso soggetta al volere di Paesi dittatoriali, e investendo nell’energia libera, quella rinnovabile.
I governi possono rendere più appetibile il passaggio alle fonti rinnovabili, ad esempio diminuendo la burocrazia per chi desidera installare pannelli solari nelle proprie abitazioni, oppure incentivare forme di leasing in modo che le persone con reddito più basso possano permettersi pannelli solari o automobili elettriche, più convenienti da guidare ma con un alto costo di acquisto. Così si stimola una domanda green e le persone più povere sono meno vulnerabili ai cambiamenti e all’aumento dei prezzi dell’energia.
Quale può essere il ruolo dell’economia circolare nel cambiamento?
Sicuramente centrale. Il 90% delle risorse sono utilizzate dall’uomo una sola volta, poi diventano inquinamento o rifiuti. Solo il 10% produce valore in più di un utilizzo: è uno spreco immenso. Il problema è che abbiamo pensato nei secoli scorsi a un sistema economico che funzionasse così: take, make and waste.
Per uscirne una delle chiavi è un approccio craddle to craddle (dalla culla alla culla), a partire dal design per risparmiare sui materiali usati. E poi l’elettrificazione dei trasporti e l’efficientamento energetico degli edifici. A quel punto l’economia diventerà inevitabilmente più circolare. Per la transizione, però, non possiamo attendere le scelte dei consumatori. Devono essere i governi, in collaborazione con le aziende, a facilitarla e accelerarla.
Per le nazioni in via di sviluppo il modello della crescita sana va bene o visto che hanno bisogno di alti tassi di crescita possono restare ancorate al vecchio sistema?
Le aziende verdi devono crescere più rapidamente delle altre, in modo che possano essere più competitive e cacciare dal mercato le aziende “marroni” e “grigie”. Per le nazioni in via di sviluppo allo stessa maniera il tasso di crescita deve essere superiore rispetto a quello delle nazioni sviluppate. Stati come l’India hanno bisogno di una crescita economica maggiore e possono avere un’impronta di carbonio più alta rispetto a Paesi come l’Italia o la Norvegia, dove invece c’è bisogno di ridurre i consumi. La crescita sana è un indicatore dinamico da adattare ai contesti: ma le regole valgono per tutti.
Cosa pensa della teoria della decrescita?
Se guardo alle singole politiche proposte dal movimento della decrescita, sono molto simili a quelle di cui parlo per una crescita sana. Ad esempio puntare sull’economia circolare, l’agricoltura rigenerativa o maggiore redistribuzione delle risorse. Tuttavia, in termini di comunicazione il movimento della decrescita attrae solo una piccola minoranza della popolazione, perlopiù sinistra ecologista o intellettuali. Quindi non penso abbia la possibilità di affermarsi a livello politico e può essere controproducente perché allontana una parte di opinione pubblica da politiche in realtà indispensabili, ma in un’ottica di crescita sana.
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