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venerdì, Novembre 15, 2024

Lo stop degli esperti Ue: “Performance sopravvalutate per il gas e rischi sottovalutati per il nucleare”

Il 31 dicembre la Commissione aveva elaborato una bozza dell'atto delegato complementare. Dopo tre settimane, gli esperti della piattaforma scrivono che quel documento traccia soglie di sostenibilità troppo alte per il gas e non valuta adeguatamente i rischi connessi al nucleare

Andrea Turco
Andrea Turco
Giornalista freelance. Ha collaborato per anni con diverse testate giornalistiche siciliane - I Quaderni de L’Ora, radio100passi, Palermo Repubblica, MeridioNews - e nazionali. Nel 2014 ha pubblicato il libro inchiesta “Fate il loro gioco, la Sicilia dell’azzardo” e nel 2018 l'ibrido narrativo “La città a sei zampe”, che racconta la chiusura della raffineria di Gela da parte dell’Eni. Si occupa prevalentemente di ambiente e temi sociali.

Una bocciatura netta, senza appello. E che chiede alla Commissione europea di prendersi il tempo sufficiente (nonostante i tanti rinvii), magari tutto il 2022 se necessario. Così la Piattaforma dell’Unione per la finanza sostenibile, consultata dall’Esecutivo comunitario sulla tassonomia – la classificazione degli investimenti ritenuti sostenibili in Europa dal punto di vista ambientale -, respinge il tentativo di inserire gas e nucleare tra le fonti green. Riaprendo di fatto una partita che pareva chiusa.

In un documento dettagliato di 44 pagine, gli esperti criticano anche il poco tempo a disposizione: è il 31 dicembre scorso quando la Commissione “consegna” alla Piattaforma per la finanza sostenibile la bozza dell’atto delegato complementare con il quale sancisce che gas e nucleare sono attività che daranno un sostanziale contributo alla riduzione dei cambiamenti climatici. La prima scadenza per la replica è fissata per il 12 gennaio, con una successiva proroga al 21 dello stesso mese che però non è ritenuta sufficiente dall’organo consultivo composto da 68 esperti (57 membri + 11 osservatori) di sostenibilità leader a livello mondiale in tutti i gruppi di stakeholder.

“Non c’era tempo per consultarsi al di fuori del gruppo Piattaforma – si legge nel documento –  La Piattaforma avrebbe preferito più tempo per la deliberazione ed è disposta a supportare ulteriormente la Commissione Europea, in linea con il suo mandato, per esplorare e sviluppare un approccio che potrebbe sostenere gli investimenti per la transizione dell’approvvigionamento energetico senza indebolire la tassonomia come classificazione per le attività sostenibili verdi per decisioni di investimento”.

Quel che è venuto fuori dalla Commissione, secondo la Piattaforma, è un documento confuso che traccia soglie di sostenibilità troppo alte per il gas e che non valuta adeguatamente i rischi connessi al nucleare. Più precisamente per il gas “il punto di partenza è un desiderato allontanamento dall’energia a carbone, piuttosto che l’attività specifica che sta dando un contributo sostanziale alla mitigazione del cambiamento climatico”; mentre per il nucleare è vero che “comporta emissioni zero di gas serra” ma non garantisce zero impatti ambientali e anzi “non garantisce il criterio DNSH (do not significant harm, il principio del danno non significativo) previsto per altre attività energetiche”.

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Analisi, critiche e proposte

Dal documento della Piattaforma per la finanza sostenibile si evince che il dibattito deve essere stato piuttosto serrato. Nelle premesse, infatti, la Piattaforma tiene a precisare che “i membri e gli osservatori sono consapevoli che il progetto di atto delegato complementare alla tassonomia arriva in un momento di rapidi cambiamenti nel mercato energetico dell’UE, in cui i costi energetici e le pressioni sulla sicurezza dell’approvvigionamento sono elevate per i governi, i fornitori di energia e i cittadini. La piattaforma riconosce che la transizione della nostra intera economia per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 e la riduzione del 55% delle emissioni di gas serra entro il 2030 richiede la considerazione delle questioni ambientali, sociali, di costo e di fornitura e non solo delle prestazioni ambientali”.

