Siamo arrivati alla terza edizione dell’International E-Waste Day, la giornata internazionale dedicata ai RAEE. Perché per il 2020 il WEEE Forum ha deciso di dedicare questa giornata al tema della formazione?
La ragione è legata al ruolo importante che i bambini hanno nel sensibilizzare l’intera società. Sono loro che dovranno affrontare, in prima persona, i problemi legati ai RAEE. L’invito è comunque aperto verso qualsiasi tipo di iniziativa collegata al tema dei RAEE.
Sappiamo che una delle sfide più grandi che il settore dei RAEE si trova ad affrontare, è il grande divario che oggi esiste tra i RAEE generati e i RAEE raccolti: pensa che parlare alle nuove generazioni possa aiutare a risolvere anche questo problema?
Le campagne di sensibilizzazione sono solo un elemento di un programma complessivo più ampio che dobbiamo sviluppare a livello globale. Accrescere la consapevolezza dei cittadini è importante. Le persone non penseranno mai di dare indietro il loro vecchio cellulare se non sanno quali problemi possono nascere dal non farlo. La sensibilizzazione, da sola, non avrà un grande impatto sulle quantità di rifiuti raccolte, quindi deve essere parte di una campagna più grande.
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I membri del WEEE Forum sono i maggiori sistemi collettivi europei, soggetti che operano cioè seguendo il principio della responsabilità estesa dei produttori. Secondo la sua esperienza, quali sono gli ingredienti per garantire l’efficacia di questo tipo di approccio?
Se tutti gli attori che sono coinvolti nella raccolta, nel trattamento, nel riciclo dei RAEE non lavorano insieme, non sarà possibile fare molti passi avanti. Quello dei RAEE è un mercato nel quale sono coinvolti molti attori, ma non tutti sono chiamati in causa nel rendicontare quello che fanno. Ci sono molti free riders, c’è chi non gestisce e non ricicla i RAEE in maniera responsabile, ma ad esempio lo fa rimuovendo dalle apparecchiature le parti che hanno un valore non riciclando quelle che non ne hanno. È importante quindi che tutti gli attori che operano sul mercato sappiano che sono sulla stessa barca e che possono essere perseguiti nel caso non facciano le cose in maniera corretta. Questa è fondamentalmente l’idea che vogliamo trasmettere quando si parla di Responsabilità Estesa del Produttore.
Si tratta quindi di una responsabilità non solo estesa dei produttori, ma anche condivisa con altri soggetti?
Esatto. Io credo che la parola chiave sia catena di valore. Tutti gli attori di una stessa catena di valore devono sedersi insieme e collaborare, non solo produttori e autorità competenti. Nella catena di valore dei RAEE ci sono anche i distributori, i rottamai, le agenzie di monitoraggio. È un po’ come quando si vuole contrastare la criminalità in una città: la prima cosa che si fa è portare tutti gli attori attorno allo stesso tavolo. Magari c’è il parroco, la polizia, gli assistenti sociali che conoscono il quartiere, parlano con le persone, le mamme dei bambini che giocano per strada, la rete di persone che hanno qualche influenza sulla comunità, le insegnati ad esempio.
Pensa quindi che sia auspicabile che il sistema della responsabilità estesa del produttore venga adottato e replicato anche in altri settori?
Penso a come questo sistema si sia evoluto nel corso degli anni. Ora ragioniamo in termini di catena di valore, ma 20 anni fa dicevano: “Il produttore è responsabile, e il produttore deve risolvere i problemi legati ai prodotti che lui immette sul mercato”. Ma non funziona così in realtà, perché il produttore non ha accesso a tutte le leve, non può influenzare, non può controllare l’intero mercato dei RAEE. E non è realistico che siano solo i produttori a risolvere i problemi associati ai RAEE. Alla luce di queste considerazioni, penso che il sistema di responsabilità estesa del produttore abbia senso anche per altri settori, ma che vada incorporato in un approccio più sistemico. Si deve intendere come un sistema di responsabilità estesa del produttore, non di Responsabilità Esclusiva del Produttore.
Il WEEE Forum è una associazione che opera a livello europeo e non solo. Guardando a quello che sta succedendo in Unione Europea: cosa pensa vada fatto per facilitare la transizione del settore delle AEE e dei RAEE verso l’economia circolare?
