Nel corso degli ultimi dieci anni in Italia si è assistito alla diffusione di nuovi luoghi della cultura, nati da percorsi di riattivazione di spazi oramai dismessi e strappati al degrado.
Luoghi che tornano a vivere, rispondendo ai bisogni delle comunità che li abitano e in cui si sperimentano linguaggi nuovi e si incrociano attività diverse. Oggi un libro tira le somme di questi “Spazi del Possibile. I luoghi della cultura e le opportunità della rigenerazione” (edizioni FrancoAngeli, a cura di Roberta Franceschinelli) partendo dall’esperienza del bando culturability, il programma della Fondazione Unipolis che da sei anni promuove progetti di rigenerazione culturale.
Rigenerazione urbana del basso
Roberta Franceschinelli, oltre a essere la curatrice del libro, è la project manager della Fondazione che spiega: “Il tema della rigenerazione culturale lo abbiamo trovato molto coerente con l’idea di cultura che noi promuoviamo strettamente connessa all’idea di crescita e sviluppo, non solo economica. Abbiamo definito un bando in cui si offriva un contributo economico solo a luoghi che nascessero da processi di riattivazione e rigenerazione dal basso. In sostanza non siamo andati a sostenere i grandi enti, ma associazioni, gruppi di cittadini, imprese del territorio“. Il bando cosa finanzia? “Le prime edizioni erano finalizzate a far emergere progetti, quindi centri nati da poco, mentre le ultime edizioni sono completamente diverse. Il focus resta quello della riattivazione a base culturale, però l’obiettivo del nuovo bando è stato quello di sostenerne il consolidamento, il percorso di innovazione e crescita di centri culturali già attivi da almeno tre anni. Questo perché ci siamo resi conto che negli ultimi tre anni è nato moltissimo in Italia e iniziano ad esserci molti bandi rivolti alla nascita, ma non ci sono opportunità di sostegno a centri culturali già attivi. Per questo abbiamo deciso di elaborare un bando che sostenesse l’organizzazione, il centro culturale in sé. Il supporto che offriamo con questo bando favorisce il consolidamento di un percorso, perché questi spazi hanno una fragilità quasi endemica. Abbiamo cercato di capire se con un percorso di consulenza o mentoring potevamo offrire delle occasioni di svolta per questi posti”.
Complessivamente, alle sei edizioni del bando, hanno partecipato più di tre mila candidati da tutta Italia, con una leggera prevalenza del sud e delle isole con il 44 per cento dei progetti.
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Quali sono i luoghi del possibile
In Italia non esiste un censimento nazionale dei luoghi riattivabili e neanche di quelli riattivati. Ciascun ente ha la sua banca dati e già questo mostra una fragilità. Ma dall’esperienza di Unipolis è possibile vedere che i luoghi coinvolti nel progetto sono molto eterogenei. Si va dalla fabbrica dismessa, all’ex ufficio pubblico, alle serre abbandonate delle città, ma anche cascine, vecchie ferrovie. In Italia, ci sono milioni di edifici, scuole, aree industriali, caserme, cinema, stazioni, teatri, spazi di proprietà pubblica o privata, dimenticati, caduti in disuso, o mai entrati in funzione. Chi non ne ha notato almeno uno nella propria città? Spesso rappresentano dei buchi neri nello spazio urbano.
Secondo una ricerca della Fondazione Fitzcarraldo del 2019, il problema riguarda anche il patrimonio culturale sottoposto a tutela del Ministero della Cultura. Secondo la Carta del rischio del Patrimonio culturale (2012) esistono nel paese 110 mila immobili di valore culturale, di cui più del 60 per cento è in stato di abbandono o in stato di sottoutilizzo. Quello che è interessante è che le destinazioni iniziali sono le più diverse e anche i progetti che si attivano sono molto diversi tra di loro.
