fbpx
domenica, Maggio 19, 2024

Musei, parchi, edifici rinascono come beni comuni. Storie di rigenerazione industriale

Con le aziende che continuano a preferire le delocalizzazioni, aumentano i siti industriali dismessi. Accanto a tanti posti abbandonati e inutilizzati, ci sono però esempi virtuosi di riconversione. Da Torino alla Sicilia, eccone alcuni

Valeria Morelli
Valeria Morelli
Content Manager e storyteller 2.0. Fa parte del network di Eco Connection Media. Si occupa di strategie di comunicazione web, gestione social, consulenza 2.0 e redazione news e testi SEO. Per Green Factor, all’interno dell’ufficio stampa, si occupa delle relazioni istituzionali.

Come riporta l’Istat, di anno in anno, in Italia, anche in conseguenza delle delocalizzazioni, diminuiscono le industrie e cresce il comparto servizi. In tale contesto, nel Belpaese aumenta il numero dei siti industriali che vengono dismessi: alcuni di essi vengono purtroppo abbandonati per anni – talvolta in attesa di bonifica – mentre, in altri casi, le aree che un tempo erano occupate da tali attività vengono recuperate e viene data loro nuova vita modificando la precedente destinazione d’uso.

Leggi anche: Ostana, storia di una rigenerazione ai piedi del Monviso

Siti industriali in disuso: occupano il 3% del territorio italiano

Anche se le strutture ad oggi in disuso sono migliaia (pensate che solo a Roma se ne contano quasi 200) non esiste un censimento nazionale che consenta di mapparle ed una parziale fotografia di tale fenomeno è possibile solo grazie ad una serie di informazioni locali. Eppure la valorizzazione di tali siti può essere una leva di competitività per i territori come evidenziato anche da un evento organizzato, ad inizio anno, dalla Camera di Commercio di Roma, analizzando i dati di una ricerca condotta con l’Eures proprio su questi temi. Secondo i dati Istat, le aree industriali dismesse nel nostro Paese rappresentano circa il 3% del territorio nazionale corrispondente ad una superficie di 9 mila chilometri quadrati dei quali circa il 30% è localizzata in aree a media o elevata urbanizzazione.

La riconversione di queste aree può rappresentare un’opportunità per il territorio, per le aziende che intendano aprire nuove attività o per allocare i servizi a volte mancanti, il tutto con zero consumo di suolo e in un’ottica di uso circolare degli spazi. A queste strutture possono poi sommarsi altre aree ad oggi inutilizzate o sottoutilizzate come le ex caserme o le strutture militari non più in uso.

Leggi anche: I legami tra aree interne ed economia circolare. “Col Covid si è rilevata la scelta più efficiente per i paesi”

Esempi di rigenerazione industriale

Reinventare gli spazi per dare loro una seconda vita non è certo una novità. Per i nostri avi, ad esempio, era talmente normale da averci lasciato in eredità luoghi che ospitano, a diverse profondità, ancora oggi storie di secoli diversi.

Sebbene, attualmente, come abbiamo avuto modo di verificare, sia enorme il patrimonio di spazi abbandonati, esistono però degli esempi virtuosi dai quali si può trarre ispirazione.

Da sedi di industrie a nuovi musei

La disponibilità di grandi spazi è spesso utile per allestire un nuovo museo o per trasferire importanti collezioni. Così, spesso, siti industriali dismessi tornano a nuova vita sotto forma di musei. Un esempio celebre è quello della Centrale Montemartini, oggi seconda sede dei musei capitolini. Tuttavia, come suggerisce il suo nome, originariamente l’impianto era una centrale elettrica. Inaugurata nel 1912, fu il primo impianto pubblico per la produzione di energia elettrica della “azienda elettrica municipale” (oggi divenuta Acea) della Capitale.

