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venerdì, Novembre 15, 2024

Giornata mondiale della bicicletta, quell’oggetto semplice e geniale che ci può salvare

Oggi si celebra l'iniziativa voluta da 193 stati dell'Onu, che mette al centro un mezzo di trasporto economico, affidabile e sostenibile, ma anche un bene prezioso per la qualità della vita delle città e per l’economia circolare. Il modello resta Copenaghen. E si diffondono sempre più il cicloturismo e le critical mass

Nicoletta Fascetti Leon
Nicoletta Fascetti Leon
Giornalista pubblicista, allevata nella carta stampata. Formata in comunicazione alla Sapienza, in giornalismo alla Scuola Lelio Basso, in diritti umani all’E.ma (European Master’s Programme in Human Rights and Democratisation) di Venezia. Ha lavorato a Ginevra e New York nella delegazione UE alle Nazioni Unite. Vive a Roma e da nove anni si occupa di comunicazione ambientale e progetti di sostenibilità

È bene dirlo subito. Chi scrive ammette di essere una fanatica della due ruote a pedale, felice che esista una giornata mondiale della bicicletta – istituita con una risoluzione delle Nazioni Unite votata nel 2018 da tutti i suoi membri – per poter snocciolare i vantaggi del mezzo di trasporto più semplice e geniale inventato dall’uomo.

Con la giornata celebrativa del 3 giugno, l’Assemblea Generale ONU riconosce “l’unicità, longevità e versatilità della bicicletta che è in uso da due secoli, che rappresenta un mezzo di trasporto semplice, economico, affidabile e sostenibile, che promuove la conservazione ambientale e la salute”.

Non è un’ideologia solo mia, quindi. La bicicletta è considerata un’alleata fedele della sostenibilità da 193 rappresentanti dei paesi del mondo, oltre alla miriade di realtà locali, associazioni, comitati di quartiere, ciclofficine, movimenti dal basso e autogestiti, singoli ciclisti di tutto il mondo, che promuovono in diversi modi l’uso dei pedali, specialmente nelle città. Tanta passione è ricambiata dal potenziale impatto della bici nel migliorare la qualità dell’aria, ridurre le emissioni di CO2, migliorare la salute e la vita dei cittadini, ridurre i costi della sanità e, come vedremo, anche contribuire all’economia circolare.

La bicicletta ci salverà

La bicicletta, afferma ancora la risoluzione ONU, “stimola la creatività e l’impegno sociale e offre al suo utilizzatore una coscienza immediate dell’ambiente locale” e ancora, “può essere uno strumento per lo sviluppo e un mezzo non solo di trasporto ma anche di accesso all’educazione, alla salute e allo sport”. “La bicicletta ci salverà” è il titolo di un’intera puntata dedicata alla due ruote nel 2018 dal programma TV Presadiretta di Riccardo Iacona, che inizia il suo reportage raccontando di come la bici abbia cambiato la sua vita, per concludere che potrebbe cambiare anche quella delle nostre città.

“È un oggetto semplice e geniale”, sintetizza Iacona, ma non basta da solo a salvarci, se non è accompagnato da politiche coraggiose che accolgano la sua portata rivoluzionaria, puntando su moderne infrastrutture esclusivamente ciclopedonali, sull’incremento dei mezzi pubblici, su una rete di trasporto modulare, sull’estromissione finale delle macchine dai centri urbani.

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Copenaghenizzare tutte le città

È una rivoluzione che in molte città è in corso e ha già funzionato, come a Copenaghen, che è considerata la capitale mondiale della ciclabilità, con circa la metà dei suoi spostamenti in bicicletta, sia durante le giornate di sole, che nelle fredde e buie giornate invernali. A Copenaghen conviene andare in bicicletta sotto ogni punto di vista – tempo, salute, denaro – grazie a favolose infrastrutture, come il rinomato ponte snake che ha riqualificato un quartiere e portato sempre più cittadini al lavoro sulle due ruote. Il modello danese è pienamente esportabile e l’urban designer Mikael Colville Andersen lo sta già facendo. Anche alcune nostre città, come Bolzano, Pesaro, Reggio Emilia, Ferrara, Treviso, vantano numeri significativi di  popolazione che usa la bici (dal 33 al 22% secondo Legambiente) su dignitose piste ciclabili.

