Tra infrastrutture e ristrutturazioni edili previste dal Recovery plan il tema delle costruzioni è caldissimo: ma quanto pesa l’economia circolare dei materiali da costruzione, quanti rifiuti recuperiamo? Secondi Ispra il recupero vale il 74% del totale, ma secondo Legambiente questi dati non sono credibili. Il Rapporto Cave 2021 di Legambiente, presentato ieri, racconta un Paese groviera con 18 mila cave in cui la crisi dell’edilizia ha ridotto il numero di quelle attive ma non è servita – con alcune importanti eccezioni – a migliorare il settore e a traghettarlo verso l’economia circolare e una maggiore sostenibilità. E in cui ragioni burocratiche rendono non attendibili i dati sugli inerti recuperati.
Il contesto: 18.309 cave
Sono 4.168 le cave autorizzate in Italia e 14.141 quelle dismesse o abbandonate, secondo i dati contenuti nel Rapporto Cave di Legambiente, realizzato con il contributo di Fassa Bortolo. La crisi del settore delle costruzioni iniziata nel 2008 si è fatta sentire: sono diminuite quelle attive, erano 4.752 nel 2017, ma aumentano quelle dismesse o abbandonate, ben 727 in più, e solo una piccola parte vedrà un ripristino ambientale, secondo l’associazioni.
Sicilia, Veneto, Puglia, Lombardia, Piemonte e Sardegna sono le Regioni che presentano un maggior numero di cave autorizzate, almeno 300 in ognuna. I Comuni con almeno una cava autorizzata sono 1.667, il 21,1% del totale dei Comuni italiani. 54 Comuni hanno addirittura più di 10 cave.
Le cave di inerti e quelle di calcare e gesso rappresentano oltre il 64% del totale delle cave autorizzate in Italia, percentuale che supera l’81% se si analizzano le quantità estratte. Più basse le quantità estratte di materiali di pregio, come i marmi. Vengono estratti annualmente 29,2 i milioni di metri cubi di sabbia e ghiaia per le costruzioni, 26,8 milioni di metri cubi di calcare e oltre 6,2 milioni di metri cubi di pietre ornamentali.
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Recupero dei rifiuti da costruzione: siamo già oltre l’obiettivo europeo del 70%. O no?
Nel nostro Paese, secondo Ispra, i rifiuti speciali non pericolosi da costruzione e demolizione (C&D) sono circa 60 mila tonnellate (anno 2018). Dai cantieri arriva il maggior contributo alla produzione totale dei rifiuti speciali, con il 42,5% del totale. Ancora secondo Ispra il recupero complessivo di materia nelle costruzioni raggiunge 35,5 milioni di tonnellate, il 77,4% del totale. Il nostro Paese avrebbe dunque raggiunto gli obiettivi fissati dalla direttiva europea (2008/98/CE) che prevedeva che il recupero di materiali da C&D dovesse raggiungere quota 70% entro il 2020.
Purtroppo secondo Legambiente questi dati “non sono credibili”. Quel 74%, spiega l’associazione, “indica solamente che questi rifiuti sono passati, e quindi sono stati registrati, in un apposito impianto”. Si tratta quindi di materiali recuperati “ma poi stoccati senza alcun reimpiego effettivo”. La gran parte dei rifiuti da C&D, secondo Legambiente, “non è dichiarata e viene ancora oggi abbandonata illegalmente sul territorio”.
Nelle statistiche ufficiali, infatti, solo le imprese di una certa dimensione vengono incluse. La percentuale di recupero viene calcolata dall’Ispra attraverso le informazioni contenute nel Modello unico di dichiarazione ambientale (Mud), la cui compilazione è obbligatoria solo per i soggetti che effettuano operazioni di recupero e smaltimento di tali inerti, mentre le imprese di costruzione sono esentate, e quindi larga parte di queste non è tracciata nell’esito finale.
