giovedì, Novembre 6, 2025

Batterie, con il nuovo Regolamento l’Unione Europea si prepara al futuro dell’elettrico

La proposta della Commissione europea sul nuovo Regolamento per le batterie può fare dell’Europa il leader nella produzione di batterie sostenibili. Bisogna però fare attenzione a garantire la competitività internazionale, e le norme su riciclo e due diligence avrebbero potuto essere più coraggiose

Tiziano Rugi
Tiziano Rugi
Giornalista, collaboratore di EconomiaCircolare.com, si è occupato per anni di cronaca locale per il quotidiano Il Tirreno Ha collaborato con La Repubblica, l’agenzia stampa Adnkronos e la rivista musicale Il Mucchio Selvaggio. Attualmente scrive per il blog minima&moralia, dove si occupa di recensioni di libri. Ha collaborato con la casa editrice il Saggiatore e con Round Robin editrice, per la quale ha scritto il libro "Bergamo anno zero"

Quando è stata approvata la Direttiva Batterie nel 2006 vivevamo in un altro mondo, e non è un azzardo affermarlo. La rivoluzione della mobilità elettrica era solo agli inizi, mentre oggi le case automobilistiche europee devono farsi trovare pronte per il 2035, anno in cui potranno essere messe in commercio nei Paesi dell’Unione europea esclusivamente automobili elettriche. Le tecnologie di accumulo hanno fatto passi da gigante, e non era certo così pervasiva nella società la presenza di device alimentati a batteria, smartphone su tutti.

È evidente quanto fosse necessario un aggiornamento normativo e per questo, con molta probabilità entro la fine del 2022, la Direttiva 2006/66/CE sulle batterie e gli accumulatori sarà sostituita da un nuovo Regolamento. Già questa è una prima importante novità: il Regolamento è immediatamente applicativo in tutti gli Stati membri e non deve essere attuato dai singoli Paesi, evitando così le ormai note procedure di infrazione e difformità normative. L’Unione europea, in sostanza, vuole in tempi rapidi una legislazione chiara, esaustiva e conforme su un settore considerato imprescindibile.

Il Regolamento norma qualsiasi tipo di batteria, ma ovviamente le batterie delle auto elettriche occupano un posto in primo piano. E non potrebbe essere altrimenti. Le esigenze della transizione energetica diventano sempre più impellenti e tra gli strumenti individuati dal Green Deal c’è l’elettrificazione dei trasporti. Con l’inevitabile esplosione nei prossimi anni della domanda di automobili elettriche. E quindi di batterie: una delle componenti più energivore e con la maggior impronta di carbonio nell’intero processo produttivo. 

Un mercato interno delle batterie per combattere le emissioni

Questo sostanzialmente vuol dire tre cose, riassume Veronica Aneris, direttrice di Transport&Environment Italia, ong specializzata nella decarbonizzazione dei trasporti: “All’aumentare del numero di batterie deve corrispondere una crescita del tasso di riciclo delle stesse, la produzione di batterie non deve contribuire oltre un certo livello alle emissioni di anidride carbonica e l’estrazione delle materie prime necessarie alla loro produzione deve rispettare la cosiddetta due diligence, ovvero precisi vincoli ambientali e sociali per le aziende nell’intera filiera delle batterie”.

Tutti aspetti presi in considerazione dalla proposta di Regolamento. La Commissione europea vuole individuare un’impronta di carbonio massima per tutte le batterie prodotte, vendute e utilizzate in Ue: in pratica le emissioni di CO2 associate alla costruzione di una batteria non deve superare un certo livello, che sarà stabilito da un successivo atto delegato. Oltre a tutelare l’ambiente, è un incentivo per lo sviluppo di un mercato interno delle batterie. Infatti, “le batterie attuali sono prodotte principalmente nel continente asiatico con un mix energetico ad alta intensità carbonica”, spiega Aneris: dopo l’entrata in vigore del Regolamento la maggior parte non saranno più a norma.

Per avere batterie sostenibili, l’Unione europea dovrà quindi in gran parte produrle: “E se le 38 Gigafactory annunciate o in cantiere rispetteranno i tempi, l’Europa, in base ai piani di produzione di veicoli elettrici anticipati dalle case automobilistiche, è già nelle condizioni di essere indipendente dal monopolio cinese nel 2023 e riuscire a soddisfare mano a mano il fabbisogno, che entro il 2035 è previsto essere intorno a 900 GWh”, aggiunge la direttrice di T&E Italia.

