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domenica, Dicembre 15, 2024

L’economia circolare è la nostra più grande alleata nella lotta ai cambiamenti climatici

Si sottovaluta sempre il ruolo dell'economia circolare nella riduzione delle emissioni di gas serra. Il working paper della PACE (Platform for Accelerating the Circular Economy) propone nove azioni da mettere subito in campo per sfruttare al meglio i benefici dell’economia circolare nella lotta ai cambiamenti climatici

Carlotta Indiano
Carlotta Indiano
Classe ‘93. Giornalista freelance. Laureata in Cooperazione e Sviluppo e diplomata alla Scuola di Giornalismo della Fondazione Basso a Roma. Si occupa di ambiente ed energia. Il suo lavoro è basato su un approccio intersezionale, femminista e decoloniale. Scrive per IrpiMedia e collabora con altre testate.

Come può l’economia circolare contribuire a combattere la crisi climatica? Il working paper della PACE (Platform for Accelerating the Circular Economy) propone nove azioni da mettere subito in campo per sfruttare al meglio i benefici dell’economia circolare nella lotta ai cambiamenti climatici.

L’Accordo di Parigi persegue l’obiettivo di limitare ben al di sotto dei 2 gradi Celsius il riscaldamento medio globale rispetto al periodo preindustriale, puntando a un aumento massimo della temperatura pari a 1,5 gradi. Ma raggiungere il net-zero entro il 2050 richiederà cambiamenti epocali, soprattuto in termini di consumo.

Nonostante la richiesta di rafforzare gli obiettivi dei Contributi Nazionali Determinati (NDC) – lo strumento principale dell’Accordo di Parigi che illustra gli sforzi compiuti da ciascun paese per ridurre le emissioni nazionali e adattarsi alle conseguenze dei cambiamenti climatici –  i progressi compiuti fino ad oggi risultano tristemente inadeguati, così come accertato ultimamente dall’Unep con l’Emission Gap Report 2022, che ha parlato di “disastro climatico”.

Collettivamente, i Paesi non sono sulla buona strada per raggiungere i loro NDC, causando un divario di attuazione, ossia una differenza evidente tra le emissioni previste con le politiche attuali e le emissioni previste con la piena attuazione dell’NDC. Si stima che sia necessaria una riduzione del 30% delle emissioni attuali entro il 2030 per mantenere la temperatura globale sotto i 2°C gradi e una riduzione del 45% per mantenere la temperatura sotto 1.5°C gradi. Per colmare il divario sono necessarie ulteriori strategie e azioni.

La Platform for Accelerating the Circular Economy (PACE) – piattaforma collaborativa che dal 2018 riunisce leader del settore privato e pubblico per contribuire ad accelerare la transizione verso un’economia circolare a livello globale – ha pubblicato lo scorso novembre il report “Circular economy as a climate strategy: current knowledge and calls-to-action”.

L’obiettivo è quello di raccogliere le attuali pratiche e conoscenze sul potenziale ruolo che l’economia circolare ha all’interno del contrasto ai cambiamenti climatici, compresa la mitigazione e l’adattamento.

Si stima che dei 100 miliardi di tonnellate di risorse che il mondo utilizza ogni anno, solo l’8,6% venga reimmesso nella nostra economia: oltre il 90% di ciò che produciamo va sprecato. Il modello lineare di estrazione, utilizzo e spreco è uno dei problemi principali legati al riscaldamento globale, oltre a essere una causa diretta dell’eccessivo sfruttamento delle risorse, della perdita di biodiversità, dell’inquinamento atmosferico e della così detta zuppa di plastica, l’insieme di rifiuti di plastica e microplastiche che galleggia nei nostri mari secondo un’ormai nota espressione coniata dall’UNEP.

Per garantire una transizione sostenibile, è necessaria una trasformazione dei nostri modelli di consumo e l’economia circolare è la risposta. In un modello circolare, i materiali e i prodotti esistenti vengono condivisi, riutilizzati, riparati e riciclati il più a lungo possibile.

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Le quattro strategie dell’economia circolare

Il report pubblicato dalla PACE si concentra sulla circolarità delle risorse materiali, compresa la biomassa, i combustibili fossili, metalli e minerali non metallici e inquadra le strategie dell’economia circolare in quattro categorie:

1) ridurre gli input di materiale attraverso la progettazione e la fabbricazione di prodotti efficienti dal punto di vista dei materiali e la sostituzione dei materiali;

2) mantenere i prodotti e i componenti in uso, che può essere ottenuto attraverso una maggiore durata del prodotto, l’aggiornamento, la condivisione, il riutilizzo, la riparazione, la rivendita, la rimessa a nuovo, la rifabbricazione e il riuso;

3) reimmettere i materiali nel ciclo di vita dei prodotti attraverso il riciclo

4) rigenerare gli ecosistemi naturali, aspetto fondamentale per la biomassa

L’estrazione annuale di materiali a livello mondiale, infatti, è più che triplicata dal 1970, raggiungendo i 92 miliardi di tonnellate nel 2017 (Internation Resource Panel, 2019) e si prevede che raddoppierà nuovamente entro il 2050 (IRP, 2017). Circa la metà delle emissioni globali di gas serra proviene dall’estrazione e dalla lavorazione delle risorse materiali (IRP, 2020): dall’energia utilizzata per alimentare i macchinari e gli impianti industriali che estraggono e lavorano i materiali alle emissioni rilasciate durante il processo di estrazione e trasporto dei combustibili fossili, dalle reazioni chimiche che si verificano durante la produzione all’energia utilizzata per trasportare i materiali e produrli nella loro forma finale.

