Per produrre le apparecchiature elettriche ed elettroniche – dai telefoni ai pc, dalle casse acustiche agli aspirapolvere – servono materiali che non sono commodities ma elementi preziosi, a volte rari. Per questo dobbiamo avere una cura particolare quando arrivano al fine vita. Per recuperare i Raee (rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche), l’Italia ha costituto un sistema tra i più avanzati in Europa, che solo per i limiti di quello che chiamiamo “sistema Paese” ha performance inferiori a quelli degli altri grandi Paesi europei. Ne è convinto Federico Magalini, Managing director di Sofies UK, che ce ne ha parlato a margine della presentazione del report “I sistemi di Responsabilità estesa del produttore e il loro ruolo strategico per i produttori”, elaborato da Sofies per Erion, il più importante sistema italiano di Responsabilità estesa del Produttore (Epr) per la gestione dei rifiuti associati ai prodotti elettronici
Dottor Magalini, leggendo il vostro report sembra che nella raccolta dei Raee, a livello di organizzazione, ci sia una certa analogia tra i sistemi dei diversi Paesi europei. Nelle performance ci sono invece differenze sensibili tra Italia e gli altri Stati…
Dal punto di vista delle performance, sappiamo che altri grandi Paesi europei raccolgono un po’ di più dell’Italia. Secondo Eurostat rispetto a Francia, Gran Bretagna e Germania l’Italia ha raccolto quasi la metà. È un peccato, perché dal punto di vista organizzativo il sistema costruito in Italia – con il Centro di coordinamento, i consorzi, con le sue regole – è molto avanzato e ben organizzato: è nettamente migliore di quelli degli altri Paesi. Basti ricordare che tanti Paesi, come la Gran Bretagna che ha in previsione una revisione del sistema Epr, guardano all’Italia come modello organizzativo da imitare.
Su cosa si fonda questo “modello”?
Beh, ad esempio l’Italia è stato uno dei primi Paesi, già nel 2008, ad aver raggiunto un agreement volontario tra le principali associazioni degli impianti di trattamento e i sistemi collettivi, i consorzi, che si erano impegnati a conferire i propri rifiuti solo a quegli impianti che rispettavano particolari standard di qualità. Insomma già dal 2008 in Italia si era stabilito su base volontaria il concetto che i rifiuti di cui produttori si fanno carico vengono trattati in conformità con alcuni standard che vanno oltre il mero obbligo di legge.
Balza però agli occhi il fatto che per batterie e Raee i punti di raccolta in Italia sono molto meno numerosi che altrove.
Infatti. Ma questa non è una questione organizzativa bensì un tema strutturale di infrastrutture per la raccolta: certamente un punto dolente. Una responsabilità più del sistema Italia che dei sistemi consortili. In Italia quando la direttiva sui Raee è entrata in vigore, nel 2008, abbiamo aspettato quasi due anni perché arrivasse il decreto 65/2010 a creare e mettere in ordine quelle semplificazioni normative che dessero ai distributori possibilità di raccogliere e ritirare i rifiuti nei negozi. Anni persi nei meandri della burocrazia per dare la possibilità ai distributori raccogliere in maniera semplificata i rifiuti. È qui che ci perdiamo, nelle lungaggini amministrative.
Questione annosa quanto attuale… Cosa dovrebbero mettere in campo le istituzioni nazionali per ottimizzare, nelle diverse filiere, la gestione dei flussi di rifiuti, anche per superare l’ormai storica mancanza di impianti?
Molte volte siamo lenti e farraginosi nel creare il contesto normativo di riferimento in modo rapido, stabile e chiaro – e l’esempio della direttiva Raee lo dimostra, coi decreti attuativi che si sono persi nei meandri del ministero. Quindi più chiarezza e rapidità nel legiferare non guasterebbe. L’assenza di chiarezza e rapidità crea incertezza negli stakeholder. E crea incertezza negli imprenditori che debbono investire per creare infrastrutture per la raccolta e il trattamento.
Abbiamo poi alcuni gap rispetto ad altri Paesi che vanno oltre le lungaggini burocratiche e hanno a che fare col fatto che ci vorrebbe una maggiore sensibilizzazione dell’opinione pubblica e dei consumatori.
Quindi serve uno sforzo di comunicazione nei confronti dei cittadini. Ma chi deve farlo?
Le faccio un esempio. Città anche grandi hanno spesso pochi centri di raccolta per i rifiuti: Milano ha sette piazzole ecologiche, ma non necessariamente tutte le persone vanno all’isola ecologica per portare i rifiuti. Quindi per i cittadini è importante sapere dove possono portare i propri rifiuti in modo che vengano raccolti. È importante e su questo dobbiamo lavorare. Sarebbe bello che il ministero pianificasse da subito, quando inizia un sistema Epr per un nuovo flusso di rifiuti, campagne di sensibilizzazione che spieghino alle persone cosa succede e come comportarsi.
La vostra analisi ha registrato differenze tra l’Italia e l’estero in questo ambito?
