Oggi, 5 giugno, si celebra la Giornata mondiale dell’Ambiente. Proclamata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite per ricordare la prima Conferenza ONU sull’ambiente (tenutasi a Stoccolma dal 5 al 16 giugno del 1972), quest’anno è dedicata alle soluzioni all’inquinamento da plastica.
Per celebrare la Giornata mondiale dell’Ambiente, EconomiaCircolare.com vi ricorda quattro cose da tenere sempre a mente, perché ci dicono quanto è importante oggi impegnarci e pretendere impegno per dare un futuro all’umanità e contrastare le molteplici crisi ambientali che minacciano la vita sulla Terra. Con l’ottica del giornalismo costruttivo.
139 milioni di tonnellate di plastica monouso
Solo nel 2022 il mondo ha prodotto 430 milioni di tonnellate di plastica, ci dice l’OCSE (l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico). Oltre due terzi di questa plastica (quasi 290 milioni di tonnellate) è stata utilizzata per realizzare prodotti di breve durata. Tra questi, 139 milioni di tonnellate per prodotti monouso. Come ci ricorda il Plastic Waste Makers Index, studio realizzato dalla Minderoo Foundation (una delle più grandi organizzazioni filantropiche dell’Asia Pacifico) insieme a Wood Mackenzie, Carbon Trust, quasi tutte le plastiche monouso continuano ad essere prodotte da materie prime di origine fossile: il 98% nel 2021, contro il 99% nel 2019. Ormai lo sappiamo, la plastica monouso, oltre che un problema di inquinamento e rifiuti è una questione climatica.
Per affrontare le cause dell’inquinamento da plastica, il Programma per l’ambiente delle Nazioni unite (UNEP) in un recente rapporto propone un cambiamento di sistema, combinando la riduzione dell’uso problematico e non necessario con una trasformazione del mercato verso la circolarità di questo materiale, accelerando tre cambiamenti chiave: riutilizzo, riciclo, riorientamento.
1 milione di specie a rischio estinzione
IPBES – la Piattaforma intergovernativa di politica scientifica sulla biodiversità e i servizi ecosistemici, massima autorità scientifica in tema di biodiversità – afferma che circa 1 milione di specie (un quarto di quelle conosciute) è a rischio d’estinzione. Di queste specie, il 50% potrebbe estinguersi entro la fine del secolo in corso. Gli autori del rapporto hanno coniato l’espressione “dead species walking” per le circa 500 mila specie non ancora estinte, ma che a causa della distruzione e degradazione degli habitat a loro disposizione e ad altri fattori legati alle attività umane (sovra-sfruttamento, inquinamento, cambiamenti climatici e diffusione di specie aliene invasive) vedono ridurre le loro probabilità di sopravvivenza nel lungo periodo.
Secondo l’IPBES “la natura stia diminuendo a livello globale a tassi senza precedenti nella storia, e il tasso di estinzione delle specie sta accelerando”. ISPRA ricorda che gli scenari sviluppati da numerosi scienziati, sulla base dei dati oggi disponibili, indicano che gli attuali tassi di estinzioni delle specie in natura sono da cento a mille volte superiori alla media delle estinzioni della storia del pianeta.
Contro la Crisi della biodiversità l’UE e i suoi Stati membri si sono impegnati ad “avviare la biodiversità sulla via della ripresa entro il 2030”: per farlo puntano sulla Strategia dell’UE sulla biodiversità per il 2030. Tra le misure messe in campo, la creazione di zone protette comprendenti almeno il 30% della superficie terrestre e marina dell’UE; il ripristino degli ecosistemi degradati attraverso una serie di impegni tra cui la riduzione dell’uso dei pesticidi del 50% entro il 2030 e l’impianto di 3 miliardi di alberi all’interno dell’UE; lo stanziamento di 20 miliardi di euro l’anno, pubblici e privati, per la protezione e la promozione della biodiversità.
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Oltre 1,5 gradi, difficilmente sotto i 2
Se non faremo presto scelte più decise e incisive, se non smetteremo di bruciare fossili e tagliare foreste, gli obiettivi degli accordi di Parigi sul clima sono già, “probabilmente”, fuori dalla nostra portata. Lo affermano gli scienziati dell’ Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC). “Le emissioni globali di gas serra nel 2030 derivanti dai contributi determinati a livello nazionale (Nationally Determined Contributions – NDC) annunciati dai Paesi rendono probabile che il riscaldamento supererà il limite di 1,5°C durante il 21° secolo”, spiega l’IPCC. E “renderanno più difficile limitare il riscaldamento al di sotto dei 2°C”. Questo pur ammesso, è non è affatto scontato, che i Paesi onoreranno gli impegni presi nella riduzione delle emmissioni (appunto i Nationally Determined Contributions).
In 6 anni come in un intero secolo
Negli ultimi 6 anni l’economia globale ha estratto e utilizzato più materiali rispetto all’intero XX secolo, ed entro il 2060 questa cifra potrebbe raddoppiare. Lo ha certificato l’edizione 2023 del Circularity Gap Report, lo studio di Circle Economy, – organizzazione che si occupa di fornire a imprese, decisori pubblici e amministrazioni gli strumenti per implementare l’economia circolare – in collaborazione con Deloitte. Ogni anno, l’economia globale consuma 100 miliardi di tonnellate di materiali, di questi solo il 7,2% rientra in circolo sotto forma di materiali riciclati.
Per contrastare questi prelievi senza limiti di materia non rinnovabile dal Pianet, oltre alla riduzione dei consumi, la soluzione passa per un’economia pienamente circolare e climaticamente neutra. A questa transizione sostenibile e ai cambiamenti imprenditoriali e normativi che necessari, Eunomia, Handelens Miljøfond (Fondo per l’ambiente dei dettaglianti norvegesi), Minderoo Foundation, TOMRA e Zero Waste Europe hanno dedicato un white paper (Reimagining the Waste Framework Directive) che tratteggia come cambierà il nostro modo di consumare, la gestione delle risorse, i modelli di business. E che prova ad indicare come anche la normativa dovrà cambiare per incoraggiare e sostenere questo cammino: la direttiva quadro sui rifiuti, auspica il report, dovrà diventare una direttiva sulle risorse.
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