Va chiarito, infatti, che “la tassonomia della finanza sostenibile dell’UE è stata concepita per descrivere le prestazioni ambientali necessarie affinché le attività economiche contribuiscano in modo sostanziale al raggiungimento degli obiettivi ambientali dell’Europa. I criteri di screening tecnico per ciascuna attività dovevano essere sviluppati con riferimento ai sei obiettivi ambientali selezionati e applicati a un’attività economica per informare un’impresa, una banca, un emittente o un investitore finanziario delle condizioni di un’attività economica sostenibile dal punto di vista ambientale. Il progetto di atto delegato complementare (CDA) adotta un approccio sostanzialmente diverso all’attuazione del regolamento sulla tassonomia, concentrandosi sulle tecnologie energetiche che fanno parte di un sistema energetico in transizione ma non raggiungono di per sé i livelli contributivi sostanziali richiesti per l’accordo di Parigi o soddisfano i requisiti di prestazione DNSH (il danno non significativo)”.

La questione della tassonomia dunque è cruciale per l’Europa, perché intende dare un quadro in cui collocare gli investimenti privati dei prossimi anni. Ma, ricorda la Piattaforma, si tratta in ogni caso di “un obbligo di informativa e non obbligatoria per gli investimenti, né può risolvere la politica di transizione del settore energetico al di là delle prestazioni ambientali”.

Come a dire che non si decide il futuro con un solo documento. Ecco dunque la già citata richiesta di prendersi tutto il tempo necessario. Ed ecco perché, nell’ottica di un atteggiamento propositivo, “la Piattaforma sta sviluppando una tassonomia estesa con una categoria di performance intermedia (che chiamiamo  ambra) e una categoria insostenibile da cui deve esserci una transizione urgente e giusta. Tale approccio è necessario perché la tassonomia verde esistente non intendeva includere tutte le attività dell’economia, in particolare le attività energetiche che devono essere soggette a transizione perché le emissioni sono attualmente troppo elevate o sono presenti danni significativi”.

Pare di capire, dunque, che secondo la Piattaforma sarebbe più opportuno inserire sia il gas che il nucleare in questa nuova categoria chiamata ambra, per non vincolare le sorti future dell’Europa a livello energetico da due fonti che hanno già dimostrato nel corso di questi decenni di non essere sostenibili.

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I motivi del no al gas

Per “salvare” il gas e poterlo definire sostenibile, nella bozza di fine dicembre la Commissione aveva stabilito che la soglia massima di emissione, per gli impianti di nuova cogenerazione, era 270 gCO2e/kWh. Mentre il limite generale per rientrare nella tassonomia era di 100 gCO2e/kWh sul ciclo di vita, soglia alla quale devono sottostare anche le centrali elettriche a gas.

“I membri della Piattaforma – si legge nel documento sostengono chiaramente che questa è la soglia scientifica per un contributo sostanziale alla mitigazione dei cambiamenti climatici, in relazione a una specifica attività economica nel settore della generazione di energia. È anche chiaro che i combustibili fossili gassosi senza sosta non raggiungono oggi questa soglia di prestazioni”.