Del resto, sebbene per il momento l’Ue sia lontana dal ruolo di leader globale in questo settore, ci sono alcuni grandi produttori, come Saft del gruppo Total in Francia, gli stabilimenti di Exide in Germania, Basquevolt in Spagna, Northvolt in Svezia e i progetti Italvolt e Stellantis in Italia, oltre British Volt nel Regno Unito: insomma, “le batterie sostenibili sono un’occasione economica per l’Europa, con migliaia di nuovi posti di lavoro non solo nella produzione e assemblaggio, ma anche nella filiera del fine vita”, conclude Aneris.

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Economia circolare pilastro del Regolamento batterie

Il problema è che per produrre batterie servono materie prime: che l’Europa non ha a sufficienza. Addirittura, nel caso del litio, non c’è neppure una miniera nelle nazioni dell’Ue. Ecco perché il riciclo in un’ottica di economia circolare è un aspetto fondamentale da sostenere. Il Regolamento lo fa introducendo target di riciclo per i materiali critici delle batterie a fine vita con lo scopo di ridurre la necessità di estrarre altri materiali vergini e fare in modo che l’Europa disponga del suo capitale di materie prime riducendo l’import.

Su questo aspetto, tuttavia, secondo T&E, il Regolamento avrebbe potuto essere più “spregiudicato”. Spiega Aneris: “In base ai nostri studi sarebbe assolutamente fattibile riciclare il litio fino al 90%. Il Parlamento ha proposto un innalzamento dei target, ma finora il limite è rimasto quello iniziale indicato dalla Commissione: 70% entro la fine del 2025 e 80% entro la fine del 2030“.

Il Regolamento, inoltre, ha una evidente lacuna legislativa, come hanno sottolineato in una lettera diffusa l’11 ottobre 36 associazioni tra cui T&E, Amnesty International ed European Environmental Bureau. Non tutti i materiali impiegati per costruire le batterie, infatti, sono inclusi nei target di riciclo obbligatorio e nella due diligence. Mancano, ad esempio, bauxite, rame e ferro. “Eppure in futuro andremo incontro a rapidi mutamenti tecnologici ed è un atteggiamento miope lasciar fuori dal Regolamento questi materiali: già adesso le case automobilistiche stanno abbandonando nichel e cobalto e privilegiano le batterie litio-ferro-fosfato, che secondo le previsioni rappresenteranno il 40% delle batterie impiegate entro il 2030”, riassume la responsabile di T&E Italia.

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Le batterie sono una ricchezza, per questo bisogna migliorare la filiera del riciclo

Sul raggiungimento dei target di riciclo sia T&E sia Eurobat sono convinti che i produttori faranno di tutto per rispettarli, e non solo perché obbligatori per legge. Al di là delle regole, confida Aneris, il mercato andrà spontaneamente nella direzione del riciclo e riutilizzo perché “la batteria è un’evidente ricchezza”. “Sono le stesse case automobilistiche – aggiunge la direttrice di T&E Italia – a pensare a nuovi modelli di business per l’auto elettrica: ad esempio Renault vende il veicolo, ma la batteria è in affitto e a fine vita la casa automobilistica ne riprende possesso per riutilizzarla o riciclarla“.

Giorgio Corbetta, responsabile per gli Affari europei dell’associazione di produttori di batterie Eurobat, sottolinea inoltre come “l’industria lavori su target di riciclo simili da tempo. Basti pensare alle batterie al piombo, riciclate al 90%: pochi comparti fanno meglio”. Nonostante l’ottimismo per una filiera consolidata, non è però il caso di adagiarsi, precisa Aneris: “Bisogna attivarsi oggi perché il modo in cui è progettata la batteria determina come e cosa sarà possibile estrarre nel momento del fine vita, mentre sul recupero di tanti materiali rari è indispensabile migliorare”.

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E difendere la competitività internazionale della filiera

Riciclare è una risorsa, ma anche una spesa e chi produce batterie vorrebbe dall’Unione europea una valutazione attenta sui costi e sussidi nei casi in cui sia più conveniente smaltire le batterie, per mantenere la competitività a livello internazionale. Eurobat in un position paper chiede, tra l’altro, che non spetti per legge ai produttori gestire la fase di riconversione e riciclo delle batterie sostenendone i costi, ma lasciare l’iniziativa al mercato e agli operatori coinvolti nel fine vita, perché non tutte le batterie sono adatte a una seconda vita e generalizzare l’obbligo farebbe lievitare i costi.

