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giovedì, Novembre 14, 2024

Lamantera, la lana italiana torna a circolare

Fino a qualche decennio fa la lana italiana era considerata una ricchezza, oggi invece è un peso nel bilancio aziendale di allevatrici e allevatori alle prese con un rifiuto speciale. Da qui l’idea di Benedetta Morucci, classe ’85, di creare un’azienda che recuperasse questo bene prezioso

Alessandro Coltré
Alessandro Coltré
Giornalista pubblicista, si occupa principalmente di questioni ambientali in Italia, negli ultimi anni ha approfondito le emergenze del Lazio, come la situazione romana della gestione rifiuti e la bonifica della Valle del Sacco. Dal 2019 coordina lo Scaffale ambientalista, una biblioteca e centro di documentazione con base a Colleferro, in provincia di Roma. Nell'area metropolitana della Capitale, Alessandro ha lavorato a diversi progetti culturali che hanno avuto al centro la rivalutazione e la riconsiderazione dei piccoli Comuni e dei territori considerati di solito ai margini delle grandi città.

Resta di solito nei campi, a volte viene bruciata, altre volte interrata, quando invece è regolarmente smaltita finisce in un inceneritore. È come se ci fosse soltanto uno scenario per la lana degli allevamenti locali: sparire.

Ogni anno vengono bruciate circa 9000 tonnellate di lana proveniente soprattutto da allevamenti a pascolo, perché sono rimasti in pochi a ritirare la lana sucida, ossia il manto delle pecore tosate. Non c’è più una filiera per questo prodotto considerato fino a qualche decennio fa una ricchezza da cui ricavare coperte, vestiti e materassi. Oggi invece è un costo, è un peso nel bilancio aziendale di allevatrici e allevatori alle prese con un rifiuto speciale. Così viene classificata la lana sucida a livello europeo: un sottoprodotto di origine animale che va trattato per ridurre la carica batterica e per eliminare i rischi di contaminazione ambientale. Per renderla utilizzabile servono lavaggi, lanifici e spazi commerciali. Ma a bruciare questa materia prima sono stati anche il mercato, le fibre sintetiche, scelte e tendenze che inevitabilmente lasciano indietro qualcosa. La lana italiana è uno scarto. È questo il suo destino?

Lana made in Appennino

Tre anni fa Benedetta Morucci, classe 1985, designer veneta con un passato nell’alta moda, si è fatta questa domanda. L’interrogativo non è rimasto nella sua testa, lo ha detto ad alta voce davanti a un gregge di pecore al pascolo nel bioagriturismo “La Porta dei Parchi, ad Anversa degli Abruzzi, in provincia dell’Aquila. Così nasce Lamantera, un’azienda che recupera e trasforma lana biologica in calzature, in sciarpe e in mantelle, come la mantera, parola che in dialetto abruzzese indica la mantella di lana cotta, da secoli compagna dei pastori durante gli inverni e le transumanze.

“Ho lavorato per molto tempo nei grandi marchi della moda, ma un certo punto ho deciso di lasciare. L’ho fatto per me, per il mio benessere, perché il greenwashing visto dall’interno può diventare ingestibile. Non riuscivo più a fare riunioni sulla sostenibilità per poi operare con materiali che non rispettavano l’ambiente e gli esseri umani. Tre anni fa sono andata ad Anversa degli Abruzzi per rivedere una mia amica, Viola Marcelli, che insieme alla sua famiglia gestisce un agriturismo, da quarant’anni è anche un presidio ecologista e di tutela del territorio. Qui l’economia circolare è qualcosa di concreto, come sono reali la difesa del suolo e il benessere animale. In questa azienda ho capito il valore dell’allevamento al pascolo e della transumanza sull’appennino abruzzese. Sono tornata più volte per studiare e per capire valorizzare quella potenzialità inespressa, ossia la lana sucida delle tosature”.

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Benedetta Morucci – Foto Lamantera

Lamantera è un intreccio di storie

Benedetta Morucci racconta di una cesura; di un patto lavorativo spezzato perché basato soltanto su uno storytelling pronto a colorare tutto di verde. Ha messo in discussione il suo lavoro per seguire la possibilità di realizzare concretamente prodotti circolari, giusti e in grado di raccontare una storia. Lo ha fatto trasferendosi ad Anversa degli Abruzzi, grazie a Viola, alla sua famiglia e a una realtà produttiva che ha messo al centro l’allevamento di razze rustiche locali, il rispetto degli animali e la biodiversità. C’è chi arriva, come Benedetta, e c’è chi torna, come Viola Marcelli, che ad Anversa degli Abruzzi ha portato metodi differenti e approcci innovativi nella gestione delle attività produttive. Anche il suo ritorno è una storia di rotture, di lotte quotidiane contro pregiudizi e tradizioni. Viola lo ha raccontato all’antropologa Anna Rizzo nel saggio Paesi Invisibili:

