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giovedì, Dicembre 26, 2024

Coltivare senza terra grazie alla lana di pecora. Il progetto di Post Industriale Ruralità

Post Industriale Ruralità è un'associazione del bresciano che punta a creare esperienze partecipative per riscoprire quelle realtà del territorio che non sono più né rurali né industriali. Tra i suoi progetti, un orto verticale per coltivare senza terra grazie alla lana di pecora

Sara Dellabella
Sara Dellabella
Giornalista freelance. Attualmente collabora con Agi e scrive di politica ed economia per L'Espresso. In passato, è stata collaboratrice di Panorama.it e Il Fatto quotidiano. È autrice dell'ebook “L'altra faccia della Calabria, viaggio nelle navi dei veleni” (edizioni Quintadicopertina) che ha vinto il premio Piersanti Mattarella nel 2015; nel 2018 è co-autrice insieme a Romana Ranucci del saggio "Fake Republic, la satira politica ai tempi di Twitter" (edizione Ponte Sisto).

Post Industriale Ruralità è l’associazione fondata nel 2012, da Francesca Conchieri (artista e progettista culturale), Silvia Mondolo (storica dell’industria) e Daniela Poetini (guida museale in ambito tecnico-scientifico e atleta di MTB) con la collaborazione esterna di Mauro Cossu (artista-compositore e curatore) per la gestione delle ex fornaci di proprietà del comune di Scianica di Sellero, in provincia di Brescia.

La mission dell’associazione è quella di studiare i beni, capirne il legame con il territorio per poi studiare nuove soluzioni in grado di traghettare questi manufatti in un’epoca moderna, capace di trovare soluzioni volte a valorizzare le filiere rurali interrotte; promuovere nuove pratiche di fruizione paesaggistica; creare percorsi museali che siano anche e soprattutto esperienze partecipative per scoprire con occhi nuovi una realtà che non è più né rurale né industriale.

Oggi l’associazione, già mappata dal nostro Atlante dell’Economia Circolare, trova la sua sede nelle Tre Torri (3T), sorte nei primi anni Quaranta nel comune della Val Camonica. Le torri erano parte di un sito produttivo di carburo e calciocianamide che, attivo dal 1925, ha dismesso le proprie attività alla fine degli anni Sessanta, lasciando le fornaci come sua ultima testimonianza, per lungo tempo sono rimaste testimoni vuoti di un’epoca andata.

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Ex-fornace – Foto Enrico Abate

Riscoprire i luoghi delle comunità

“Ci sono stati offerti questi spazi – racconta una delle fondatrici Francesca Conchieri – che erano stati ristrutturati grazie ai fondi europei, ma che non avevano trovato una destinazione d’uso. Problematica che ritroviamo spesso alla base della rigenerazione urbana. Non è detto che ci sia una situazione di degrado degli spazi o delle architetture. Spesso questi spazi sono molto strani e presentano una serie di problematiche”.

E aggiunge: “Così l’associazione avvia un vero e proprio studio sui luoghi, ma anche su tutte le filiere interrotte a causa dell’industrializzazione. La consapevolezza di cosa abbiano rappresentato i luoghi per la comunità, perché siano sorti proprio lì. Spesso sono contraddittori anche per la collocazione paesaggistica. Capire questo è importante per gli investimenti identitari che la comunità ha fatto”.

Le attività dell’associazione

Così attraverso laboratori, escursioni sul territorio, incontri con le scuole si può tornare in contatto con quello che è andato perduto a causa dell’industrializzazione e con l’abbandono sempre più massiccio di alcune zone da parte della popolazione.

Le attività dell’associazione si svolgono quindi secondo quattro direttrici: escursionismo a piedi o in mountain-bike; ricerche storiche concentrate nel territorio della media Valcamonica e lungo il percorso della ferrovia Brescia/Edolo;  arte contemporanea – sperimentazioni visive sonore con percorsi di fruizione museale multisensoriali e sinestetici, progetti espositivi e installativi d’arte contemporanea legati al paesaggio per i quali è stato sviluppato il “Centro Studi esperienza Paesaggio” ed infine Nuova Ruralità con il progetto Coltivare in lana e l’orto terapia.

Leggi anche: Vea Carpi e il Comitato Bollait, le donne della lana in lotta contro lo spreco

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Particolare dell’orto verticale in lana di pecora – Foto Francesca Conchieri

Coltivare in lana

“Studiando la storia della prima industrializzazione ci siamo resi conto che un capitolo molto importante erano le filiere rurali interrotte con l’avvento delle produzioni industriali, perché le famiglie venivano impiegate nelle aziende e si occupavano sempre meno di pastorizia”, così Francesca ci traghetta in uno dei progetti più interessanti portati avanti da PIR: “Coltivare in lana“.

“Dal 2013 – spiega – abbiamo iniziato a stoccare i velli nei periodi di tosatura. La lana di pecora non ha più uno sbocco commerciale, in quanto grezza. Così una volta tosate le pecore, le lane per legge devono essere trattate come rifiuto speciale, con alti costi di smaltimento. Così da una decina d’anni, coltiviamo senza terra grazie alla lana di pecora”.

Ma questi prodotti vengono venduti? “Non commercializziamo per vari motivi, primo fra tutti perché i prodotti ottenuti non sono stati analizzati da un laboratorio, ma dimostrano che la lana può essere utilizzata per scopo agricolo. Pensate quanto può essere utile in montagna dove mancano i terreni coltivabili”.

Una soluzione ecologica nata per riciclare una risorsa caduta in disuso, la lana di pecora Bergamasca utile per i manufatti, ma non utilizzabile per i filati perché troppo grezza e piena di spine. Il progetto, investendo questo materiale in produzioni a km 0, risponde a un secondo problema: la voglia di autoproduzione alimentare e la carenza di terreni sani in città. Da oggi infatti si può coltivare in casa senza l’uso di sostrati derivati dal petrolio.

“A Brescia dove il terreno è fortemente inquinato abbiamo tanti orti coltivati così e un’installazione, un grande orto verticale. Quando lo abbiamo lanciato non pensavamo ad una produzione così copiosa, anche perché la lana coibentando le coltivazioni le ripara dalle gelate, così si può coltivare prima dei periodi di semina tradizionali”, racconta ancora.

Attualmente il progetto, in collaborazione con il Consiglio per la Ricerca in agricoltura  e l’analisi dell’economia agraria (CREA) del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali sta conducendo un’analisi a livello nazionale sulle problematiche legate all’uso della lana in agricoltura.

Leggi anche: Spazi rigenerati, un nuovo modo di ripensare le città

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