Quale è il ruolo del design nella ricerca della sostenibilità? È a questa domanda che si è cercato di rispondere nel corso della prima lezione di “Ecodesign the Future: batteries edition – workshop progettuale di design per la sostenibilità”, il percorso formativo, ideato e organizzato da Economiacircolare.com in collaborazione con Erion Energy, e patrocinato dall’ADI Design Museum, dall’ISIA Roma Design e dal Poliarte Accademia di Belle Arti e Design. Dopo l’evento di apertura incentrato sul tema delle batterie e dei sistemi di ricarica, si è tenuta una lezione sul ruolo del design nella sostenibilità a cura di Paolo Crescenti, designer e docente universitario.
“Cambiare mentalità e modello di sviluppo – ha sottolineato Crescenti – necessita di molto tempo ma in questo il design ha un ruolo sempre maggiore: posso disegnare e creare un oggetto che in quel momento può definirsi sostenibile ma posso anche intervenire a monte del processo cambiando la mentalità delle persone e spostandomi verso un modello di sviluppo che abbia un impatto minore a livello ambientale”.
Il vero impatto ambientale di prodotti e servizi
Dopo aver ha tracciato una panoramica sulle maggiori questioni ambientali entro cui il designer deve operare – dalle risorse disponibili sulla terra sino alle isole di plastica nell’Atlantico, dalle necessità legata al riciclo, sino alle risposte operative in atto, come il pacchetto europeo dedicato all’ecodesign, – Crescenti ha poi spostato l’attenzione sulla complessità di definire la sostenibilità di un prodotto o di un servizio, prendendo come esempio una sedia in cartone. Ad un primo sguardo si potrebbe infatti pensare che si tratti di una scelta a basso impatto ambientale, in quanto il cartone è un materiale rinnovabile, ma se si pone a confronto con una sedia in legno di buona qualità, è evidente come vi siano dei grandi limiti in questo senso. La sedia in legno presa come punto di riferimento da Crescenti è poi una sedia savonarola del 1500, che vanta anche un altissimo valore storico e culturale, non progettata con l’obiettivo della sostenibilità ambientale, ovviamente, ma estremamente durevole.
“Se mi pongo la domanda – spiega Crescenti – di quanti sedie di cartone servirebbero per far sedere le persone così a lungo come è avvenuto con questa sedia, ecco che inizio a capire il reale impatto della sedia in cartone, perché metto in relazione oltre a come sono realizzati gli oggetti anche il tempo e la loro durata”.
Stesso discorso si potrebbe fare per una penna in materiale biodegradabile che potrebbe sembrare una scelta più sostenibile rispetto ad una penna in plastica – anche se i lettori di EconomiaCircolare.com sanno che il discorso sulle bioplastiche è ben più complesso – ma se la metto a confronto con una penna Montblanc, ne colgo i limiti. Anche in questo caso si tratta di un oggetto di design che non viene progettato con un’ottica attenta all’ambiente ma che grazie alla sua durabilità strizza l’occhio alla sostenibilità: l’azienda rifornisce i pezzi di ricambio e spesso si tramanda in famiglia, diventando un oggetto di culto e di affezione.
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La scelta del materiale
Crescenti sottolinea anche come definire un materiale “naturale” e preferirlo ad uno “artificiale” sia ingannevole: “anche l’amianto è naturale, e sappiamo che è cancerogeno e ci sono grandi problemi legati suo smaltimento”. Molto dipende dal modo in cui questi materiali vengono usati e soprattutto riciclati e reimpiegati: un prototipo della Renault di qualche anno fa, ad esempio, ha visto un’auto costruita interamente in materiali riciclati; l’impatto ambientale di questi oggetti è mitigato quindi dal fatto che non si stanno utilizzando materie prime vergini bensì materiali riciclati.
Ma, come sappiamo, l’impatto ambientale degli oggetti non è dato solo dalle caratteristiche del materiale in quanto tale ma anche da come questo risponde alle varie fasi del ciclo di vita: in che modo vengono estratte le materie prime, come viene lavorato, dismesso e riutilizzato. L’insieme di questi molteplici fattori delinea la reale sostenibilità dei prodotti: certo, è sempre più complesso parlare di progetti sostenibili a tutto tondo, ma secondo Crescenti è quello verso cui dobbiamo obbligatoriamente tendere. “Come progettisti – ha detto – quello che facciamo è cercare strade alternative e interessanti per fare in maniera innovativa ciò che è già stato fatto, o creando archetipi che ci facciano vivere la contemporaneità al meglio delle nostre possibilità”.
