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Rapporto Ispra 2018: un piano d’azione per rifiuti ed economia circolare

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Redazione EconomiaCircolare.com

di Donatella Liuzzi

Il Rapporto sui Rifiuti Urbani del 2018, prodotto dall’ISPRA e pubblicato il 10 dicembre 2018, porta con sé una serie di notizie altalenanti per quanto riguarda la produzione di rifiuti solidi urbani (RSU), raccolta differenziata, gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti di imballaggio, compreso l’import/export, a livello nazionale, regionale e provinciale. Notizie che si scontrano con le direttive dell’ultimo Consiglio dei Ministri, proprio in tema rifiuti. Inoltre, apre le porte ad uno scenario interessante che riguarda l’economia circolare, grazie al “Pacchetto economia circolare” per i rifiuti, la direttiva dell’Unione Europea in vigore dal 4 luglio 2018.
Ma andiamo per ordine.

I dati elaborati dall’ISPRA per l’anno 2017 disegnano un quadro piuttosto confortante: sono stati prodotti 29,6 milioni di tonnellate di RSU, segnando una riduzione dell’1,7% rispetto al 2016. Dopo il brusco calo del biennio 2011-2012 e i picchi raggiunti in precedenza, la produzione di rifiuti urbani in Italia si mantiene abbastanza stabile sui 29 milioni di tonnellate.

Buone notizie arrivano anche dal fronte della raccolta differenziata: nel 2017, l’Italia raggiunge la percentuale di 55,5%. Un dato molto importante per la penisola, che in 10 anni è riuscita a raddoppiare la raccolta differenziata, segnando un andamento in crescita costante: basti pensare che nel 2006 la percentuale era solo del 25,8%.
Un risultato eccellente, il più alto in tutta la penisola, si registra in provincia di Treviso con l’87,8%, mentre in Sicilia, invece, si registrano i dati peggiori: Enna, di coda con l’11,3%, nonostante a Siracusa (15,3%) e Palermo (17,3%) si sia avuta una crescita delle percentuali di 6 punti nell’ultimo anno.

Nonostante questo, e nonostante l’Italia sia uno tra i Paesi più forti nel riciclo dei rifiuti, il 12 dicembre 2018 il Consiglio dei Ministri ha approvato il decreto “Semplificazioni”: in questo decreto, purtroppo neanche l’ombra delle norme end of waste, secondo cui il rifiuto, se segue criteri precisi, può essere riutilizzato in nuovi cicli produttivi e diventare un nuovo prodotto. Senza questa normativa, l’Italia si ritrova con gli impianti di selezione che si riempiono di materiali, non trovando destinazione; il Consiglio ha giustificato questa scelta affermando che, la versione dell’end of waste non avrebbe semplificato nulla, anzi a quanto dicono gli esperti del settore il testo proposto era al contrario una complicazione cartacea e burocratica. Addirittura, l’applicazione non avrebbe aggiunto alcuna tutela ambientale e avrebbe dato modo ai “furbetti del rifiuto” di agire indisturbati.

Ma nel report redatto dall’Istituto superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale si parla anche di “economia circolare”, la vera novità messa in campo dall’Unione Europea per quanto riguarda la gestione e lo smaltimento dei rifiuti.

Bisogna fare un passo indietro e scoprire le origini dell’economia circolare. Secondo la definizione della Ellen MacArthur Foundation economia circolare  «è un termine generico per definire un’economia pensata per potersi rigenerare da sola. In un’economia circolare i flussi di materiali sono di due tipi: quelli biologici, in grado di essere reintegrati nella biosfera, e quelli tecnici, destinati ad essere rivalorizzati senza entrare nella biosfera».