Dunque, secondo l’analisi degli esperti della Piattaforma, “un nuovo impianto di generazione di energia da combustibili fossili gassosi entrerebbe in funzione con emissioni superiori al livello di Do No Significant Harm e non sarebbe tenuto a raggiungere il livello di contributo sostanziale in nessun caso fino ai prossimi 20 anni”. Inoltre “molti intervistati affermano che le prestazioni in termini di emissioni dirette di 270 gCO2e/kWh non possono essere considerate un contributo sostanziale alla mitigazione del cambiamento climatico nel contesto dell’obiettivo di temperatura di 1,5 gradi, degli obiettivi europei di decarbonizzazione e dei livelli medi di emissione della rete dell’UE. Si evidenzia che l’intensità media delle emissioni nel mercato energetico dell’UE dovrà diminuire significativamente nei prossimi anni e già nel 2019 era di 235 gCO2/kWh secondo l’IEA (l’Agenzia Internazionale dell’Energia, nda”). Il rischio concreto è che “un’attività elettrica a gas funzionante alla soglia proposta di 270 g/kWh, poiché è già ben al di sotto della media della rete, peggiorerebbe effettivamente la media della rete e tuttavia potrebbe essere etichettata come verde”.

La proposta della Piattaforma non può non partire dal fatto che l’Europa non può rinunciare di punto in bianco al gas. È una riconversione che va prima di tutto immaginata e poi programmata. Nel proprio piccolo gli esperti consultati dalla Commissione suggeriscono che “superando il dibattito sulle soglie di emissione, è possibile definire criteri (ad es. limitazione delle ore di funzionamento) per garantire che l’energia alimentata a gas svolga solo il ruolo di capacità di riserva per garantire la sicurezza dell’approvvigionamento”.

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I motivi del no al nucleare

“L’energia nucleare fa già parte del sistema energetico in transizione e ha emissioni di gas serra prossime allo zero, ma ciò non rende l’attività verde e sostenibile ai fini della tassonomia”. È una frase perentoria quella con la quale la Piattaforma boccia la proposta di considerare come green l’energia nucleare. Una bocciatura che, è importante sottolinearlo, vale sia per le centrali già in funzione che per quelle eventuali da costruire. Dal documento della Piattaforma si apprende infatti che “i criteri consentono tuttavia che le nuove centrali nucleari, che hanno ricevuto un permesso di costruire entro il 2045, siano allineate alla tassonomia, anche se diventerebbero operative troppo tardi per contribuire alla mitigazione del cambiamento climatico per limitare il riscaldamento al di sotto (o addirittura vicino) a 1,5 gradi. Inoltre, la costruzione di una nuova centrale nucleare sarebbe considerata un contributo sostanziale, vincolando il capitale a una struttura futura per molti anni senza che l’impianto operi in un lasso di tempo tale da contribuire sostanzialmente agli obiettivi climatici del 2050”.

Per le nuovi centrali, d’altra parte, non sono stati stabiliti nella tassonomia livelli adeguati di prestazione in merito agli “obiettivi dell’economia circolare (produzione di rifiuti senza opzioni di riutilizzo o riciclaggio), prevenzione e controllo dell’inquinamento (smaltimento di rifiuti altamente radioattivi), risorse idriche e marine (in caso di scarichi nucleari incontrollati) o biodiversità ed ecosistemi”. Ecco perché gli esperti scrivono che “si segnala l’esigenza di un piano per lo sviluppo di strutture per la gestione dei rifiuti ad alta attività entro il 2050, ma non ci sono requisiti specifici su ciò che dovrebbe esserci in un piano o una prescrizione di qualità delle attività previste in tale piano”.

La Commissione non ha poi calcolato, nella bozza di tassonomia proposta, neanche l’impatto dell’estrazione e della lavorazione dell’uranio, cioè la materia prima necessaria per il nucleare. In più, si legge ancora, “i criteri dovrebbero salvaguardare dall’uso di materiale nucleare legato alla produzione di energia nucleare (e alla sua intera catena del valore) nelle armi nucleari o per altri scopi militari (nell’UE e nel resto del mondo). I tempi di pianificazione e costruzione delle centrali nucleari devono essere meglio considerati e definiti nei criteri per garantire un contributo sostanziale alla mitigazione del cambiamento climatico nei tempi necessari”. Mentre “il requisito di finanziamento per la disattivazione e la gestione dei rifiuti radioattivi è poco definito ed è legato in modo specifico a garantire l’assenza di danni significativi a seguito dell’attività”. Allo stesso tempo per gli investitori che dovessero eventualmente decidere di investire su questa forma di energia “non sono presi in considerazione neanche i danni accidentali”.