Secondo il sesto rapporto dell’IPCC all’industria sono da attribuire il 34% delle emissioni totali globali. I materiali che contribuiscono maggiormente alle emissioni sono i metalli (che rappresentano il 7,8% delle emissioni totali globali), il cemento (2,6% ) e i prodotti chimici (6,3%). Questi materiali sono spesso definiti hard to abate, in quanto la loro decarbonizzazione richiede tecnologie che non esistono ancora su scala industriale e costi proibitivi. Per quanto riguarda i materiali da biomassa, l’IPCC stima che il settore dell’agricoltura, della silvicoltura e degli altri usi del suolo (AFOLU) sia responsabile di circa il 22% delle emissioni nette totali di gas serra a livello globale.

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Un’economia circolare a nove azioni

Il report individua quindi 9 azioni interconnesse con cui l’economia circolare può agire come come pratica collettiva:

  1. Modificare i modelli di consumo
  2. Stimolare la circolarità dei prodotti fin dalla fase di progettazione
  3. Incorporare la circolarità nella filiera produttiva
  4. Integrare le strategie di economia circolare nelle politiche e nei piani nazionali sul clima
  5. Incentivare le riduzioni transfrontaliere delle emissioni di gas serra
  6. Collegare le metriche dell’economia circolare agli impatti dei cambiamenti climatici
  7. Aumentare la trasparenza e la comparabilità delle metodologie
  8. Applicare una valutazione d’impatto sistemica e specifica per rendere consapevole il processo decisionale
  9. Continuare a studiare il ruolo dell’economia circolare nell’adattamento ai cambiamenti climatici

Ma quali sono le aree di intervento su cui può incidere l’economia circolare?

Edilizia

Il settore delle costruzioni rappresenta tra il 30 e il 40% delle emissioni globali di gas serra, incluse 10 miliardi di tonnellate di CO2 (GT CO2e) che derivano da settori affini come il riscaldamento e l’elettricità degli edifici. L’IRP stima che strategie di efficientamento dei materiali possono ridurre le emissioni di gas serra dell’80-100% nei Paesi del G7 e in Cina, e del 50-70% in India entro il 2050.

Per la Ellen MacArthur Foundation l’economia circolare ha un ruolo di riduzione delle emissioni anche nell’utilizzo dei quattro materiali fondamentali nell’edilizia: cemento, acciaio, plastica e alluminio. Le soluzioni proposte sono: riduzione dell’area abitata per persona (soprattutto nei paesi sovra popolati); efficienza nel design che contribuisce a diminuire la quantità di acciaio nelle strutture per esempio; un aumento della quota di materiale riciclato; nuove tecnologie.

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Trasporti

Il settore dei trasporti produce il 15% delle emissioni di gas serra globali. Le emissioni derivano soprattutto dall’utilizzo di automobili. In questo caso, un uso strategico dell’economia circolare potrebbe ridurre del 70% le emissioni dall’utilizzo di materiali industriali per le auto entro il 2050. Anche qui c’è bisogno di un cambiamento nell’utilizzo deli mezzi: auto più piccole ed efficienti possono ridurre la quantità di materiali utilizzati nella produzione mentre un’aspettativa di vita più lunga può diminuire la produzione stessa dei prodotti.

Un incremento nell’utilizzo dell’alluminio potrebbe ridurre la massa del veicolo del 26%, riducendo l’input iniziale e migliorando l’efficienza della prestazione. Inoltre l’alluminio può essere riciclato. Un’altra soluzione proposta è il car-sharing, che riduce non solo il numero di veicoli utilizzati, ma anche i km percorsi per persona.

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Alimentazione

L’alimentazione è un’altra enorme fonte di emissioni: 11-19 Gt Co2e nel 2019. Una diminuzione nella domanda alimentare associata a una dieta più sostenibili e una riduzione nello spreco alimentare potrebbe ridurre le emissioni di 5 Gt Co2e all’anno globalmente entro il 2050. La Ellen MacArthur Foundation stima che un sistema di alimentazione circolare possa ridurre del 49% le emissioni dell’intero settore entro il 2050.

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Plastica

La plastica genera 1.8 Gt Co2e di emissioni all’anno, circa il 3% del totale, di cui il 90% derica dalla fase di produzione. Un sistema integrato circolare potrebbe ridurre la cifra del 25% entro il 2040. In questo caso siamo ancora fortemente dipendenti dalle tecnologie, ma il riciclo da solo può ridurre del 50% le emissioni legate al ciclo di vita della plastica.

