Se il passato è l’economia lineare e il futuro è l’economia circolare, come ben sanno i lettori e le lettrici di questa testata, in mezzo c’è un eterno presente che è fatto di una transizione ecologica tanto discussa quanto (finora) poco attuata. E in mezzo tra passato e futuro, in questo eterno presente, continuano a esserci le città. Ecco perché il recente rapporto di Symbola – la nota fondazione che promuove e aggrega le qualità italiane – assume ancora più importanza. Il dossier, intitolato Economia Circolare e Città Verdi, è una raccolta di best practices italiane e latinoamericane di sviluppo urbano sostenibile, realizzata nell’ambito del Progetto IILA – Economia circolare e città verdi. La ripresa post-Covid deve necessariamente ripartire dalle città.
“Secondo i dati più recenti forniti dalle Nazioni Unite circa il 55% della popolazione mondiale vive in paesi e città – si legge nel rapporto – percentuale che entro il 2050 si prevede possa aumentare fino a raggiungere il 70%. Numeri impressionanti se si pensa che nonostante le città occupino meno del 2% del territorio mondiale producono l’80% del PIL e oltre il 70% delle emissioni di carbonio. In questi mesi sono diventate anche i principali luoghi di propagazione del virus, spingendo moltissime persone ad abbandonarle per trasferirsi in campagna, facendo presagire un loro declino”. Insomma: il riscatto delle città passa proprio dall’economia circolare.
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Ripartire dalla storia
Le 179 pagine del dossier ribadiscono a più riprese l’importanza delle città. “La città costituisce da sempre il centro politico, economico e commerciale della nostra società, il suo ruolo è sopravvissuto a guerre, rivoluzioni, pandemie. Oggi sono chiamate ancora una volta ad evolvere, per tornare ad essere luoghi del desiderio e non della paura – si legge – Il report rappresenta best practices diverse per tipologia, area di intervento e intenti, sviluppatesi, come avviene spesso in Italia, in assenza di una cornice unitaria e sistemica, che se in molti casi rappresenta un problema, dall’altro determina una condizione di estrema libertà che stimola variabilità e varietà delle soluzioni che emergono dal basso dando ricchezza e resilienza al sistema”. Ecco perché “la città sotto questa prospettiva è un sistema dinamico, rigenerativo che evolve nel tempo e che attraverso un’attenta misurazione dei fenomeni migliora progressivamente la gestione di acqua, mobilità, materia, energia, verde e agricoltura urbana”. Attorno a questi aspetti, con la consapevolezza che sono strettamente interconnessi, si muove l’analisi di Symbola. Partendo ancora una volta dalla storia. Da Roma, la prima città del mondo latino e già all’avanguardia “2000 anni fa in ambiti oggi al centro del dibattito sulla sostenibilità delle nostre città”, fino ai Comuni italiani, “un modello di riorganizzazione urbana che risulta ancora attuale, basti pensare all’idea di città nei 15 minuti – in cui ciascun cittadino deve poter accedere ai servizi di base, a piedi o in bicicletta, in 15 minuti al massimo – teorizzata lo scorso anno dal sindaco di Parigi Anne Hidalgo. Ma si tratta di concetti che sono ben radicati nella storia italiana: si nascondono tra le trame delle sfide tra Contrade nel Palio di Siena, si celano nei 6 denti nel ferro della gondola veneziana, ognuno rappresentante un sestiere. Da qui deriva la straordinaria caratteristica delle città italiane ed europee che le vede divise in quartieri, ognuno con una sua storia”.
Dai comuni si arriva poi alle metropoli, che in Europa raramente diventano le megalopoli dell’Asia e dell’America Latina. “In Italia – osserva il rapporto di Symbola – la maggior parte delle città sono caratterizzate da una popolazione comunale fra i 50mila e il milione di abitanti, una dimensione coerente con il tessuto urbano europeo. Sono solo tre le città che si avvicinano alla dimensione della metropoli, ovvero Milano, Roma e Napoli. Il capoluogo lombardo è inoltre l’unico esempio disponibile in Italia di Global City, ovvero una città in grado di partecipare ad eventi internazionali di rilievo”. Ciò non vuol dire, però, che le buone pratiche green e circolari, seppur in maniera sparsa e non sistemica, non ci siano.
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Dalla smart city alla green city
Uno degli aspetti più interessanti del report è che, pur con la necessaria cautela, viene sancita l’inefficacia delle smart cities, di cui ancora si dibatte. “Nei primi anni del 2000, a livello internazionale si è diffusa, anche grazie alla spinta delle grandi aziende tecnologiche, un’idea di città che, grazie all’utilizzo delle tecnologie digitali e più in generale dell’innovazione tecnologica, potesse ottimizzare e migliorare le infrastrutture e i servizi ai cittadini. Una spinta che in una prima fase ha posto molto l’accento sugli aspetti tecnologici e infrastrutturali legati alla urbs fisica, dimenticandosi delle motivazioni e degli obiettivi alla base di questa trasformazione, la civitas insomma. Questo modello – si legge ancora – ha mostrato subito i suoi limiti, con disfunzioni nell’implementazione delle soluzioni smart: le amministrazioni in numerosi paesi del mondo si sono scontrate con la differenza di velocità tra lo sviluppo della tecnologia e la capacità del sistema, anche a livello decisionale e burocratico, di metterla in atto. Un secondo ostacolo alle tecnologie smart viene posto dal problematico adattamento agli spazi urbani. Molte città, quali quelle descritte precedentemente, che si avviano verso le nuove tecnologie, esistono da secoli e hanno spesso vincoli architettonici importanti. Esse non sono una tela bianca su cui si può disegnare liberamente, ma sono un coacervo di storia e passato di cui non si può non tener conto”.