Caos – Centro per le Arti Opificio Siri
Tra quelli finanziati dal progetto culturability fa scuola Caos di Terni, Centro per le Arti Opificio Siri, nato dalla riconversione della vecchia fabbrica chimica Siri di proprietà del comune. Il centro nasce in un contesto territoriale che ha subito fortemente la crisi economica delle grandi fabbriche, la disoccupazione crescente e che ha subito gli effetti di un sisma. Oggi ospita esposizioni temporanee nazionali ed internazionali, laboratori didattici e creativi, il Museo d’arte Moderna e Contemporanea Aurelio De Felice, il Museo Archeologico Claudia Giontella, il Teatro Sergio Secci, spazi per residenze e produzioni artistiche, una biblioteca e una sala video, aule didattiche, il Fat Art Club.
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Alla ricerca della sostenibilità
Però una volta riattivati i luoghi hanno bisogno di essere sostenibili, anche dal punto di vista economico. “Sono spazi ibridi, dove sono presenti anche altre settori: moltissimo welfare, servizi, manifattura, agricoltura, bar. Questa è la caratteristica più evidente che li distingue dagli altri luoghi della cultura in Italia, dove il museo è solo museo, per fare un esempio. – spiega Franceschinelli – All’interno di questi luoghi c’è una fortissima commistione di attività. Si può andare a vedere una mostra e magari nel giardino c’è un orto urbano, o l’asilo per il co-working. L’ibridazione delle attività è un elemento caratterizzante così come l’ibridazione delle organizzazioni che tendono a sviluppare modelli di governance e di gestione ibridi dove le distinzioni classiche for profit e no profit vengono meno. Si rigenera così anche la forma classica dell’organizzazione culturale”.
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Oltre i bandi
Lo Stato dei Luoghi è la prima rete nazionale che riunisce sia i centri culturali italiani ibridi che quelli nati da progetti di rigenerazione urbana, sia organizzazioni e persone che a vario titolo nei campi della formazione o della consulenza agiscono per l’attivazione di spazi. Il percorso dell’organizzazione nasce nel 2017 per rispondere ad un problema concreto. Alcune installazioni del Farm Cultural Park, il parco culturale urbano di Favara (Agrigento) vengono considerate abusive, con la richiesta di sgombero. In quel momento cinque progettisti culturali si attivano per aiutare l’associazione a risolvere il problema dal punto di vista burocratico. Da qui un percorso che porta lo Stato dei Luoghi a diventare un corpo intermedio, con una novantina di soci, che sperimenta forme differenti per rappresentare il valore e le istanze dei centri culturali ibridi, anche nei confronti della pubblica amministrazione e le sue burocrazie.
La burocrazia, la necessità di sostenersi oltre i bandi per non essere destinati alla vita dei meteoriti, sembrano essere le sfide cruciali di questi luoghi rigenerati e, in verità, di qualunque attività culturale nel nostro Paese. Tuttavia, l’esperienza di culturability mette in in luce esperienze che stanno cambiando il volto e l’approccio culturale di alcuni spazi urbani, che una volta rappresentavano qualcosa di importante per i luoghi di insediamento. Ma come succede, soprattutto per le ex aree industriali, hanno perso con il tempo la propria vocazione, rischiando di lasciare sul territorio scheletri, spesso destinati al deterioramento del tempo. Solo a Roma possiamo parlare del Cinema Maestoso chiuso da anni a Via Appia Nuova, la fabbrica Ex Penicellina sulla via Tiburtina da anni simbolo di degrado e insicurezza, e ciascuno avrebbe da segnalare qualcosa. La rigenerazione urbana è proprio questo ridare una vocazione moderna a luoghi abbandonati, restituendo alla collettività spazi, attività e servizi. Iniziamo da qui, un piccolo viaggio nelle esperienze di rigenerazione urbana lungo tutto lo stivale, cercando di cogliere l’importanza dei luoghi tra passato, contemporaneo e futuro.
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