A metà Ottocento in Italia, nelle zone rurali, anche nelle più remote, si diffonde uno strumento di conoscenza che segnerà lo sviluppo dell’agricoltura italiana, e che per un secolo accompagnerà la crescita di contadini e allevatori. Sono le Cattedre ambulanti di Agricoltura, un mezzo di istruzione nato in modo informale e orizzontale che permetterà di far incontrare direttamente nei campi agrari e tecnici con i coltivatori.
Come ricorda Gianpiero Fumi, docente di storia economica all’Università Cattolica di Roma, è il metodo delle cattedre ambulanti a essere significativo, ossia l’idea di muovere l’insegnamento. “Da sempre il mondo agricolo era lontano dalle conoscenze, era scarsamente dotato di scuole e tanto meno partecipava alle scuole agrarie che lentamente sorsero nel Paese. Le iscrizioni a queste ultime erano modeste, per cui ci si pose l’obiettivo di raggiungere il mondo agricolo anche nelle sue componenti più lontane, sbriciolando le conoscenze, parlando in dialetto, frequentando i mercati, promuovendo una divulgazione con strumenti nuovi e semplici, opuscoli di poche pagine distribuiti gratuitamente”, spiega Fumi in un’intervista per la Scuola ambulante di agricoltura sostenibile.
Questa diffusione capillare dei saperi nei campi è oggi al centro di molte politiche agricole, soprattutto in ambito europeo, per esempio nei Piani di Sviluppo Rurale e di conseguenza nelle programmazioni delle regioni italiane. È in questo quadro che si inserisce il desiderio di rigenerare l’esperienza delle cattedre ambulanti nella Montagna del latte, una delle prime green community del nostro Paese.
La Montagna del latte: le buone pratiche dell’appennino reggiano diventano una green community
Nata come esperienza territoriale dell’Unione Montana dell’appennino Reggiano, la Montagna del Latte è stata scelta insieme ad altre due zone, come area pilota per concretizzare l’idea delle green communities, ossia comunità ecologiche estese in cui mettere a terra i Princìpi legati alla sostenibilità e all’economia circolare. Ci troviamo all’interno di un’area Snai (Strategia Nazionale aree interne), in cui ci sono sette comuni riuniti nell’Unione montana locale: Carpineti, Casina, Castelnovo ne’ Monti, Toano, Ventasso, Vetto e Villa Minozzo. In questa zona nasce dunque il progetto della Montagna del Latte, una risposta al rischio spopolamento dei territori montani della zona.
“Il gruppo di lavoro della Snai dal 2018 a oggi ha approfondito due ambiti, quello della filiera del parmigiano reggiano con un investimento di 9 milioni per rafforzare le economie primarie, e quello dell’investimento sul capitale umano, con grande attenzione ai servizi di cittadinanza che hanno messo al centro il ruolo degli ospedali, dei presidi sanitari e delle scuole del territorio. A livello nazionale le buone pratiche della Montagna del Latte sono state individuate come un buon terreno dove sperimentare una delle prime green community. Il fatto di scegliere un’area Snai permetterà la nascita di una green community in continuità con le strategie precedenti, ma anche con differenze importanti nei campi d’intervento. Nell’esperienza della Snai la sostenibilità era un tema presente ma non centrale nelle azioni, adesso con la Montagna del latte, progetto pilota di una strategia nazionale come quella delle green communities, sarà possibile intervenire sulla salvaguardia del patrimonio agro-forestale e su nuovi modelli agricoli sostenibili”, spiega a Economiacircolare.com, Giampiero Lupatelli, economista territoriale, Vicepresidente del Consorzio Caire, e tra i coordinatori dell’esperienza della Montagna del Latte.
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Una green community nella pratica
Realizzare produzioni sostenibili negli allevamenti e nei campi della Montagna del Latte sarà dunque uno dei primi obiettivi della green community. Accademici, ricercatori ed esperti diffonderanno tecniche agronomiche innovative nelle aziende dell’Unione montana e nei territori che rientrano nella green community dell’appennino reggiano, proprio sul modello delle Cattedre ambulanti, discutendo con gli imprenditori agricoli del ruolo rigenerativo di alcune pratiche. Far diventare ordinarietà alcune tecniche è uno dei primi passi per rendere reale una green community, con l’orizzonte di “ampliare la platea di ‘agricoltori custodi del suolo’ che intendono vedere riconosciuto e legittimato entro una cornice istituzionale il proprio ruolo nella produzione di servizi agro-climatici-ambientali”, si legge nel progetto pilota della Montagna del Latte.
Nelle aziende reggiane saranno potenziate tecniche agronomiche capaci di contribuire al sequestro di carbonio e al mantenimento della biodiversità, come l’allungamento delle rotazioni, erbai differenti e la semina a sodo, quest’ultima al centro di tutte le teorie sulla rigenerazione dei suoli. Il programma operativo della green community, camminando sul percorso della Snai, dovrà anche sostenere e valorizzare il parmigiano reggiano di montagna, nei suoi caratteri distintivi rispetto al complesso al complesso della produzione DOP. E tra le peculiarità ci saranno appunto le pratiche conservative e rigenerative proposte dal gruppo di ricerca della Montagna del Latte.
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Il patrimonio forestale al centro del programma delle green communities
Con le green communities le foreste non saranno più lo sfondo d’azione delle strategie e delle politiche dedicate alle aree interne. In questa area pilota, infatti la gestione sostenibile del patrimonio forestale dell’Unione dei Comuni è un intervento essenziale per mettere in pratica la transizione ecologica in montagna.