Per prima cosa, dal mio punto di vista, e penso che i lettori del magazine saranno d’accordo con me, bisogna tenere a mente che l’economia circolare va ben oltre l’attività di riciclo. Il riciclo è parte del modo di pensare circolare, ma l’economia circolare è molto di più: c’è anche la riparazione, l’estensione della vita utile dei prodotti, il riuso, la rigenerazione. Il riciclo arriva solo alla fine.
È importante creare una cornice all’interno della quale le persone acquisiscano fiducia nel comprare un prodotto che è stato riutilizzato o riparato. Per esempio, se dai indietro il tuo cellulare, bisogna che tu abbia fiducia nel fatto che i tuoi dati verranno cancellati, in modo che potrà essere riutilizzato da qualcun altro. E vale lo stesso per molti altri dispositivi: il consumatore deve fidarsi che i dati personali non siano più nel prodotto, altrimenti non sarà disposto a darlo indietro per attività di riparazione.
Da una parte devono essere definiti standard di qualità anche per l’industria della riparazione, dall’altra, ci deve essere un sistema all’interno del quale il consumatore sia messo veramente nelle condizioni di poter riparare il proprio prodotto. Prendiamo una lavatrice: non ha senso dire che si vuole stimolare la riparazione se non ci sono più a disposizione pezzi di ricambio che possono essere utilizzati a questo scopo. Questa è la ragione per la quale in Francia hanno introdotto un sistema che si chiama eco-modulation, che significa che se un produttore mette a disposizione componenti o parti per la riparazione, ad esempio della lavatrice che immette sul mercato, allora questo comportamento sarà associato con una modellazione positiva dell’eco-contributo da pagare al sistema collettivo di riferimento; viceversa, se non rende disponibili le parti di ricambio, sarà penalizzato e pagherà una tassa più alta al sistema RAEE.
Una domanda che in questi tempi è diventata di routine: dal suo punto di osservazione particolare, qual è l’impatto che la pandemia di coronavirus ha avuto sul settore delle AEE e dei RAEE?
Non c’è una risposta univoca a questa domanda, sono molte le differenze che vanno considerate. All’interno del WEEE Forum abbiamo fatto per due volte un sondaggio su questo tema e le risposte variano tra i diversi paesi europei. L’impressione generale è che l’impatto sul settore dei RAEE, ad oggi, non sia poi così grande. L’impatto sui produttori, sembra poter essere maggiore. Anche in termini positivi: se si pensa ad esempio ai produttori di laptop, di tutto quello che è necessario per la didattica a distanza, magari anche di stampanti, questi hanno performato bene in termini di vendite. Ma ci sono stati molti altri settori nel mondo delle AEE che sono stati invece negativamente colpiti perché non hanno potuto vendere tanto quanto erano abituati a fare.
Quali sono allora le strategie che suggerisce di adottare per affrontare le nuove sfide che il Covid19 ci pone davanti?
La lezione che abbiamo imparato è che la nostra economia è troppo dipendente dalle importazioni di materiali da altri paesi del mondo. Per esempio, il 98% delle terre rare utilizzate nei processi produttivi viene dalla Cina. Quello che quindi dobbiamo stimolare è resilienza e indipendenza del settore produttivo in Europa: questo significa che dobbiamo essere sicuri di avere le nostre miniere primarie dalle quali estrarre i metalli; ma allo stesso tempo che dobbiamo stimolare anche la produzione di materie prime seconde, dobbiamo cioè riciclare di più i materiali presenti nei flussi di RAEE attuali. Penso sia una buona lezione. Per alcuni materiali oggi non ricicliamo in pratica nulla: per esempio per il germanio, il terbio, il praseodimio, il riciclo copre solo tra il 5 e il 10% della loro domanda; per altri materiali, come l’olmio, l’indio, il tantalio questo numero è meno dell’1%. Ciò significa che più del 90% di questi materiali arriva da materie prime vergini. È una situazione di cui dobbiamo occuparci con urgenza nei prossimi anni.
La sua risposta ci porta automaticamente a parlare della quarta lista dei materiali critici elaborata dalla Commissione Europea e resa pubblica lo scorso 3 settembre. Dal suo punto di vista, questa lista è uno strumento utile per migliorare la circolarità dei materiali? E come questa nuova pubblicazione influenzerà le attività del WEEE Forum e dei suoi membri?