Attraverso i quattro principi fondamentali, il modello di economia circolare si prefigura innanzitutto con l’estensione della vita dei prodotti, la produzione di beni di lunga durata, le attività di ricondizionamento e la riduzione della produzione di rifiuti. Insiste inoltre sull’importanza di vendere servizi piuttosto che prodotti, in riferimento al concetto della “functional service economy”, che rientra nella nozione più ampia di “performance economy”.
L’UE, grazie alle quattro direttive in vigore da luglio 2018, modificherà le normative che riguardano rifiuti, imballaggi, discariche, rifiuti elettrici ed elettronici (Raee), veicoli fuori uso e pile; si impegnerà anche a seguire la transizione degli stati membri verso un’economia che impiega le risorse in modo più sostenibile.
Lo scopo principale di questa normativa è, dunque, promuovere un cambiamento non solo culturale ma anche strutturale, che consenta di abbandonare il modello economico lineare che prevede estrazione-consumo-produzione a favore dei nuovi modelli che sfruttano a pieno le risorse. Il Piano d’azione è piuttosto completo e comprende le azioni, le strategie sui rifiuti, nonché un piano d’azione globale; le proposte sui rifiuti prevedono l’aumento del riciclaggio e la riduzione del collocamento in discarica e nel contempo, misure concrete per migliorare la gestione dei rifiuti, tenendo conto delle diverse situazioni degli Stati membri.
Le nuove norme, intendono contribuire a ridurre la produzione dei rifiuti e ad aumentare in modo sostanziale il riciclaggio dei rifiuti urbani e dei rifiuti d’imballaggio; ed inoltre ridurranno il ricorso allo smaltimento in discarica e promuoveranno l’uso di strumenti economici, come i regimi di responsabilità estesa del produttore, rafforzando la “gerarchia dei rifiuti”.
Tra i nuovi obiettivi è previsto il riciclaggio entro il 2025 per almeno il 55% dei rifiuti urbani, mentre si frena lo smaltimento in discarica, che non avrebbe molto senso nell’ottica dell’economia circolare, oltre a costituire un rischio d’inquinamento dell’acqua, del suolo e dell’aria . Il 65% degli imballaggi dovrà essere riciclato entro il 2025 e il 70% entro il 2030. I rifiuti tessili e i rifiuti pericolosi delle famiglie dovranno essere raccolti separatamente dal 2025, mentre entro il 2024 i rifiuti biodegradabili dovranno anche essere raccolti separatamente o riciclati a casa attraverso il compostaggio.

 

Il pacchetto prevede anche una serie di aiuti agli Stati e ai produttori, per facilitare l’applicazione della gerarchia dei rifiuti. In questa transizione un ruolo importante è assegnato ai produttori, che saranno tenuti responsabili dei loro prodotti quando diventano rifiuti. La nuova legislazione impegnerà anche in attività prevenzione e introduce obiettivi importanti per gli sprechi alimentari nell’UE e per i rifiuti marini, in modo da concorrere al raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite.

Negli ultimi vent’anni in molti Stati membri si è assistito a un progressivo miglioramento della gestione dei rifiuti, in linea con la gerarchia dei rifiuti introdotta dall’UE: nel 1995 in media il 64% dei rifiuti urbani erano smaltiti in discarica; nel 2000 questa cifra si era abbassata al 55%, mentre la quota media dei rifiuti riciclati si aggirava sul 25%. Nel 2016 i rifiuti domestici smaltiti in discarica sono scesi al 24% e il tasso di riciclaggio è salito al 46%. Restano tuttavia varie sfide e grosse differenze tra gli Stati membri: nel 2016 dieci Stati membri smaltivano in discarica oltre il 50% dei rifiuti domestici e in sei di questi il 40% o più era bruciato negli inceneritori.
Se la nuova normativa sarà introdotta e osservata in maniera puntuale e accurata da tutti gli Stati membri, le cifre sul ciclo dei rifiuti saranno sempre più positive, auspicando così un cambiamento radicale, che inizia nelle case di tutti noi. Il rifiuto, nonostante la semantica avversa, non sarà più semplicemente qualcosa da buttare via, ma qualcosa a cui conferire un nuovo significato e, da questo, ripartire.

Scarica il rapporto completo qui.

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