“Il riconoscimento di un valore di mercato riconducibile ai servizi ecosistemici è un passo importante se vogliamo parlare di circolarità e di transizione ecologica. Con le green communities adesso ci sono una direzione e una possibilità concreta di riconoscere il ruolo delle foreste e dei comuni montani che quotidianamente monitorano e agiscono sulla crisi climatica”, è stato il commento di Marco Bussone di Uncem dopo la presentazione delle tre aree pilota a maggio del 2022 al Ministero per gli affari regionali e le Autonomie.
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L’idea delle green communities. Dalla legge sulla green economy al Pnrr
Quando si parla di Green communities il riferimento all’Uncem (Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani) è necessario, perché la concezione di comunità come cervello collettivo che pensa la conversione ecologica viene inserito per la prima volta su richiesta dell’Unione nazionali dei comuni e degli enti montani nel 2010, quando vengono avviate delle aree pilote nel Sud Italia con la spinta del Ministero dell’ambiente.
“Nel volume realizzato da Uncem nel 2014 Le sfide dei territori nella Green Economy, curato da Enrico Borghi, si introduceva da parte di Uncem il concetto di Green Community quale strumento di programmazione efficace e snello, che nasce dai Comuni insieme nelle Unioni montane e nelle Comunità montane. Lo abbiamo voluto, quel modello di intervento, ben prima che entrasse in Europa il concetto di Green new Deal. E di New Bauhaus. Le green communities sono entrate nella legge 221/2015, il Collegato ambientale alla legge di stabilità 2016, con una precisa ‘strategia’. Non un progetto o un programma. Una strategia per le aree montane che impegna gli enti territoriali, non i Comuni da soli. Non possono i Comuni – grandi o piccoli – lavorare da soli, pensare di bastare a sé stessi, restare nei confini. Devono essere aperti – come lo sono storicamente le Alpi e gli Appennini, luoghi del dialogo e dello scambio – e lavorare insieme per una Strategia duratura. Unendo i tasselli dello sviluppo, di investimenti fatti e previsti, di operazioni di crescita inclusiva”, ricorda Bussone.
I progetti finanziati dal Pnrr
Afferrare il concetto di green communities partendo dall’esperienza della Montagna del Latte è un esercizio utile per capire cosa sta accadendo e cosa accadrà nelle tre aree pilota individuate dal governo Draghi. Partire dalle pratiche e dalle azioni rende meno astratte queste comunità verdi espanse. Oltre all’Emilia Romagna, la Ministra Maria Stella Gelmini a maggio del 2022 ha diffuso gli altri due progetti pilota: le “Terre del Monviso” per il Piemonte e il Parco regionale Sirente Velino per l’Abruzzo. Per ciascuna aree saranno stanziati inizialmente 2 milioni di euro.
Nel complesso le green communities sono entrate nel Pnrr con un investimento di 135 milioni di euro, all’interno della missione Rivoluzione verde e transizione ecologica. L’attenzione al patrimonio agro-forestale e alla diffusione di pratiche agricole rigenerative – alla base del progetto della Montagna del Latte – sono alcuni degli ambiti d’azione del bando per far nascere altre green communities in Italia.
C’è molto spazio al tema della produzione di energia da biomasse, biometano e da piccoli impianti idroelettrici, ma anche spazio al biogas e al biometano. La gestione integrata delle risorse idriche, passando per il turismo lento e sostenibile, fino e la diffusione delle comunità energetiche. Con un bando pubblicato il 30 giugno e chiuso il 16 di agosto, le comunità montane, l’unione dei comuni e aggregazioni tra vari enti di tante zone d’Italia hanno candidato territori molto diversi tra loro a essere protagonisti della transizione ecologica delle aree rurali e delle economie primarie. Dei 179 progetti presentati sono stati selezionati 35 progetti in tutta Italia, almeno una green community per regione, fino a 4 nei casi di Sardegna e Piemonte.
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Tempi ristretti e mancanza di collaborazione
Sono molti gli elementi di innovatività contenuti nei tre progetti pilota, ma chi ha partecipato al bando ha dovuto fare i conti con i tempi molto stretti e con una scarsa programmazione che in alcuni casi non hanno permesso lo scambio di conoscenze.
“Nelle intenzioni e nelle ambizioni del Ministero le tre aree pilota avrebbero dovuto dare ai territori l’esempio su come procedere, ma a luglio 2022 non si conoscevano ancora i progetti. A luglio 2022 ci troviamo quindi con un bando aperto senza molte indicazioni dai progetti pilota. E il tempo per fare i progetti è ristretto. Potevano essere un punto di riferimento, ma non mi risulta ci siano stati momenti di scambio”. Il commento consegnato da Mario Caputo, programme manager e consulente di Eutalia durante un webinar per Maiella Verde, restituisce forse una delle caratteristiche che attraversa molti bandi del Pnrr: la mancanza di collaborazione. Tra task force, cabine di regia e avvisi pubblici non rispettosi dei tempi delle amministrazioni comunali, la ricaduta dei finanziamenti sulle green communities sembra contenere una difficoltà di accesso. Il rischio è quello di sfilacciare ciò che esiste, e lasciare indietro territori indispensabili per una transizione ecologica giusta e reale. E in questa selezione di tre eccellenze senza diffusione delle loro buone pratiche durante il bando non è di certo un aiuto alla coesione territoriale.
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