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Tessile

L’intera filiera tessile produce tra 1 e 3.3 Gt Co2e all’anno secondo la Ellen MacArthur Foundation. Anche qui la maggior parte delle emissioni (75%) deriva dalla fase produttiva.

Riciclo dei materiali e un utilizzo durevole, compreso il riuso, sono le soluzioni proposte dal paper.

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Elettronica

Sebbene l’elettronica non sia considerato un settore particolarmente impattante dal punto di vista delle emissioni, la sua impronta sta aumentando sempre di più. In questo caso il riciclo dei materiali rari utilizza il 58-88% di energia in meno rispetto alla produzione primaria di base.

Alcuni prodotti elettronici, come i frigoriferi e i condizionatori, utilizzano potenti gas serra come i gas fluorurati, con un potenziale di riscaldamento globale molto più elevato della CO2. Una raccolta e un riciclo adeguati di questi prodotti saranno quindi fondamentali per la riduzione delle emissioni di gas serra soprattutto in futuro.

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Vittorie e compromessi   

L’economia circolare riduce le emissioni di gas serra nella fase di produzione della materia prima, ma la sua relazione con il processo di decarbonizzazione è fondamentale. L’economia circolare, infatti, è complementare a un processo di decarbonizzazione ancora troppo lento e costoso. Dove le tecnologie sono ancora premature, l’economia circolare è già in atto. Inoltre la si può applicare alle tecnologie di transizione stesse. Pannelli solari e pale eoliche non possono allinearsi alla logica della sovrapproduzione spostando la nostra dipendenza dai combustibili fossili ai materiali rari. La transizione energetica ha bisogno delle logiche circolari per funzionare correttamente.

Oltre ai benefici che deriverebbero dall’applicazione delle nove azioni circolari alle aree tematiche sopra elencate, ci sono alcuni compromessi che dobbiamo tenere a mente per rendere più efficaci le nostre strategie. Un esempio può essere la scelta tra un uso prolungato di un prodotto con una minore efficienza e una diminuzione nell’utilizzo di energia o il rimpiazzo dello stesso prodotto. In questo caso non c’è una risposta univoca. Per i prodotti che generano emissioni nella fase di produzione, un utilizzo durevole potrebbe essere un giusto compromesso per ammortizzare l’impatto nel tempo. Quando il prodotto produce più emissioni in fase di utilizzo, andrebbe invece sostituito.

In ogni caso l’economia circolare non può riguardare solo l’impatto dei prodotti analizzati. Deve tenere in considerazione anche altri aspetti ambientali come la biodiversità e l’inquinamento, e aspetti sociali come l’impatto delle strategie circolari sui lavoratori. Deve quindi rispettare il principio DNHS (Do not significant harm, danno non significativo) stabilito dalla Commissione Europea come principio base per le attività economiche.

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Politiche nazionali e trasfrontaliere

Altri due aspetti relativi alle azioni da mettere in campo rispetto alla riduzione delle emissioni attraverso l’economia circolare riguardano le politiche da adottare a livello nazionale e internazionale. Le politiche di economia circolare vanno integrate nei piani nazionali e non solo sulla base degli NDCs per Paese. La riduzione delle emissioni non è l’unico problema a cui dobbiamo far fronte e soprattutto non può essere risolto all’interno di confini nazionali.

Talvolta, politiche di riduzione globali finiscono per incrementare l’impatto su un singolo Paese. I Consumpion-based accounting (CBA) tengono conto di come la domanda finale in una regione provochi emissioni di carbonio altrove a causa delle catene di approvvigionamento nella rete economica globale. La riduzione delle emissione basate sui CBA incentiva importazioni ed esportazioni con un minore impatto di Co2. Inoltre, nel conteggio finale delle emissioni va tenuto conto anche delle emissioni cosìdette scope 3, le emissioni prodotte dalle azioni di una’azienda come l’acquisto di beni e sevizi per la propria produzione.

Dichiarare le emissioni scope 3 è ancora volontario ma alcune politiche stanno cercando di spingere il mercato in questa direzione: ne è un esempio la carbon tax, la tassa che viene calcolata sulla quantità di emissioni climalteranti che vengono immesse nell’atmosfera e che prevede quindi un’aliquota su ogni tonnellata di anidride carbonica prodotta dalle aziende.

In questa ottica, il Parlamento europeo ha approvato a giugno la risoluzione sulla proposta della Commissione europea per la riforma del mercato dei permessi di emissione di CO2. Un testo che cerca di ridurre le emissioni del 55% e non del 40% entro il 2030. Il Cbam, “meccanismo di adattamento del carbonio alle frontiere”, chiamato anche “carbon tax alle frontiere”, è il sistema di dazi climatici che si applicherà, con introduzione graduale a partire dal 2026, ad alcune merci importate da paesi che non hanno regimi simili all’Ets per la riduzione delle emissioni.

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