Ecco perché “ci si sposta dunque verso un concetto green in cui è necessario non solo aggiornare la dimensione fisica e infrastrutturale della urbs, ma anche tener conto della dimensione umana e culturale della civitas. Si tratta di un approccio olistico che mira ad evitare le asimmetrie della smart city classica e valorizza invece la cultura e le specificità del territorio senza imporre necessariamente standard precostituiti, adattandosi alle esigenze e sfruttando le risorse locali”.
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I casi più interessanti
Per analizzare le migliori pratiche circolari delle città italiane, Symbola propone “5 ambiti di interesse oggetto di approfondimento: acqua, mobilità, materia, verde e agricoltura urbana, energia”. Si tratta ovviamente di “contesti interconnessi con tematiche spesso sovrapposte”. Tra le soluzioni emergenti vale la pena segnalare il recupero di materia dai fanghi di depurazione che viene attuato nel Comune di Truccazzano, nel milanese, “con un innovativo impianto per il recupero della cellulosa dai fanghi. È il primo in Italia, che si occupa del recupero di cellulosa estratta dalle acque reflue attraverso un sistema di multifiltraggio, destinata a essere riutilizzata per la produzione di compositi e biopolimeri nell’industria di plastica e bioplastica, e nella produzione di materiale da costruzione come l’asfalto stradale. Un processo che migliora anche la successiva fase di depurazione, perché le acque reflue prive di cellulosa sono più facili da trattare. La rimozione delle sostanze inquinanti risulta così più efficace, producendo anche un risparmio energetico, a tutto vantaggio dell’ambiente”.
Per quel che riguarda la mobilità sostenibile bisogna andare nelle Marche. “Prendendo spunto dalle autostrade delle biciclette già diffuse in nord Europa (Germania, Svezia e Danimarca), Pesaro, un comune sul Mar Adriatico che conta quasi 100mila abitanti (che si moltiplicano in estate per il turismo estivo) ha lanciato la Bicipolitana. Una rete di cinque piste ciclabili, articolata su tutto il territorio, che connette le principali zone della città per circa 90km. Ogni itinerario è identificato con un suo colore e ha un suo nome e, invece, delle classiche fermate ci sono snodi e incroci posti in corrispondenza delle centralità urbane che permettono di passare da un percorso all’altro”.
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Se invece si vuole andare più nello specifico dell’economia circolare, Symbola sostiene che “si applica alla città attraverso tre questioni-chiave: una progettazione che elimini rifiuti e inquinamento dalle città; il mantenimento in uso dei materiali e del loro valore all’interno delle città; e la rigenerazione dei sistemi naturali dentro e intorno alle città”.
Quando si pensa a un approccio rigenerativo bisogna comunque tenere conto che le città hanno “tessuti urbani esistenti” che rendono complessi “interventi che partono da zero”. Ecco perché si mira più a “un approccio più trasformativo, in cui si utilizzano le risorse (di territorio, di materia) esistenti per ottenere un impatto positivo, un “di più” che non si limita a contenere il problema ma genera benefici aggiuntivi alla città”. In questo senso sono interessanti gli esempi di trasformazione delle aree industriali dismesse, come ad esempio sta provando a fare la città di Taranto, o la trasformazione di ex tracciati ferroviari in piste ciclopedonali, come ad esempio in Abruzzo lungo la Costa dei Trabocchi (da Ortona a Vasto).
Per concludere, nel report di Symbola si sostiene che “l’idea è di staccarsi dalla facile e fragile retorica sia del piccolo è bello, sia della contrapposizione città/provincia, allontanandosi da chi, quasi con spirito di rivincita, si fa banale profeta della rinascita dei borghi a discapito delle città”. Il viaggio nel futuro, dunque, è un ritorno al passato a patto che sia consapevoli che “il nuovo millennio è iniziato nel 2019 con la pandemia che non ha fatto altro che accelerare delle dinamiche già in corso, precipitando scelte che, probabilmente, erano inevitabili. Se l’Unione Europea doveva avere una sua ragione d’essere la pandemia l’ha ben messa in evidenza, riempiendo contemporaneamente di senso il mito del “glocal”, dandogli finalmente una sua dimensione. E in questo contesto le città italiane possono svolgere un loro ruolo importante. L’Italia potrebbe essere rappresentata come la Rete, come internet che dona profondità alle nicchie più piccole”. In questo senso l’economia circolare potrebbe essere al centro di questi nodi.
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