“Basti pensare – sottolinea Nanni – che sono esonerate dalla presentazione del Mud, oltre ai costruttori, tutte le imprese che hanno meno di dieci dipendenti, di qualsiasi settore”.
Insomma, “larga parte dei rifiuti da demolizione e ricostruzione oggi finisce in discarica e siamo ben lontani dall’obiettivo fissato al 2020 dall’UE”.
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Cavare (quasi) gratis
“Le entrate percepite dagli enti pubblici con l’applicazione dei canoni sono estremamente basse in confronto ai guadagni del settore”, spiega Gabriele Nanni, il curatore della ricerca. Il totale nazionale di tutte le concessioni pagate nelle Regioni, per sabbia e ghiaia, è di 17,4 milioni di euro, a cui bisognerebbe sommare le entrate della Sicilia che variano in funzione della quantità cavata, oltre a una piccola quota derivata dall’ampiezza dei siti estrattivi, come avviene in Puglia. “Cifre bassissime rispetto ai 467 milioni di euro all’anno ricavati dalla vendita”, aggiunge Nanni.
In Valle d’Aosta, Basilicata e Sardegna non sono previsti canoni concessori. In Lazio, Umbria, Puglia e della Provincia Autonoma di Trento non si arriva al 2% di canone rispetto al prezzo di vendita di sabbia e ghiaia. Se venisse applicato un canone, come avviene in Gran Bretagna, pari al 20% dei prezzi di vendita, gli introiti delle Regioni per l’estrazione di sabbia e ghiaia salirebbero a 93,5 milioni circa. “Se un canone di questo tipo si fosse introdotto negli ultimi dieci anni – precisa ancora Nanni – si sarebbe potuti generare quasi 4 miliardi di euro di entrate per le casse pubbliche.
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Le regole: regi decreti e Piani cava fantasma
Il settore, così delicato per gli impatti e gli interessi, è governato a livello nazionale da un Regio Decreto di Vittorio Emanuele III del 1927. Da allora non vi è più stato un intervento normativo che determinasse criteri unici per tutto il Paese, “mancano persino un monitoraggio nazionale della situazione o indirizzi comuni per la gestione e il recupero”, sottolinea Legambiente.
Dal ’77 le funzioni amministrative relative alle attività di cava sono state trasferite alle Regioni. Purtroppo sono assenti piani specifici di programmazione in Abruzzo (dove il P.R.A.E. è stato adottato ma mai approvato), Molise, Sardegna, Calabria, Basilicata, Friuli-Venezia Giulia (dove il Piano è stato approvato preliminarmente), tutte Regioni che non hanno un Piano Cave vigente.
Recupero dei rifiuti da costruzione, riqualificazione urbana e territoriale, occupazione
“Non esistono più scuse – dice Edoardo Zanchini, vicepresidente di Legambiente – abbiamo oggi la possibilità di passare da un modello lineare, di grande impatto, a uno circolare dove l’obiettivo è puntare su recupero, riciclo, riqualificazione urbana e territoriale. È una trasformazione sicuramente nell’interesse generale ma anche del settore, perché in questa prospettiva si aprono opportunità di innovazione di impresa e di creazione di nuovi posti di lavoro. Al Governo Draghi chiediamo di cogliere l’occasione dei cantieri del recovery plan per realizzare questo cambiamento”.
Purtroppo, continua, “larga parte dei rifiuti da demolizione e ricostruzione oggi finisce in discarica e siamo ben lontani dall’obiettivo del 70% di recupero fissato al 2020 dall’UE. Eppure, gli studi evidenziano come la filiera del riciclo in edilizia garantisca il 30% di occupati in più a parità di produzione”.
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Best practices di economia circolare per i materiali da costruzione: Ferrara
Tante le buone pratiche raccontate nel rapporto di Legambiente. “Cantieri – sottolinnea Zanchini – che hanno fatto qualcosa di innovativo recuperando i materiali dalle demolizioni, che sono riusciti a recuperare e riciclare sul territorio oltre il 98% dei materiali. La dimostrazione che possiamo cambiare approccio”.
