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venerdì, Dicembre 13, 2024

La rivoluzione circolare del cibo? Parte dai semi e dalla loro diversità

Le colture evolutive possono essere un esempio di circolarità e partecipazione. Per un’agricoltura biologica, resiliente ai cambiamenti climatici e libera dalle regole del mercato

Nicoletta Fascetti Leon
Nicoletta Fascetti Leon
Giornalista pubblicista, allevata nella carta stampata. Formata in comunicazione alla Sapienza, in giornalismo alla Scuola Lelio Basso, in diritti umani all’E.ma (European Master’s Programme in Human Rights and Democratisation) di Venezia. Ha lavorato a Ginevra e New York nella delegazione UE alle Nazioni Unite. Vive a Roma e da nove anni si occupa di comunicazione ambientale e progetti di sostenibilità

La scelta dei semi in agricoltura è cruciale, poiché determina cosa arriva sulle nostre tavole. Ma è anche un “atto politico”, in quanto condiziona l’intero sistema alimentare. Il mercato di sementi e pesticidi, infatti, è quasi del tutto concentrato nelle mani di poche multinazionali, che brevettano i semi e ne detengono la proprietà, contrariamente alla tradizione di un mondo agricolo che i semi li conserva e li scambia. Che ne è allora dell’obiettivo di un’agricoltura in armonia con la natura, dei diritti dei contadini e dei bisogni nutritivi delle persone?

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In arrivo nuove norme europee sui semi

Una certa consapevolezza della “posta in gioco” sembra per fortuna esserci, dunque possiamo dire che non ci sono solo cattive notizie. Il progetto europeo Liveseed, per esempio, affronta il problema della disponibilità e della qualità di sementi biologiche dagli aspetti commerciali fino alle normative, e si propone di aiutare gli agricoltori a raggiungere gli obiettivi europei. Entro il 2030, infatti, circa il 25% dei terreni ad uso agricolo dell’Unione europea dovrà essere coltivato in modo biologico. A questo proposito, sembra una novità positiva la prossima pubblicazione delle regole europee sulla vendita delle sementi delle popolazioni – anche detti miscugli varietali, definiti materiale eterogeneo dalla Commissione europea – che entreranno in vigore da gennaio 2022.

Per il mondo agricolo è un cambiamento importante perché mette in discussione il modello dell’uniformità varietale che ha dominato la ricerca e l’agricoltura fino ad oggi, riconoscendo l’importanza di resilienza e biodiversità delle colture. La popolazione evolutiva, infatti, definita come semente con base genetica ampia, determina la capacità di compensare i continui cambiamenti ambientali che si verificano nel corso del ciclo colturale. Il suo utilizzo in sostituzione delle varietà convenzionali (omogenee), permette agli agricoltori di stabilizzare le rese e la produzione nel tempo anche in caso di andamenti climatici estremi.

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Selezione partecipativa e circolarità

Punta a una rivoluzione del sistema alimentare proprio a partire dai semi la Rete Semi Rurali, una rete di associazioni attive nella promozione della biodiversità agricola, con un approccio partecipativo che unisce agricoltori, produttori, tecnici e consumatori nella selezione e sperimentazione sul campo delle sementi. La strategia di produzione delle popolazioni evolutive, promossa dalla Rete, ha molti aspetti in comune con la circolarità.

In primo luogo il seme può essere riutilizzato raccolto dopo raccolto, al contrario delle sementi ibride in commercio (F1), che dopo una coltura risultano di fatto sterili, costringendo i produttori a comprare sempre semi ibridi nuovi. Inoltre, la produzione evolutiva è basata su un approccio partecipativo e decentrato della selezione, condotta nell’ambiente di destinazione del seme, attraverso il coinvolgimento di tutti gli attori della filiera impegnati nella sua produzione, trasformazione e uso (agricoltori, mugnai, panificatori, consumatori).

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Elogio della diversità

Per capire da vicino e in modo più pratico di cosa si tratta, si può guardare al lavoro di Giuseppe Li Rosi, un agricoltore visionario siciliano,  presidente dell’associazione “Simenza – cumpagnia siciliana sementi contadine”, che fa del suo operare nei campi un vero e proprio elogio alla diversità. L’associazione fondata nel 2016 si descrive come un campo di grano evolutivo, ossia una popolazione, un miscuglio di persone, di terre, di linguaggi e di professionalità.

Il percorso di Li Rosi parte dal rifiuto di usare sostanze chimiche come il nitrato di ammonio o il diserbante glifosato nei campi della sua famiglia – come racconta in un talk TEDx – che lo porta alla ricerca di una alternativa e all’incontro con il grano evolutivo del centro di ricerca Icarda di Aleppo. Dalla Siria alla Sicilia, Li Rosi è stato uno dei primi agricoltori a investire su questa tecnica, nonché il primo in Sicilia a iscrivere tre varietà locali di frumento nel Registro Nazionale delle varietà delle specie agrarie e delle specie ortive. Partendo dal miscuglio di migliaia di semi differenti – alcuni dei quali hanno attecchito, altri no – l’agricoltore siciliano ha visto crescere la bellezza del suo campo eterogeneo di spighe alte e basse, dorate e scure, capaci di adattarsi alle condizioni pedoclimatiche e di resistere a malattie, insetti o erbe infestanti, meglio delle varietà uniformi.

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Sovranità alimentare

Chi coltiva con questo metodo può contare su una straordinaria stabilità di produzione da un anno all’altro, riportando la diversità in agricoltura senza comprare semi, in modo libero dal mercato sementiero. Storie come quella siciliana non mancano nel resto d’Italia. Un altro esperimento di sovranità alimentare, per esempio, è stato intrapreso da Semene, un’associazione sarda nata nel 2015 con l’obiettivo di recuperare la coltivazione e la trasformazione del grano nel nuorese e nell’entroterra sardo, privilegiando i grani così detti originari e il recupero di alcune specie di grani autoctoni, riconoscendo al contempo un reddito dignitoso per i coltivatori. In tutte queste esperienze la parola d’ordine è condivisione e partecipazione, delle conoscenze e delle scelte agricole, lungo la filiera, con le comunità interessate fino al consumatore finale.

Se è vero che siamo ciò che mangiamo, anche a tavola possiamo scegliere la diversità.

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