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Pericolo greenwashing

Perché sia importante valutare attentamente l’impatto ambientale di ogni forma energetica, durante tutto il ciclo di vita, lo spiega la stessa Piattaforma quando solleva il rischio greenwashing che una tassonomia così delineata potrebbe alimentare.

“Poiché l’attuale pratica degli investimenti sostenibili spesso esclude le attività relative al gas fossile e/o all’energia nucleare, è necessario garantire agli investitori la piena trasparenza delle esposizioni a queste attività per consentire un processo decisionale in linea con i loro valori e preferenze – scrivono gli esperti – Ciò significa che, per quanto riguarda la comunicazione e la visualizzazione delle informazioni, sarebbero necessarie disaggregazioni più dettagliate, che mostrino l’esposizione ad attività separate al denominatore e al numeratore della quota di tassonomia, nonché una divisione tra UE e non Ue (poiché solo le operazioni nell’Ue possono essere allineati secondo i criteri proposti)”.

Nello specifico “il lungo orizzonte temporale per la decarbonizzazione delle attività di gas fossile previsto nell’atto delegato complementare (CDA) può consentire agli investitori di disinvestire dalle operazioni prima che inizino effettivamente a dare un contributo sostanziale all’obiettivo di mitigazione del cambiamento climatico. Accanto agli impatti sui mercati finanziari derivanti da attività non recuperabili, viene enfatizzato il rischio di spiazzare gli investimenti necessari nelle capacità di generazione di energia rinnovabile e nello sviluppo di tecnologie alternative a basse emissioni di carbonio, poiché il CDA crea la capacità di spostare la finanza sostenibile verso il finanziamento di combustibili gassosi fossili, in particolare fino al 2030”. Ciò vale anche per il nucleare, specie per le centrali di nuove generazioni, le quali potrebbero sì contribuire a basse emissioni ma in un orizzonte temporale troppo avanti nel tempo e incerto, specie in nazioni come l’Italia dove i tempi dei cantieri pubblici non rispettano (quasi) mai le date di consegna.

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Economia circolare ed energie rinnovabili

Come sa bene chi legge questo giornale, le alternative al modello lineare basato sulle fonti fossili esistono. Lo ribadisce la stessa Piattaforma quando scrive che la proposta della Commissione è incoerente “con l’obiettivo dell’economia circolare e con l’obiettivo di prevenzione e controllo dell’inquinamento della tassonomia senza criteri adeguati proposti per raggiungere questi obiettivi DNSH nell’attuale bozza. Ad esempio, i requisiti possono includere un piano per lo smaltimento operativo di rifiuti altamente radioattivi entro il 2050 nell’economia circolare e/o criteri DNSH per la prevenzione dell’inquinamento”. Inoltre “i criteri DNSH non includono alcun livello di consegna sugli obiettivi di biodiversità”.

Rimanendo poi all’ambito strettamente energetico, “esistono molte altre alternative possibili a basse emissioni di carbonio e sono oggi pronte per il mercato”. Gli esperti della Piattaforma criticano dunque il passaggio scritto dalla Commissione con il quale veniva enunciato che “l’energia generata dall’attività può non essere ancora efficientemente sostituita da energia generata da fonti di energia rinnovabile, a parità di capacità”. È la tesi più diffusa anche in Italia, sostenuta anche dal ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani, che però, stando a quanto affermato dalla Piattaforma, si rivela falsa. Su questo punto, però, il documento dice poco. E potrebbe essere proprio questa la domanda attorno al quale potrebbe concentrarsi il dibattito, nel caso in cui la Commissione decidesse di seguire i consigli  della Piattaforma e di rinviare ulteriormente la decisione sulla tassonomia: le rinnovabili sono davvero pronte a sostituire le fossili?

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