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lunedì, Maggio 13, 2024

Arredare con i rifiuti: la top 5 del design da materiali di scarto

Nuovo appuntamento con i nostri “Oscar del design circolare”, con una sezione dedicata unicamente ai prodotti realizzati a partire da rifiuti: dalle buste di plastica, alle scorie della lavorazione del metallo, passando per le foglie che avvolgono la pannocchia di granturco e tanto altro

Maurita Cardone
Maurita Cardone
Giornalista freelance, pr e organizzatrice culturale, ha lavorato per diverse testate tra cui Il Tempo, Il Sole 24 Ore, La Nuova Ecologia. Abruzzese trapiantata a New York dove è stata vicedirettore di una testata italiana online, attualmente è corrispondente dagli USA per Artribune oltre a collaborare con diversi media italiani e non. Si occupa di temi sociali e culturali con particolare attenzione alle intersezioni tra arte e attivismo.

Dopo i nostri Oscar del design circolare, come promesso, continuiamo ad esplorare le tante possibilità per arredare le nostre case e riempire i nostri armadi con prodotti che non solo rendono più bello il nostro spazio privato, ma contribuiscono a salvaguardare il mondo che tutti condividiamo. Partiamo quindi con delle “top 5” specifiche per ognuna delle categorie di design circolare che vi abbiamo presentato per gli Oscar.

Iniziamo da oggetti di design realizzati con rifiuti, quindi con materiali che altrimenti finirebbero ad ingrandire le discariche. Per questa categoria, il nostro Oscar era andato a Bureo che realizza skateboard e abbigliamento sportivo con NetPlus, un materiale prodotto al cento per cento da reti scartate da pescatori del Sud America. Ma gli esempi sono tanti come tanti sono i materiali che si possono realizzare a partire da quello che scartiamo.

Dagli oceani al tuo giardino

Le reti da pesca non sono sole negli oceani: bottiglie, flaconi e oggetti in plastica di vario genere sono altrettanto comuni nelle acque del Pianeta. Per anni, l’azienda americana YardBird ha raccolto i rifiuti plastici che riempivano i mari e i corsi d’acqua delle Filippine per utilizzarli nella produzione di un materiale che oggi rappresenta il 64% del totale della plastica utilizzata dall’azienda per produrre i propri mobili e imballaggi. Sul sito internet dell’azienda, per ogni prodotto è indicata la quantità di plastica intercettata dagli oceani utilizzata per realizzarlo. Così YardBird produce arredi da giardino belli, resistenti e a loro volta riciclabili, grazie a un programma attraverso il quale il consumatore può restituire gli arredi all’azienda. Inoltre YardBird assicura imballaggi che utilizzano il 30% di materiali in meno rispetto alla media del settore e realizzati al 50% con materiali riciclati.

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Set da giardino Harriet Fire, YardBird – Courtesy: YardBird

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Tappeti di buste di plastica 

Tra i rifiuti plastici, tra i più insidiosi e onnipresenti sono i sacchetti per la spesa. Seppure in molti paesi occidentali le buste di plastica sono ormai quasi del tutto vietate, in altre parti del mondo restano un enorme problema che, quando non finisce nell’ambiente, va ad affollare le discariche. È vero per esempio in Egitto dove Reform Studio ha trovato un modo per affrontare il problema in maniera creativa. Dalle buste di plastica, infatti, questi designer creano un tessuto che utilizzano per realizzare abiti, accessori, tappeti e tappezzeria per sedie, sgabelli e pouf. L’obiettivo non è solo di natura puramente ambientale, ma è anche quello di rivitalizzare la tessitura tradizionale, valorizzare l’artigianato locale e creare opportunità per le donne delle zone rurali del Paese. Sul proprio sito, l’azienda indica per ogni prodotto quante buste di plastica sono state utilizzate e quante persone hanno lavorato alla realizzazione dell’oggetto.

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Tappeto Wilson Rug, Reform Studio – Courtesy: Reform Studio

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Dalla polvere alle sedie

Inevitabile sottoprodotto della lavorazione del metallo sono le scorie, spesso in forma di polveri o fanghi, potenzialmente tossici. Il materiale di scarto è il prodotto indesiderato dei processi di estrazione, lavorazione, nonché di riciclaggio del metallo per secondi usi. Da quelle scorie Studio ThusThat realizza eleganti oggetti d’arredo che prendono i colori dei metalli da cui sono realizzati, mentre eliminano i componenti tossici grazie a procedimenti di cattura di questi componenti all’interno del materiale. I creatori del progetto, Kevin Rouff, Paco Böckelmann e Guillermo Whittembury, hanno ideato diverse serie con materiali diversi e design sempre originali. La nostra preferita è la sedia Sparkly Black, realizzata con una malta geopolimerica preparata utilizzando scorie in polvere come legante e scorie più grossolane come aggregato. Le scorie svolgono anche la funzione di cassaforma, in quanto la malta viene versata in un letto realizzato con gli stessi materiali.

Sedia Sparkly Black, Studio ThusThat – Courtesy: Studio ThusThat

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Lo sgabello vien dal mare

Anche quando non si tratta di sostanze tossiche, i rifiuti sono sempre rifiuti e, in un’ottica circolare, niente va scartato. Ben vengano allora le idee più fantasiose, come quella della designer londinese Bethan Gray che, per la sua collezione “Exploring Eden” (immagine in copertina) con Nature Squared, si è inventata un modo per riutilizzare i gusci di molluschi utilizzati nell’industria alimentare. Gusci di abalone, capesante, ostriche, eccetera vengono acquistati dai ristoranti o dagli stessi pescatori di diverse zone del mondo. In questo modo, Nature Squared offre alle industrie locali una fonte di reddito aggiuntiva, oltre a collaborare con progetti di conservazione e ripristino dei mari. I gusci vengono poi triturati per produrre materiali di sorprendente bellezza. Della stessa collezione fanno parte sgabelli realizzati con penne d’oca scartate dalle industrie agricole e alimentari.

Un materiale dalla spannocchiatura

Sempre dall’industria alimentare viene l’idea del designer messicano Fernando Laposse che ha creato un materiale per rivestimenti utilizzando le foglie del cartoccio che avvolgono la spiga di una qualità di granturco autoctona del suo Paese. Si tratta di foglie fibrose di diverse sfumature che vanno dal beige al rosso e che vengono appiattite e incollate a mano su una fibra di legno e cartone che dà loro struttura. Totomoxtle, questo il nome del materiale, è stato sviluppato in collaborazione con comunità di agricoltori indigeni che da anni lottano per conservare le varianti autoctone del mais, opponendosi all’introduzione di mais geneticamente modificato. Gli stessi agricoltori sono coinvolti anche nel delicato processo di manifattura del materiale, creando così occupazione locale.

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Totomoxtle del designer Fernando Laposse – Courtesy: Fernando Laposse

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