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Il tempo a disposizione
L’approccio alla sostenibilità ambientale di un progettista dipende dal tempo a disposizione: se si ha meno tempo si avrà la possibilità di intervenire solo a valle del processo, cioè nell’ultimo passaggio della catena dove l’effetto è immediatamente visibile, per esempio progettando un pc prodotto con meno plastica possibile.
Se però si ha più tempo, si può risalire la catena di produzione, andando ad agire sempre più in profondità sul modello di sviluppo: in questo modo si ha la possibilità di intervenire non solo su come è realizzato l’oggetto ma sul processo che lo crea, rendendolo più efficiente, più efficace e meno impattante.
Si può persino sostenere che quell’oggetto non serve e magari inglobarlo e sostituirlo con un servizio, un sistema che in qualche modo non rende più necessario la sua esistenza. Un esempio sono i servizi postali, la cui spesa non è più sostenibile perché il volume di posta ordinaria è sceso drasticamente grazie alla posta elettronica. Anche se, fa notare Crescenti, non è detto che la quantità di chat che viene scambiata in tutto il mondo ogni giorno sia inferiore rispetto all’impatto energetico scaturito dall’inviare posta in modo tradizionale.
“Ogni volta che modifichiamo, creiamo possibilità ma anche problemi che dobbiamo saper gestire. – afferma il docente – Per esempio, potrebbe essere utile agire sul processo educativo, intervenendo sui modelli di consumo e di accesso ai servizi”.
“Come designer – spiega – dobbiamo affrontare l’idea di disegnare l’ennesimo oggetto perché siamo già carichi di moltissimi oggetti, ma siamo fortunati perché il mondo che c’è sotto i nostri occhi non è disegnato per essere sostenibile quindi l’opportunità che abbiamo è quella di provare e progettare oggetti che abbiano un impatto minore: questo è un grandissimo stimolo per trovare soluzioni, possibilità e potenzialità da mettere in campo”.
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Il design deve avere una visione sistemica
Disegnare un oggetto seguendo i dettami dell’economia lineare – in un percorso dalla culla alla tomba in cui l’oggetto viene pensato, prodotto, utilizzato e dismesso – significa contare sulle risorse a nostra disposizione come infinite e dunque convergere verso una crisi delle materie prime.
“Il nostro modo di pensare – ha fatto sapere Crescenti – si deve spostare verso un modello di consumo con un approccio rigenerativo: l’economia circolare dovrebbe essere il modello economico che sovrintende il nostro agire di designer ma attualmente, purtroppo, non lo è”. L’obiettivo da perseguire è dunque il circular design: tendere verso zero rifiuti ed emissioni, allungando il più possibile la vita dell’oggetto, riparandolo, riutilizzandolo e rigenerandolo.
Life cycle design
In quest’ottica di produzione, consumo e riciclo si inserisce il life cycle design, quando cioè un oggetto viene sviluppato tenendo in considerazione il suo ciclo di vita, in cui non c’è soluzione di continuità.
Le strategie per muoversi in questo senso possono includere la progettazione per l’efficienza energetica, per la riduzione dei materiali, per la durabilità, la disassemblabilità dei prodotti, e il renderli riutilizzabili e riciclabili.
Per un designer che vuole approcciarsi all’innovazione in maniera sostenibile, creare un nuovo manufatto vuol dire quindi mettere all’interno di quel progetto una o più delle strategie succitate. “Oggi – continua – creo la soluzione meno impattante tra le sedie che si sono in commercio: l’obiettivo successivo sarà superarmi o anche farmi superare da chi avrà un’altra intuizione, un’altra idea e utilizzerà energie e materiali diversi per arrivare ad una gara dove vincono tutti”.