Imponente e monumentale, venne danneggiata gravemente durante la Seconda guerra mondiale. Nel corso della lotta di liberazione riuscì a garantire ai cittadini della Capitale l’approvvigionamento elettrico e venne ulteriormente potenziata dopo la fine del conflitto bellico. Dopo circa 50 anni di onorato servizio, ritenuta ormai obsoleta, venne dismessa negli anni 60 per rimanere in stato di abbandono per circa 20 anni quando, grazie all’Acea, venne recuperata su progetto di Paolo Nervi. I lavori, iniziati nel 1989, terminarono nel 1997 quando, a seguito della ristrutturazione dei musei capitolini, si manifestò la necessità di una nuova sede per parte degli allestimenti. Quella che avrebbe dovuto essere una soluzione temporanea si trasformò in una destinazione permanente. Attualmente la struttura ospita parte della collezione capitolina che convive con la sezione relativa all’archeologia industriale.

Un altro luogo sicuramente suggestivo è il museo di Favignana che sorge all’interno dell’ex Stabilimento Florio nel quale veniva lavorato il tonno per essere confezionato sotto sale o sott’olio. La struttura dei Florio – oggi tornati in auge grazie ad una serie di libri che ne celebrano le gesta e la successiva rovina- sopravvisse alla decadenza economica della storica famiglia siciliana continuando la sua attività per anni. Dopo diversi decenni di abbandono, la tonnara è tornata in vita come museo per ospitare reperti storici e archeologici delle Egadi ma anche per raccontare i fasti che questo luogo visse nel secolo scorso.

Leggi anche: Infrastrutture e mobilità sostenibile, 62 miliardi per “ridisegnare l’Italia dei prossimi 10 anni”

Dai siti di archeologia industriale rinascono spazi verdi

Città come Milano e Torino raccontano il loro passato anche attraverso gli insediamenti produttivi che oggi hanno un’altra destinazione. Le aree urbane si sono espanse e gli stabilimenti industriali sono stati man mano delocalizzati. In entrambe le città, le zone una volta utilizzate per la produzione di veicoli automobilistici oggi sono rinate sotto forma di spazi pubblici.

A Milano, nell’ex area dell’Alfa Romeo, è nato il Parco del Portello che, grazie ai progetti degli architetti Andreas Kipar e Charles Jencks, ora si compone di tre colline verdi – per la cui costruzione sono state utilizzate macerie e terra di scavo – che rappresentano la preistoria, la storia e il presente. Nel parco – che contiene molti simboli dal diverso significato – sono da ammirare lo specchio d’acqua e il Time Garden che simboleggia lo scorrere del tempo.

Immaginando di guidare un’auto d’epoca possiamo arrivare a Torino dove il Parco Dora, realizzato sulla base dei progetti dello studio Carlo Pession in collaborazione con il paesaggista Peter Latz, oggi sorge laddove una volta era attiva l’industria Michelin–Ferrier. L’area verde prende il nome dal fiume Dora e accoglie i visitatori insieme ai resti della struttura industriale oggi ancora visibili.

Leggi anche: “L’economia circolare non solo nelle città ma nei territori”, una possibile rotta per una ripresa post-Covid

Dall’ex mattatoio nasce la città dell’Altra Economia

Sebbene molte ex aree industriali siano oggi ancora abbandonate, le storie di rigenerazione sono davvero tante. Vi sono spazi divenuti palazzi ad uso residenziale, teatri, centri per convegni. Per concludere questa carrellata, tra le diverse storie ce n’è una davvero particolare ed unica. Nel cuore di Roma, in zona Testaccio, le strutture in ghisa e ferro ove una volta era attiva l’industria della carne (il cosiddetto mattatoio), attualmente ospitano la città dell’altra economia, luogo di eventi le cui parole chiave sono equo e solidale, etica, sostenibilità ambientale a 360°.

Ove vi capitasse di visitare questo luogo nel corso di un meeting o semplicemente per prendere un drink al bar o al ristorante, concedetevi del tempo per ammirare gli elementi architettonici che la compongono: la ristrutturazione, realizzata secondo i dettami della bioarchitettura, consente tutt’oggi di ammirare il portico di Gioacchino Ersoch (architetto emerito del Comune di Roma già allievo del Valadier) sulle colonnine in ghisa, le pensiline antistanti della fine degli anni Venti, lo spazio interstiziale e l’adiacente edificio delle Pese. Da non perdere.

Leggi anche: K_Alma, la falegnameria dei diritti

© Riproduzione riservata

spot_img

POTREBBE INTERESSARTI

Ultime notizie