Non si può dire lo stesso della nostra capitale che, con solo l’1% dei suoi cittadini sui pedali, rimane ancora un emblema urbano disfunzionale di lunghe ore di percorrenza su infinite distese di lamiera, inquinamento acustico, smog e stress. Tuttavia, seppur con lentezza, qualcosa inizia a muoversi (su due ruote) anche qui. Complici le nuove abitudini emerse con la pandemia e i recenti incentivi all’acquisto, molte più biciclette iniziano a spuntare anche nella città eterna, specialmente nelle domeniche ecologiche o sulle ancora poche (e malandate) piste ciclabili, come quella, potenzialmente bellissima, che costeggia il Tevere fino al mare.

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Industria della bici: modello lineare o circolare?

Al di là dei motivi di fascinazione dell’oggetto bicicletta, che meriterebbero un capitolo a sé, ci sono molti aspetti da mettere in conto, per capire se la bicicletta ci salverà davvero. Prendiamo la due ruote come prodotto industriale. La prima cosa da dire è che il comparto bici in Italia generava un fatturato stimabile tra i 7 e i 12 miliardi, circa lo 0,7% della ricchezza nazionale (Il Sole 24 Ore, dossier Bike Economy 2019), considerando la produzione di bici e accessori, l’indotto delle vacanze in bicicletta e l’insieme delle ricadute positive scaturite dall’uso della bici come i risparmi sulla spesa sanitaria, sul welfare e sul carburante.

Lo abbiamo definito un oggetto semplice, ma l’innovazione tecnologica, insieme all’avvento delle bici elettriche e a pedalata assistita, lo hanno reso un prodotto sofisticato, di largo consumo e più accessibile per un verso, ma anche più corruttibile per un altro. Erik Bronsvoort e Matthijs Gerrits della Delft University of Technology nel loro libro “Circular Revolution” mettono in luce la linearità dell’industria delle bici che, specialmente negli ultimi anni, a vantaggio del profitto, ha trascurato la riparabilità dei componenti e la durabilità dei materiali utilizzati.

Ad esempio, le biciclette moderne e “performanti” adottano telai, manubri e reggisella in titanio e fibra di carbonio. Questi materiali presentano dei vantaggi di performance, ma sono anche molto costosi, difficili da riparare (quasi impossibile per la fibra di carbonio) e hanno un pesante impatto ambientale. I due autori olandesi tracciano la strada per una trasformazione circolare della produzione di bici, che inizia a contare alcuni esempi.

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Esempi di circular cycling

Il primo nasce proprio dalla loro start-up “Circular Cycling” che ha testato una produzione interamente basata sul modello circolare. Le bici “ricondizionate”, costruite con pezzi usati, sono state vendute a prezzi inferiori del 30-50% rispetto a modelli nuovi della stessa qualità. Con il loro esperimento i due olandesi intendono mettere in rete piccole realtà come la loro per una rivoluzione circolare globale. Con un approccio diverso, il marchio svedese Vélosophy utilizza l’alluminio delle capsule di caffè Nespresso per realizzare il telaio della bici.

Il produttore di biciclette tedesco Urwahn Bikes, invece, ha creato un telaio per bici interamente realizzato in acciaio stampato in 3D, grazie al quale la sua bicicletta minimalista per pendolari ha già vinto il Green Product Award 2021. La campionessa britannica di ciclocross Isla Rowntree, consapevole della scarsità delle materie prime, con il suo progetto Islabikes sta ripensando la sua produzione. Per i telai, Isla ha scelto l’acciaio inossidabile, per la robustezza, il peso ridotto, la resistenza alla fatica e alla corrosione. Persino il gigante della distribuzione Decathlon ha avviato iniziative circolari. Oltre al Trocathlon, un evento attualmente in corso in Italia di compravendita di biciclette usate, revisionate e certificate dai suoi tecnici, il negozio sportivo ha in programma una serie di incentivi per incoraggiare i clienti a considerare una bicicletta riciclata o rigenerata una valida alternativa all’acquisto di una nuova di zecca.

