Il Recovery Plan condizionerà gli investimenti dei prossimi decenni e i fondi li prendiamo in prestito dai nostri figli e nipoti. Anche per questo, oltre che per la crisi climatica in atto, va utilizzato al meglio su progetti capaci di trasformare e decarbonizzare l’economia, rendendo davvero il nostro sviluppo sostenibile, inclusivo e resiliente.
Ridotti i fondi per la transizione ecologica
La proposta di Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) varata dal Consiglio dei ministri mantiene come primo capitolo quello della rivoluzione verde e transizione ecologica, anche se il finanziamento rispetto alle prime bozze è stato ridotto di circa 5 miliardi e portato agli attuali 68,9, di cui 6,3 per l’impresa verde l’agricoltura sostenibile e l’economia circolare, 18,22 per la transizione energetica e la mobilità locale sostenibile, oltre 15 per la tutela e la valorizzazione del territorio e della risorsa idrica e oltre 29 per l’efficienza energetica e la riqualificazione degli edifici. Una cifra importante, quest’ultima, che però non basta a prorogare anche per il 2023 il Superbonus al 110%. Alla missione digitalizzazione innovazione competitività e cultura vanno 46,1 miliardi, per infrastrutture e mobilità sostenibile 31,98, tra cui 5 miliardi in più per l’Alta Velocita in particolare nel Mezzogiorno. Aumentano le dotazioni delle missioni istruzione e ricerca (28,49 miliardi), inclusione sociale e coesione (27,62), sanità (19,7).
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Quel deficit di visione, coerenza, partecipazione
Le risorse ci sarebbero, il Piano parla di circa 222 miliardi e cresce la quota destinata agli investimenti, che raggiunge il 70%, ma è debole dal punto di vista della visione, della coerenza interna e della partecipazione. Finora lo hanno potuto studiare ministri e tecnici che ci hanno lavorato, sono state coinvolte solo parzialmente le forze di maggioranza e per nulla le parti sociali. Spero che ora, con il passaggio parlamentare, ci sia il tempo e lo spazio per recuperare almeno sul fronte della partecipazione e per scrivere un Piano che raccolga le proposte migliorative delle Camera, delle imprese, di associazioni e sindacati.
L’interrogativo sulla governance
Ancora da sciogliere, inoltre, il nodo della governance per l’attuazione: spero che si accantoni l’idea dell’ennesima task force e che ci si affidi casomai a una cabina di regia composta dai ministri competenti e integrata anche da Regioni (ed enti locali) interessati e che si colga questa occasione anche per un’operazione di rafforzamento della pubblica amministrazione, che porti nuove risorse umane e competenze.
“Risultati attesi”, una lacuna da colmare
Altro tasto dolente, evidenziato puntualmente dal Forum Disuguaglianze Diversità, è il fatto che la maggioranza dei progetti è priva dell’indicazione dei “risultati attesi” (in termini di benefici per cittadini, imprese e/o lavoro). Una lacuna che rende difficile misurare utilità ed efficacia dei singoli interventi, che insiste su una delle raccomandazioni fatte dalla Commissione europea nelle sue linee guida e che rischia quindi di costare cara all’Italia se non vi sarà posto riparo.
Poco coraggio sulle rinnovabili, poca chiarezza sull’idrogeno
Infine alcune considerazioni nel merito della missione che più mi sta a cuore: la rivoluzione verde e la transizione ecologica. Pur apprezzando il richiamo del Piano ad eolico e fotovoltaico offshore per rafforzare il contributo delle fonti pulite al nostro mix energetico, credo che sulle rinnovabili la proposta resti al di sotto delle aspettative e delle necessità che impongono la crisi climatica, gli obiettivi del Green Deal europeo con il nuovo target di riduzione delle emissioni al 2030 e l’Accordo di Parigi. Inoltre si investe sulla generazione pulita di energia ma molto meno in reti intelligenti e sistemi di accumulo, che sono indispensabili, e vedo molta enfasi sull’idrogeno senza che sia ben sia esplicitato in tutti i passaggi che bisogna sì puntare sull’idrogeno, ma su quello verde.
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L’economia circolare è molto di più
Ci si limita poi a dire qualcosa rispetto alla questione rifiuti, con uno stanziamento di 1,5 miliardi di euro per la realizzazione di nuovi impianti e l’ammodernamento di quelli esistenti, e sulla riduzione del consumo di risorse grazie all’uso di materie prime seconde, ma l’economia circolare è molto di più. È una prospettiva di sviluppo che investe società e territori creando filiere produttive, dalla bioeconomia alla chimica verde, e cittadini più consapevoli. Cittadini che grazie alla loro differenziata contribuiscono ai processi di riciclo e rigenerazione dei materiali. Una prospettiva visionaria ma anche molto concreta, innovativa e promettente, rispetto alla quale le promesse di una Strategia nazionale per l’economia circolare da proporre nei prossimi mesi e di cambiamenti normativi sull’end of waste per accelerare gli iter autorizzativi degli impianti, pur andando nella giusta direzione, restano troppo vaghe.
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Un piano industriale verde
Tra le prime bozze e la proposta di Pnrr approdata in Consiglio dei ministri è stato privilegiato un approccio tecnico-ragionieristico, più attento ai saldi finali da rispettare e a modificare la suddivisione tra incentivi e investimenti piuttosto che a costruire una visione complessiva per realizzare un vero e proprio piano industriale verde. Ora è importante che il testo approdi in Parlamento per un esame approfondito che lasci spazio al contributo migliorativo delle Camere e delle parti sociali.
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