Ancora non so come la nuova lista dei materiali critici influenzerà le attività dei Sistemi Collettivi RAEE nostri membri, ma dal mio punto di vista questi dovrebbero essere guidati nelle loro scelte dal contenuto del report della Commissione. Per il WEEE Forum posso dire che è importante essere parte della conversazione su questo tema. Sono convinto infatti che molti dei materiali critici nella lista possano essere recuperati proprio dai RAEE. È vero anche che molti di questi materiali possono essere già recuperati, ma ad un costo molto alto: è tecnicamente fattibile, ma è economicamente costoso farlo. Per questa ragione abbiamo bisogno di un meccanismo per mezzo del quale ricevere fondi per svolgere questa attività di recupero, oppure abbiamo bisogno di includere questa prescrizione nella legislazione, ad esempio rendendo obbligatorio il recupero di un certo materiale critico. Questi due sistemi potrebbero essere quindi parte della soluzione. Cioè, la lista dei materiali critici diventa utile se spinge anche l’introduzione di requisiti giuridicamente vincolanti e lo stanziamento di più fondi per il recupero, sostenibile anche da un punto di vista economico, di questi materiali. Il WEEE Forum cerca di muoversi proprio in questa direzione con il progetto Horizon 2020 CEWASTE: grazie al progetto, stiamo scrivendo uno standard indicando quali materiali critici dovrebbero essere recuperati dai RAEE; la prossima domanda alla quale vogliamo rispondere è “come stimolarne l’effettivo recupero?”.
Quando parla di requisiti vincolanti, si riferisce anche all’obbligo per i produttori di AEE di utilizzare un quantitativo minimo di materiali critici provenienti da riciclo all’interno delle nuove apparecchiature?
Si, anche se non sono sicuro che tutti i produttori siano d’accordo su questo.
Ma ancor prima della pubblicazione della nuova lista di materiali critici, lo scorso marzo la Commissione Europea ha adottato un nuovo Circular Economy Action Plan che guarda con attenzione al settore AEE/RAEE. Abbiamo già parlato dell’importanza di temi come il riuso, la riparazione, l’estensione della vita utile dei prodotti. Questi aspetti sono trattati nel piano della Commissione: pensa che le azioni definite al suo interno possano essere efficaci?
Io penso di sì. In realtà sappiamo che questo non è il primo Action Plan sull’Economia Circolare adottato della Commissione. Il primo era stato lanciato nel 2015 e la Commissione Europea è stata in grado di far entrare in vigore tutte le azioni indicate nel piano; che ora chiaramente devono essere implementate in tutta Europa e messe in pratica. Ma io ritengo che il primo piano sia stato un successo. Ora è il momento di essere più focalizzati su alcuni aspetti, ad esempio proprio la durabilità e la riparabilità dei prodotti, e sembra che il nuovo Circular Economy Action Plan lo faccia.
Che impatto ha il Circular Economy Action Plan sulle attività del WEEE Forum e dei sistemi collettivi suoi membri?
C’è un elemento che è molto importante per noi: il fatto che il Circular Economy Action Plan parli del miglioramento della raccolta e del trattamento dei RAEE, anche esaminando la possibilità di istituire a livello di Unione Europea un sistema per restituire o rivendere piccoli RAEE, incluso i telefoni cellulari. Quello che faremo come WEEE Forum è esplorare opzioni per azioni a livello Europeo che riguardino proprio sistemi di ritiro di piccoli RAEE, cercando di capire quale ruolo possano ricoprire in questo il WEEE Forum e i suoi singoli membri. Non sappiamo ancora come questo sistema europeo di ritiro verrà implementato operativamente. Ma è un dato di fatto che la raccolta deve aumentare: discutiamo sempre dell’importanza delle materie prime seconde, ma fino a quando non raccoglieremo di più non faremo molti progressi in questa direzione.
Su questo fronte, va detto comunque che ci sono molte iniziative in campo già oggi. Per esempio, in Francia, il consorzio RAEE Ecosystem ha messo in piedi una iniziativa che si chiama Je donne mon telephone: un sito web dedicato che aiuta a capire cosa fare del proprio cellulare uno volta che si vuole smaltirlo.
Guardando al futuro non si può fare a meno di parlare di nuove tecnologie, come la robotica, l’intelligenza artificiale e in generale i processi di digitalizzazione. Come pensa queste influiranno la transizione del settore AEE/RAEE verso l’economia circolare? E quale sarà l’impatto della gestione del fine vita delle infrastrutture che, come ad esempio i data centre, rendono possibile la digitalizzazione e favoriscono la connettività?