Un caso esemplare di demolizione selettiva e gestione del rifiuto da costruzione e demolizione è quello del cantiere de “Le Corti di Medoro”, il nuovo complesso residenziale sorto sulle ceneri del cosiddetto Palazzo degli Specchi a Ferrare. L’innovazione legata a questo specifico caso vede in particolare il ruolo svolto da Acer Ferrara (Azienda Casa Emilia-Romagna) nella gestione del progetto urbanistico fino al recupero e riciclo dei materiali da costruzione. L’intervento ha permesso di realizzare 233 unità immobiliari a prezzi calmierati, destinati a studenti, giovani coppie e famiglie in difficoltà. Durante il cantiere è stato applicato il criterio CAM 2.5.1, che prevede che “almeno il 70% in peso dei rifiuti non pericolosi generati durante le attività di demolizione e costruzione deve essere separato in sito e avviato a recupero e riciclaggio”. Le attività di demolizione selettiva, durate 13 mesi, dal gennaio 2017 al febbraio 2018, hanno consentito la separazione di diverse frazioni merceologiche di rifiuto. Il risultato è che oltre il 99% del rifiuto è stato inviato a centro di recupero dei materiali da C&D. Oltre il 9o% è stato conferito entro km 45 di distanza dal luogo di produzione, centrando l’obiettivo dei 100 chilometri suggerito dal protocollo ITACA, al fine di rendere il processo sostenibile dal punto di vista ambientale ed economico
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Best practices di economia circolare per i materiali da costruzione: Prato
L’abbattimento selettivo del vecchio ospedale Misericordia e Dolce di Prato iniziato nel settembre 2020 ha visto larghissima parte del materiale, sia interno sia esterno, recuperato e riutilizzato. L’unica eccezione riguarda l’amianto, che sarà invece smaltito in appositi centri in Germania. La tecnica di demolizione selettiva ha visto la rimozione e separazione di tutti i materiali e rifiuti presenti all’interno dei fabbricati, nonché la rimozione e lo smontaggio delle apparecchiature elettriche ed impiantistiche. Il totale dei rifiuti generati dal cantiere è di poco meno di 63 mila tonnellate, con solamente 852 tonnellate (l’1,35%) di rifiuti destinati a smaltimento, mentre oltre il 98%, pari a 62.053 tonnellate, viene avviato a recupero, evitando sia di immettere in discarica importanti volumetrie sia il consumo di materie prime di cava.
“Si possono creare intere filiere di materiali ad impatto zero – spiega Nanni – come avviene in Sardegna, o rifare centinaia di km di superfici stradali, piste ciclabili, aeree aeroportuali, con materiali riciclati al 100%”.
Gli obiettivi per il riciclo dei rifiuti da costruzione secondo Legambiente
Nei prossimi anni, grazie anche al Piano nazionale di ripresa e resilienza, ci attende la sfida della rigenerazione delle città, della riqualificazione energetica e anti sismica del patrimonio edilizio. In questa prospettiva “si può rilanciare il settore delle costruzioni puntando su qualità, sostenibilità, recupero e riciclo dei materiali”, afferma Legambiente.
Diversi gli obiettivi posti da Legambiente: Rafforzare la tutela del territorio; Stabilire un canone minimo nazionale per le concessioni di cava, come nel Regno Unito pari al 20% del valore di mercato; Ridurre il prelievo da cava attraverso il recupero degli inerti provenienti dall’edilizia e dal riciclo di rifiuti da utilizzare in tutti i cantieri; ridurre il conferimento a discarica; rendere economicamente vantaggioso l’utilizzo di materiali da recupero e riciclo; facilitare il recupero, riciclo e riutilizzo in edilizia di rifiuti provenienti da tutti i settori; accelerare l’approvazione dei decreti end of waste e dei Criteri ambientali minimi (Cam) per le infrastrutture e per l’edilizia.
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