“Per esempio, nel caso delle batterie litio-ferro-fosfato potrebbe essere più conveniente smaltirle a seconda delle condizioni del mercato locali e dei costi dell’energia, mentre quelle costruite con nichel, cadmio e cobalto hanno un grande valore, nonostante ci sia comunque un degrado nella qualità del metallo e ci voglia uno sforzo ogni volta superiore per arrivare alla stessa qualità, perché cresce la quantità di materiali terzi che si inseriscono nella materia prima riciclata ed è necessario eliminare successivamente”, precisa Corbetta.

Uno dei problemi chiave del settore, secondo il responsabile Affari europei di Eurobat, tuttavia, è il cosiddetto material leak. Il fatto, cioè che la massa nera, il prodotto a cui si arriva al termine del processo di riciclo delle batterie viene spesso rivenduto dall’Europa a compratori terzi, quasi sempre asiatici, che sono disposti a pagare di più. Quindi non solo l’Europa ha scarsità di materie prime, ma perde anche la materia riciclata. “È controproduttivo fissare target se poi questa ricchezza di materiali finisce in altri mercati”, nota Corbetta.

Resta, inoltre, una generalizzata preoccupazione per il livello di competitività internazionale tra batterie prodotte in Ue e importate dall’estero. “Gli Stati Uniti con l’Inflation reduction act sovvenzionano i veicoli elettrici costruiti con materie prime provenienti dagli Stati Uniti o dai partner commerciali Canada e Messico. Molte compagnie globali – continua Corbetta – guardano con più interesse al mercato statunitense perché più conveniente. Senza un level play field commerciale, il mercato europeo rischia di essere inondato da queste batterie sussidiate e perciò meno costose, con un effetto negativo sulla filiera europea”.

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Le materie prime: una questione strategica ed etica 

In ogni caso, individuare delle soglie minime di materiale riciclato come fa l’Unione europea è l’unica strada percorribile, non solo per la sostenibilità ambientale, ma anche economica. Altrimenti, la crescita a cui stiamo assistendo del prezzo delle materie prime non solo avrà effetti devastanti sull’economia europea, ma potrebbe persino decretare la morte sul nascere del nuovo mercato interno delle batterie.

C’è da dire che il Regolamento batterie ha un’ottica decennale, mentre la situazione attuale è contingente, rassicura Aneris: “Stiamo affrontando uno shock di mercato e uno squilibrio tra domanda e offerta, generato da una domanda in costante crescita e una diminuzione dell’offerta per via dell’inflazione post-pandemia e del caro energia legato alla situazione geopolitica: ma non si tratta di problemi strutturali destinati a durare per sempre, perché a livello geologico non c’è penuria di materie prime e lo sviluppo tecnologico si sta dirigendo verso l’impiego di materiali più facili da trovare”.

Le case automobilistiche e i produttori europei hanno già gli approvvigionamenti necessari per coprire la domanda europea fino al 2023, mentre la Commissione ha proposto il Critical raw material act per permettere all’Unione europea di aprire nuove miniere e accrescere la produzione interna, oltre a favorire partnership con nazioni ritenute affidabili, piuttosto che rimettersi a mercati spot: ad esempio Volkswagen e Mercedes-Benz hanno firmato un accordo di cooperazione per la fornitura di litio, nichel e cobalto con il Canada.

Aspetti delicati quelli dell’estrazione delle materie e prime e degli scambi commerciali internazionali e per questo regolati nel dettaglio dalla proposta della Commissione, per garantire il rispetto dei diritti umani e dell’ambiente. “Un passo in avanti”, scrivono le associazioni nella già citata lettera inviata alla Commissione, ma il Regolamento avrebbe potuto fare di più: innanzitutto considerando nella due diligence tutte le tipologie di batteria e non solo quelle delle automobili, includere tutti i materiali impiegati nella produzione e non solo alcuni e, infine, rendere le norme obbligatorie non solo per le grandi aziende, ma anche per le medio-piccole.

Difficile, però, che le cose cambino, sebbene un numero crescente di attori comincia a pensare che sia complicato terminare il negoziato entro la fine dell’anno. Intanto, l’11 ottobre nel trilogo in cui si sono incontrati membri del Parlamento e Commissione europea è stato trovato l’accordo sulla due diligence e i requisiti di sostenibilità.

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