Design per l’efficienza energetica
Vediamo alcune strategie a disposizione del designer nello specifico. Il design per l’efficienza energetica implica l’ottimizzazione dei cicli di funzionamento, per esempio lavorando sullo stand-by e sul risparmio energetico quando i dispositivi non vengono utilizzati, efficientare il sistema dematerializzando quindi spingendo verso l’elettronica o integrando le funzioni. Quest’ultima è facilmente ravvisabile in tutte le funzioni dei tanti oggetti diversi (sveglia, orologio, calcolatrice, navigatore, radio, tv, registratore vocale solo per citarne alcuni) che sono stati facilmente sostituiti da applicazioni sullo smartphone.
Design per la riduzione di materiale
La riduzione del materiale avviene invece ottimizzando le prestazioni strutturali, in modo che la materia sia messa dove serve e tolta dove non occorre. Ottimizzare la produzione, riducendo gli sfridi e scarti, è una pratiche che è sempre stata portata avanti nel design ma che oggi ricopre un nuovo valore: ridurre sì ma fare anche in modo che quello scarto sia di nuovo processabile e non finisca in discarica. Prediligere materiali a bassi processi energivori e al contempo ridurre il materiale impiegato così da subire di meno i costi legati alle materie prime e allo smaltimento: ad esempio i led, molto più piccoli rispetto alle classiche lampadine, permettono oggi di creare lampade quasi eteree, interessanti da un punto di vista estetico e con un notevole risparmio di materiali.
Un altro punto verso la riduzione di materiale è proprio la dematerializzazione fisica e, di nuovo, l’innovazione tecnologica si rende necessaria a questo scopo.
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Design per la durabilità
Prima che un oggetto diventi antico, come la sedie savonarola di cui parlavamo in precedenza, gli viene comunemente attribuito l’aggettivo non proprio lusinghiero di vecchio ma cambiare questo approccio è l’unico modo per garantire la durabilità dei prodotti. “Dovremmo imparare – asserisce Crescenti – a godere dell’usura degli oggetti, anche progettandoli in modo da farli invecchiare bene e maturare con il tempo, come un oggetto in pelle ad esempio”.
Come fare dunque per garantire che un prodotto non abbia vita breve? Realizzare oggetti di classic design, il cui disegno è senza tempo, non dipende completamente dal designer e non è possibile prevederlo, si può però fare in modo che gli oggetti siano disassemblabili in maniera veloce e con arnesi comuni, e riparabili. Sarebbe bene evitare quindi colle, clips e viti in favore di giunzioni che rendano più semplice smontare l’oggetto; avvalersi poi di componenti standard, modulari e raggruppati per funzione. Un altro step è non utilizzare materiali compositi ma fare in modo che l’oggetto sia separabile nelle sue materie prime, indicando sin dalla progettazione le varie componenti per il riciclo e quelle non riciclabili o tossiche.
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L’analisi LCA non basta
Se quindi per muoverci, da designer o più semplicemente da consumatori, nell’intricato mondo della sostenibilità il nostro faro è l’analisi del ciclo di vita (in inglese Life Cycle Assessment, LCA), è bene tenere a mente che pur rimanendo uno strumento utilissimo nel definire l’impatto ambientale di un prodotto presenta anch’esso dei limiti, come già sottolineato in un’indagine commissionata dal movimento Break free from plastic e denunciato nel report di Zero Waste Europe, dal titolo “Giustificare l’inquinamento della plastica, le carenze del Life cycle assessment nelle strategie per gli imballaggi di alimenti”.
Anche secondo Crescenti, LCA valuta la salute dall’atmosfera, della biosfera e l’esaurimento delle risorse ma non contempla l’impatto socio, etico ed economico. Il docente prende come esempio i biocarburanti che, dal punto di vista delle emissioni potrebbero sembrare una scelta sostenibile – anche se trasporti a zero emissioni saranno possibili solo con il completo passaggio all’elettrico – ma che vengono prodotti con colture alimentari: ogni giorno l’Europa trasforma diecimila tonnellate di grano, l’equivalente di 15 milioni di pagnotte, in etanolo con cui produrre appunto biocarburante per le automobili. Pone dunque una grande questione etica, oltre che ambientale che l’LCA non prende in considerazione, e di cui invece il designer ha il dovere morale di tenere conto.
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