Un acronimo di tre lettere può generare discussioni infinite e continui rinvii? A quanto pare sì se l’acronimo è Sup, che sta per Single Use Plastics: più precisamente si tratta della direttiva Sup, la cui normativa italiana di recepimento entra in vigore dal 14 gennaio vietando nel nostro Paese l’utilizzo di alcuni articoli in plastica monouso.
Nello specifico, con il decreto legislativo n. 196 dell’8 novembre 2021 il legislatore italiano ha fornito una sorta di “propria interpretazione” alla direttiva comunitaria n. 904 del 2019, per ridurre l’incidenza – così recita il titolo della norma – “di determinati prodotti di plastica sull’ambiente”. A tre anni di distanza dall’emanazione della direttiva, a sua volta frutto di un’ampia discussione, il recepimento da parte italiana ha avuto un iter complicato, fatto di rinvii e pressioni lobbistiche, e ora all’orizzonte potrebbe esserci una procedura d’infrazione da parte della Commissione europea per la modalità con cui l’Italia applica il contenuto della direttiva.
Vediamo allora, innanzitutto, cosa prevede il decreto di recepimento italiano della direttiva Sup volto a ridurre la plastica monouso.
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Obiettivi e definizioni
“Il presente decreto reca misure volte a prevenire e ridurre l’incidenza di determinati prodotti di plastica sull’ambiente, in particolare l’ambiente acquatico, e sulla salute umana, nonché a promuovere la transizione verso un’economia circolare con modelli imprenditoriali, prodotti e materiali innovativi e sostenibili, contribuendo in tal modo alla riduzione della produzione di rifiuti, al corretto funzionamento del mercato e promuovendo comportamenti responsabili rispetto alla corretta gestione dei rifiuti in plastica. Il presente decreto reca, altresì, misure volte a promuovere l’utilizzo di plastica riciclata idonea al diretto contatto alimentare nelle bottiglie per bevande”.
Questi i tanti obiettivi del provvedimento vergato dal ministero della Transizione ecologica e avallato dal parere delle Camere. Mentre uno dei 17 articoli è dedicato alle definizioni. Tra queste, ce ne interessano in particolare tre, elencate qui di seguito, che ci aiuteranno a individuare i prodotti vietati e quelli “salvati”.
- il prodotto di plastica monouso, cioè il “prodotto realizzato interamente o parzialmente in plastica, ad eccezione del prodotto realizzato in polimeri naturali non modificati chimicamente, e che non è concepito, progettato o immesso sul mercato per compiere, nel corso della sua durata di vita, più spostamenti o rotazioni per essere restituito a un produttore per la ricarica o per essere comunque riutilizzato per lo stesso scopo per il quale è stato concepito. Non sono ad esempio considerati prodotti in plastica monouso i contenitori per alimenti secchi, compresi quelli stagionati, o per alimenti venduti freddi che richiedono ulteriore preparazione, i contenitori contenenti alimenti in quantità superiori a una singola porzione oppure contenitori per alimenti monoporzione venduti in più di una unità”.
- la plastica biodegradabile, cioè la “plastica in grado di subire una decomposizione fisica, biologica grazie alla quale finisce per decomporsi in biossido di carbonio (CO2), biomassa e acqua, ed è, secondo le norme europee in materia di imballaggi, recuperabile mediante compostaggio e digestione anaerobica”.
- la plastica oxo-degradabile, cioè le “materie plastiche contenenti additivi che attraverso l’ossidazione comportano la frammentazione della materia plastica in microframmenti o la decomposizione chimica”.
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La differenza tra divieto e riduzione
Qualche confusione è stata generata dalla differenza tra ciò che la direttiva europea espressamente vieta e ciò che invece mira a ridurre, attraverso l’azione dei singoli Stati membri. Più precisamente nella parte A dell’allegato alla direttiva Sup sono inseriti i prodotti su cui si invita a ridurre il consumo attraverso “accordi e contratti di programma con enti pubblici, con imprese, soggetti pubblici o privati e associazioni di categoria”:
– tazze e bicchieri per bevande, inclusi i relativi tappi e coperchi;
– contenitori per alimenti e cibo da asporto.