Dal mio punto di vista la digitalizzazione è associata a cambiamenti positivi, perché permette ad esempio un approccio molto più granulare alla gestione dei RAEE. Dall’altra parte, ci sono nuove questioni da dover affrontare: ad esempio, l’incremento della generazione di rifiuti di apparecchiature legate all’utilizzo di internet. Il WEEE Forum, riconoscendo la rilevanza del problema, ha contribuito insieme all’International Telecommunication Union, una agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di questioni legate all’ICT, alla stesura di un report, che si occupa proprio di questo tipo di rifiuti: quindi nello specifico dei rifiuti associati all’Intelligenza Artificiale, ai servizi cloud, ai servizi di raccolta e immagazzinamento di dati, che hanno indubbiamente un grande impatto. Il WEEE Forum ha commissionato anche uno studio all’European Policy Center per valutare esattamente questi elementi: cioè, quali sono le opportunità per una economia circolare digitale. Penso che il punto sia proprio questo: dobbiamo riuscire a mettere insieme l’agenda dell’economia circolare e quella digitale, ci deve essere tra queste un unico obiettivo condiviso. Il report sull’economia circolare digitale verrà pubblicato a dicembre e alla sua elaborazione hanno contribuito anche i membri del WEEE Forum che sono stati raggiunti attraverso un questionario.
Passando dalla teoria alla pratica: la tecnologia può essere anche efficace per produrre dei miglioramenti operativi nella gestione dei RAEE? Per esempio, riducendo l’attività di smistamento e smontaggio manuale dei rifiuti grazie all’utilizzo di sensori e della robotica?
Penso di sì. Uno degli ultimi progetti di ricerca all’interno del quale il WEEE Forum è coinvolto, guarda a come poter utilizzare la tecnologia dei QR-code per migliorare l’interazione tra produttori e consumatori, tra i produttori e i retailer, o con tutti gli altri attori della catena di valore. L’idea di base è che il QR-code renderà disponibili informazioni sul prodotto e sui processi coinvolti nella sua produzione, e sui suoi impatti, ad esempio attraverso la condivisione dei dati di un LCA. Questo permetterà al consumatore di allungare la vita utile del prodotto, al produttore di raccoglie informazioni utili sul prodotto che ha messo sul mercato, ai riciclatori di sapere come migliorare il processo di riciclo delle apparecchiature, una volta che saranno in grado di conoscere digitalmente di che prodotto si tratta, che materiali contiene, in quale componente son le sostanze pericolose. Il WEEE Forum ha già attivato la piattaforma I4R, Information for recyclers, che fornisce agli impianti di trattamento, riciclo e agli operatori che fanno preparazione per il riutilizzo accesso alle informazioni sul trattamento dei RAEE. Ma l’obiettivo ora è di andare oltre: l’obiettivo è digitalizzare l’intero settore.
Guardando ancora più in avanti: come si immagina sarà il settore dei RAEE tra 10 anni? Quali sono i cambiamenti che si aspetta ad esempio nei processi di produzione, o nell’acquisto e nella gestione del fine vita dei prodotti?
Penso che molti più prodotti saranno soggetti a contratti di leasing, specialmente i grandi elettrodomestici. E penso che abbia molto senso affittare la propria lavatrice piuttosto che comprarla, in modo tale che quando sarà disponibile un nuovo prodotto sarà nell’interesse del produttore sostituirlo a casa dell’utente. Penso quindi che il leasing sia un’opzione fantastica. C’è anche un aspetto sociale legato a questo di cui tener conto: in Belgio c’è un progetto che si chiama Papillon, grazie al quale aziende come BOSH, offrono gli ultimi modelli delle loro apparecchiature, quindi quelli più efficienti, in affitto a comunità socialmente svantaggiate. In questo modo, per i consumatori la bolletta dell’energia elettrica si riduce e allo stesso tempo BOSH può vendere un numero maggiore di nuovi elettrodomestici. Questo progetto ha vinto diversi premi per essere un modello attento agli aspetti sociali dell’economia circolare. Il leasing sembra quindi essere veramente una buona idea. Non so se questo significa anche che le persone useranno i prodotti più a lungo rispetto ad ora, è difficile da dire. Penso che molto dipenda anche da quanto resteremo dipendenti da altri paesi: se la Cina smetterà di esportare alcuni materiali, avremo problemi in Europa. E non so cosa succederà su questo fronte nei prossimi anni.
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