“Ho scelto di tornare a vivere ad Anversa dopo aver studiato e aver vissuto dieci anni fuori. Per tornare bisogna avere una determinazione che superi qualsiasi nostalgia. Sogno di svecchiare le modalità di lavoro mantenendo salde le esperienze già vissute. Vorrei creare delle nuove collaborazioni, per semplificare i processi lavorativi, ristrutturando gli ambienti e formando il personale. Per le vecchie le generazioni esiste un unico modo di lavorare, quello del sacrificio, invece bisogna modellarlo in base alla persone che hai davanti. Mi piace stare in tutti gli ambienti lavorativi, in cucina, nel caseificio, nelle camere e in ufficio. Bisogna introdurre le donne in questo mondo, essere considerate imprenditrici e non casalinghe, qui non è scontato, soprattutto adesso che ho una famiglia e dei figli. Il paese non è di aiuto alle mamme che lavorano, non c’è una navetta che accompagna i bimbi a scuola, è difficile trovare una babysitter o chi ti aiuta con i bambini. Sarebbe bello se ci fossero meno impedimenti istituzionali o di patriarchi, ma sono fiduciosa e mi affido alla mia forza e alla mia determinazione”.

È l’intreccio di queste due storie che ha permesso alla lana abruzzese di trasformarsi in un prodotto circolare. La fiducia tra Benedetta e Valeria ha concesso al manto delle pecore un’altra prospettiva, quella del recupero. Perché se lavata e selezionata correttamente, la lana sucida può essere una ricchezza. Con Lamantera, Benedetta Morucci lo sta dimostrando all’industria della moda, agli allevatori e ai pochi lanifici rimasti.

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Foto Lamantera

Una filiera da ricomporre

La “Porta dei Parchi” è stata determinante, la famiglia di Viola ha creduto nel progetto, ha permesso a Benedetta di partecipare alla tosatura delle pecore e di avviare la lana sucida ai lavaggi industriali. Sono rimasti pochissimi impianti, uno a Bergamo, uno a Prato e uno a Biella. C’è una filiera da ricomporre, Lamantera vuole ricostituirla, tenendo insieme la produzione biologica, il benessere degli animali e l’accessibilità dei filati.

“Ho iniziato con le pecore della Porta dei Parchi. Ho fatto una prima prova su 200 chili di lana e ho visto che era fattibile arrivare al filato e che era possibile realizzare un prodotto. La difficoltà più grande è stata mettere in piedi una filiera. Ho provato a bussare a diversi lanifici in Abruzzo, ma non ho trovato chi fa maglieria, perché c’è ancora un pregiudizio sulle lane italiane. Si parte del presupposto che siano lane non selezionate, grezze e poco pregiate. Dopo aver visto che era realizzabile progettare con lana locale, ho coinvolto diversi allevamenti della zona, allargando ad aziende biologiche, selezionate sempre con i criteri della sostenibilità e del benessere animale. L’allevamento al pascolo tutto l’anno è una scelta di posizione, vuol dire dimostrare gratitudine agli animali, significa riconoscere che sei dipendente da loro. Seguo in prima persona il processo di tosatura, conosco gli allevatori e il modo in cui trattano le pecore. Per me è fondamentale”, racconta Benedetta Morucci.

Dopo essere stata lavata e selezionata, la lana biologica viene lavorata nel trevigiano, nello storico lanificio Paoletti. Un’altra parte a Biella, dove dal 2020 c’è un lanificio che tratta solo fibre ecosostenibili. Nel ciclo produttivo di Lamantera non c’è nulla di sintetico, solo materiali naturali e riciclabili che passano per lavorazioni lente in macchinari a basso impatto ambientale. Le tosature delle pecore abruzzesi sono oggi calzini, sciarpe e mantelle.

Le produzioni di Lamentera dimostrano che l’inceneritore non è l’unica strada per la lana dell’Appenino.

Nel 2020 l’idea di Benedetta Morucci ha vinto il terzo premio di RestartApp, l’iniziativa della fondazione Edoardo Garrone che ogni anno individua e sostiene diversi progetti imprenditoriali per il rilancio del territorio appenninico. Benedetta ha creato un altro scenario, dove i filati locali possono circolare, senza essere un’esclusiva o un prodotto di lusso.

“I prodotti sono al momento in tre negozi abruzzesi e uno a Milano. Le aziende agricole che collaborano con Lamantera hanno anche uno sconto sui prodotti e chi fa attività di ricezione, oltre all’angolo gastronomico, può vendere anche le calzature realizzate con le lane dei propri allevamenti. Al cliente arriva un prodotto accessibile in cui c’è al centro il valore della pastorizia e dalla transumanza. A fine novembre ci sarà anche l’e-commerce di Lamantera e un sito rinnovato con una sezione dedicata al business to business, ossia la vendita a lanifici e tessitori. E poi offriremo un servizio di progettazione dei prodotti”, spiega Benedetta Morucci da Anversa degli Abruzzi, dove può continuare a progettare, a disegnare calzature e abiti, senza greenwashing, con un orizzonte diverso, con la generosità e il calore che solo la lana sa concedere.

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Stalla – Foto Lamentera

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