Restando ai Raee, in Italia recentemente il Centro di coordinamento si è impegnato molto sul fronte della comunicazione. In generale è essenziale che i consumatori abbiano ben chiara l’importanza di raccogliere Raee e batterie in modo separato. Sono i cittadini il principale anello della catena grazie alla quale i rifiuti vengono presi in carico. I Raee non sono la cosa più importante del mondo, certamente, ma sono un flusso di rifiuti molto particolare perché le apparecchiature elettriche ed elettroniche sono parte della nostra vita quotidiana, e sempre più lo saranno: per realizzarli utilizziamo materiali che non sono materiali comuni, non sono abbondanti come le principali commodities. Questo ci impone di essere più attenti a come gestiamo il loro fine vita, perché una volta che quantità anche piccole di materiali critici sono perse, lo sono per sempre. Se il cittadino non fa la differenziata in modo giusto abbiamo un problema importante. Nel report redatto per Erion abbiamo segnalato molte “good ideas”: in molti Paesi c’è tanta attenzione alla comunicazione, a coinvolgere ad esempio gli influencer. Immaginiamo per un istante una Chiara Ferragni che fa sensibilizzazione rispetto al corretto trattamento dei Raee….
Oggi abbiamo alcune campagne – ad esempio quella di Amsa ed Erion “Smaltirli è un gioco da ragazzi!”: è importante ma non è mai abbastanza. Per questo nel report indichiamo anche le quote di budget che i diversi consorzi dedicano alla comunicazione: ad esempio in Francia, per la filiera del tessile, viene investito in comunicazione il 15% del budget. La comunicazione è un asset fondamentale, ma in Italia non ho mai visto una campagna di comunicazione importante. Mi ha sorpreso che Cingolani, nella sua prima uscita pubblica come ministro, abbia citato anche i Raee.
Un ruolo può averlo anche la tariffazione puntuale per i rifiuti, che fa pagare meno se si fa più differenziata?
Il concetto fondamentale secondo me non è che dovremmo raccogliere e trattare bene questi rifiuti perché così paghiamo meno. Il concetto fondamentale è invece che se non raccogliamo e ricicliamo correttamente alcune di questi materiali, prima o poi ci sarà una penuria che causerà l’incremento del prezzo dei nuovi prodotti. Il problema insomma non è di breve periodo, non è la tassa sui rifiuti: se non raccogli e ricicli oggi, domani non avrai più la possibilità di avere questi prodotti agli stessi prezzi di oggi.
Qual è oggi il ruolo che le imprese che sono tenute alla responsabilità estesa riconoscono ai consorzi attraverso i quali questa responsabilità si concretizza?
Per le aziende gli obblighi legislativi ai quali sono tenute dalle norme Epr sono un onere importante, un fardello. Per questo uno degli asset principali che i consorzi forniscono alle aziende è l’essere compliant rispetto alla legislazione, nel modo più semplice e immediato possibile. Quando sei iscritto, insomma, sei a posto.
Molti soggetti, tra cui anche Erion, forniscono ai loro associati anche servizi informativi rispetto alle evoluzioni normative, alla nuova legislazione. Poi sempre più strutture e consorzi di una certa dimensione – e in questo sta l’asset di Erion e di analoghi consorzi in giro per l’Europa – vanno oltre la compliance legislativa e iniziano a fornire servizi a valore aggiunto, che possono essere considerate vere e proprie consulenze: ad esempio nella progettazione, su come ottimizzare il packaging per generare meno rifiuto e risparmiare. Se una grossa azienda può non avere bisogno di questi servizi, la piccola invece non ha risorse per fare certe attività internamente, e li trova nel consorzio.
Quindi i consorzi contribuiscono anche ad alzare l’asticella delle performance delle imprese più piccole e meno strutturate.
Infatti. E più sono grandi i consorzi più offrono questo tipo di servizi. Inoltre i consorzi più grandi sono anche efficienti: perché quanti più rifiuti il sistema gestisce tanto più diventa efficiente. Il concetto di economia di scala per chi fa trattamento rifiuti è fondamentale: permette di lavorare sull’ottimizzazione dei processi e anche di avere condizioni più favorevoli a valle, quando si vendono le proprie frazioni di rifiuti. Da questo punto di vista la creazione di sistemi più grandi garantisce maggiore efficienza e maggiore controllo.
Cambiando filiera e pensando al primo gennaio 2022, quando in Italia dovrà partire la raccolta dei rifiuti tessili. È probabile che, anche sulla base dell’esperienza di altri Paesi come la Francia, in Italia venga avviato un sistema Epr anche per il tessile?
La Francia si sta muovendo per conquistare la leadership sul tema della circular economy: il Circular economy act dell’anno scorso è davvero molto ambizioso. In Italia il tessile e poi anche i mobili sono certamente i prossimi candidati per sistemi di responsabilità estesa del produttore: i sistemi Epr sono diventati la pietra angolare nella gestione di tanti flussi di rifiuti in Europa, e all’orizzonte vedo una crescita esponenziale. Semmai il problema principale è che oggi in Europa nella maggior parte dei casi tutti questi sistemi si sviluppano sulla base di direttive, e ogni Stato membro ha un suo approccio: questo per aziende multinazionali o anche per piccole imprese che vendono in più Paesi diventa problematico, perché ci sono requisiti diversi da Paese a Paese. Credo che questo in futuro dovrà cambiare. Qualche mese fa la Commissione europea ha presentato la proposta di un nuovo Regolamento per disciplinare la produzione, l’uso e il riciclaggio delle pile e delle batterie sul territorio europeo. Non più una direttiva che gli Stati membri dovranno recepire ciascuno per sé, ma un regolamento che varrà allo stesso modo in tutti i Paesi dell’Unione. La direzione di marcia, quindi, è avere più sistemi Epr uniformati a livello europeo sui diversi flussi di rifiuti.
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