La parte B dell’allegato elenca invece i divieti che scattano dal 14 gennaio, relativi a nuove immissioni sul mercato (ovviamente nel frattempo potranno essere esaurite le scorte):
– posate, piatti e cannucce;
– contenitori per alimenti e bevande, tazze e bicchieri in polistirene espanso (più noto come polistirolo),
– agitatori per bevande;
– cotton fioc;
– aste a sostegno dei palloncini:
– sacchetti (in plastica oxo-degradabile).
Ci sono poi tutta una serie di requisiti, sia sui prodotti che sulla marcatura, che dovranno essere rispettati: per esempio a partire dal 2025 le bottiglie in PET (PoliEtilene Tereftlato) “devono contenere almeno il 25 per cento di plastica riciclata”, che diventa il 30 per cento a partire dal 2030; inoltre, i prodotti di plastica monouso elencati nella parte D dell’allegato dovranno contenere tutte le informazioni utili ai consumatori per evitare dispersioni nell’ambiente. E ancora, per ciascun prodotto in plastica monouso vengono definiti gli obblighi di responsabilità estesa del produttore, di raccolta differenziata, con le misure di sensibilizzazione previste dal Ministero e le sanzioni previste.
Per promuovere i prodotti alternativi a quelli realizzati con plastica monouso, è riconosciuto poi un credito d’imposta di tre milioni l’anno dal 2022 al 2024 alle imprese che acquistano e usano prodotti della tipologia di quelli elencati nei due allegati, purché siano riutilizzabili o realizzati in materiale biodegradabile o compostabile.
Infine, il ministero della Transizione ecologica dovrà comunicare annualmente alla Commissione i dati relativi alla riduzione del consumo degli oggetti in plastica monouso, quelli relativi “agli attrezzi da pesca contenenti plastica immessi sul mercato e agli attrezzi da pesca dismessi raccolti ogni anno sul territorio nazionale” nonché “i dati sui rifiuti post-consumo dei prodotti di plastica monouso”.
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Perché rischiamo una procedura d’infrazione europea
Tutto chiaro, dunque? Allora perché l’italia rischia una procedura di infrazione? La ratio della direttiva europea era chiara: ridurre la plastica in mare a partire dagli articoli monouso maggiormente dispersi. Ecco perché dunque sono stati individuati prodotti specifici come cotton fioc e salviette umidificate (che di solito vengono gettati nel wc) così come gli attrezzi da pesca (canne ma non solo), che invadano purtroppo i nostri mari. Per ciascun prodotto è stata poi realizzata un’analisi volta a comprendere se fosse possibile eliminarlo o sostituirlo con alternative riutilizzabili già presenti sul mercato. Da ciò deriva la definizione dei due allegati, quello A in cui la risposta è negativa, dunque ci si limita all’invito alla riduzione, e quello B che invece si riferisce a prodotti che già adesso si possono facilmente sostituire o eliminare (ad esempio piatti e posate).
Per salvaguardare il settore delle bioplastiche l’Italia ha inserito il cosiddetto comma della discordia, cioè il comma 5 dell’articolo 5 che prevede un’eccezione alle “restrizioni delle immissioni sul mercato”. Vale a dire che il divieto vale per i prodotti di plastica “fossile” monouso ma non si applica ai “prodotti realizzati in materiale biodegradabile e compostabile, certificato conforme allo standard europeo della norma UNI EN 13432 o UNI EN 14995, con percentuali di materia prima rinnovabile uguali o superiori al 40 per cento e, dal 1° gennaio 2024, superiori almeno al 60 per cento”.
Una scelta che, a detta degli esperti intervistati nei mesi scorsi dal nostro giornale, va contro il principio cardine della direttiva Sup che dà priorità alla riduzione e al riuso, ai vertici della nota gerarchia europea delle R per la gestione dei rifiuti. Il timore, infatti, è che il recepimento italiano incentivi semplicemente la sostituzione della plastica con la bioplastica. E per l’Unione europea le plastiche biodegradabili e compostabili non sono escluse dalla definizione di plastica che si trova all’art. 3 (paragrafo 1) della direttiva Sup.
Insomma, per molti l’adeguamento italiano è diventato un adeguamento “all’italiana” e anche se il decreto legislativo è ormai in vigore, l’individuazione di ciò che è vietato e cosa no resta valida fino a “infrazione contraria”.
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