Viva il cicloturismo, per viaggi sempre più sostenibili

La circolarità della bici non è solo una questione di industria. Prendiamo il cicloturismo. In Italia vanta un trend in crescita stimato intorno ai 5 miliardi (Rapporto 2020 di Unioncamere e Legambiente, riportato da Il Sole 24 Ore). È considerato un modo di viaggiare ecologico, lento, ma anche remunerativo. Nel 2019 ha generato quasi 55 milioni di pernottamenti, corrispondenti al 6,1% del totale con una spesa complessiva di 4,7 miliardi di euro, pari al 5,6% del totale, di cui 3 miliardi provenienti dalla componente internazionale dei turisti.

Al di là dei dati non trascurabili, il cicloturismo può agire sulla riqualificazione e lo sviluppo locale di mete attualmente marginali ma ricche di potenzialità. Basti pensare ai borghi a rischio abbandono di cui è piena l’Italia che potrebbero rinascere e ripopolarsi diventando zone di attraversamento e pernottamento per nuovi turisti “lenti” oggi più che mai alla ricerca di tranquillità, autenticità e natura, lontano dalle mete del turismo di massa. A questo scopo può essere d’aiuto la legge del 2018 per la rete nazionale di percorribilità ciclistica, che include un fondo per il finanziamento degli investimenti diretti alla realizzazione di itinerari ciclabili o pedonali.

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Partecipazione, aggregazione, circolarità

Le Nazioni Unite celebrano la bicicletta anche per incoraggiare gli Stati membri a migliorare la sicurezza stradale e integrare le esigenze dei ciclisti nella pianificazione e progettazione della mobilità sostenibile e delle infrastrutture di trasporto. È quello che cercano di fare, dal basso e in maniera creativa e festosa, anche i ciclisti della Ciemmona, che hanno inondato Roma dal 28 al 30 maggio. La Ciemmona è una “invasione” pacifica delle strade cittadine da parte di migliaia di biciclette di ogni sorta. È l’appuntamento annuale della Critical Mass, un evento internazionale che si tiene in più di 500 città del mondo, ogni ultimo venerdì del mese, quando i ciclisti, spontaneamente, si riversano in massa a percorrere le strade delle loro città. L’itinerario è improvvisato e tra i suoi scopi ha anche quello di sensibilizzare gli automobilisti che vedono “bloccata” la loro corsa da un fiume lento e colorato di due ruote, “o qualsiasi mezzo muscolopropulso”.

La componente sociale, riconosciuta anche dall’ONU, è forse l’aspetto più circolare della bicicletta. Se pensiamo alla Critical Mass, alle associazioni di ciclisti o alle ciclofficine popolari, la partecipazione e l’aggregazione sociale sono accompagnate da parole chiave come: riparare, riusare, rimettere in circolo, non sprecare. Nelle ciclofficine, per esempio, oltre ad aggiustare la bici, si trovano pezzi di ricambio, si impara a fare da sé le riparazioni, si dà nuova vita a bici abbandonate, si crea inclusione e socialità. L’associazionismo dei ciclisti, spesso locale e di quartiere, propone soluzioni concrete al miglioramento della vita della comunità. A voler pescare un piccolo esempio fuori dai nostri confini, il network tedesco Fahrradfreundliches del quartiere berlinese di Neukölln non solo elabora proposte per infrastrutture ciclabili moderne e sicure su tutte le strade del distretto, per l’installazione di semafori preferenziali e strade con precedenza per le biciclette, si batte anche per aumentare la sicurezza all’ingresso delle scuole e ridurre l’inquinamento da polveri sottili nel quartiere.

Far bene a sé stessi, agli altri e all’ambiente

In conclusione, non resta altro che pedalare. Fa bene al fisico e alla mente, all’economia e all’ambiente, non c’è nessuno motivo per non farlo, sempre facendo molta attenzione ai pericoli della strada, e anche ai ladri di biciclette. È un bene così prezioso che tutti lo vogliono.

© Riproduzione riservata

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