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sabato, Novembre 30, 2024

Riapre la Casa del Parco dell’Adamello per incontrare e sperimentare sostenibilità

Tra le montagne alpine a nord di Brescia da giugno è rinata l'ex colonia Ferrari. A gestire la nuova esperienza un gruppo di giovani. Si tratta di uno spazio ibrido che punta alla partecipazione della comunità e che non mira soltanto alla promozione ma abbraccia un modello circolare di gestione delle risorse

Alessandro Coltré
Alessandro Coltré
Giornalista pubblicista, si occupa principalmente di questioni ambientali in Italia, negli ultimi anni ha approfondito le emergenze del Lazio, come la situazione romana della gestione rifiuti e la bonifica della Valle del Sacco. Dal 2019 coordina lo Scaffale ambientalista, una biblioteca e centro di documentazione con base a Colleferro, in provincia di Roma. Nell'area metropolitana della Capitale, Alessandro ha lavorato a diversi progetti culturali che hanno avuto al centro la rivalutazione e la riconsiderazione dei piccoli Comuni e dei territori considerati di solito ai margini delle grandi città.

Ci sono posti che è possibile visitare soltanto con le memorie delle comunità. Capita a volte di doversi accontentare di osservare da fuori i luoghi che per anni hanno fatto incontrare gli abitanti di un paese o di una città. Biblioteche, scuole, teatri, cinema, ma anche ristoranti, bar, locali notturni e negozi condividono spesso un destino: portoni chiusi e lucchetti arrugginiti.

Anche gli abitanti di Saviore e di Cevo, due comuni montani della Val Saviore – vallata laterale della Valle Camonica – temevano la stessa fine per l’ex Colonia Ferrari, una struttura realizzata negli anni ’30 del Novecento e utilizzata come colonia di salute per le operaie dei calzifici bresciani dell’imprenditore Roberto Ferrari. Sorta a metà strada tra i due Comuni, questa casa di cure è stata utilizzata negli anni ’50 come colonia alpina dal consorzio antitubercolare di Brescia, poi l’edificio e i terreni intorno sono diventati di proprietà della comunità montana.

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L’Ex Colonia Ferrari riapre le sue porte come casa del Parco dell’Adamello

Siamo a 1100 metri sul livello del mare, tra Cevo e Saviore, ambasciatori del Parco dell’Adamello, nelle Alpi Retiche bresciane. I quattro piani dell’edificio voluto da Ferrari, in ricordo di sua moglie, hanno ospitato generazioni di lavoratrici e di lavoratori della Valle Camonica, sono stati garanzia di rifugio e di sosta per escursionisti, camminatori, sciatori, appassionati di montagna diretti verso le cime dell’Adamello. Poi negli anni ’90 l’ospitalità e le cure lasciano spazio alle cucine di un ristorante di pesce. Ma a un certo punto i fornelli si spengono, la crisi economica arriva anche in alta quota, e il silenzio sostituisce le voci dei clienti e dei ristoratori.

Fino a qualche mese fa, quando a giugno del 2022 l’ex Colonia Ferrari torna ad avere tutti i portoni spalancati. È tornato il ristorante? Si torna a mangiare pesce?  È quello che probabilmente si saranno chiesti i passanti sulla provinciale. “C’è stata tanta curiosità tra gli abitanti, molti di loro erano convinti che fosse tornato il ristorante. Così abbiamo iniziato a spiegare che da ora in poi le porte saranno aperte, che si potrà stare insieme, mangiare, bere. Non in un ristorante, ma nella casa del parco”. A distanza di qualche mese Daria Tiberto ricorda a Economiacircolare.com i giorni della riapertura dell’ex Colonia Ferrari. Spiegare come avrebbero aperto e non solo cosa, è stato il primo passo per introdurre le attività della Casa del Parco dell’Adamello.

Uno spazio rifunzionalizzato per educare alla cultura della sostenibilità

Daria Tiberto ha 28 anni, è brianzola, con una formazione in scienze sociali ed esperienze del terzo settore. È lei che da giugno gestisce la casa del Parco, insieme ad altri sei tra ragazze e ragazzi arrivati a Cevo da diverse parti d’Italia. Un gruppo giovane con studi diversi alle spalle che vivrà e lavorerà a Cevo per nove anni. Questa è la durata della convenzione tra la comunità montana e Avanzi Discover, la nuova società benefit costituita da Avanzi, realtà milanese che da 25 anni si occupa di sostenibilità. Dopo aver stilato un bando di gestione al quale potevano partecipare cooperative, associazioni e aziende, la comunità montana ha valutato le varie proposte, considerando praticabili e innovativi i punti di forza di Avanzi.

“Questo spazio è stato rifunzionalizzato e messo in condizione di essere altro. La ricezione e l’accoglienza sono due strumenti e due leve economiche, ma non sono il centro della nostra attività. Ora ci siamo inseriti all’interno del sistema degli ostelli regionali, ospitiamo chi arriva per un’escursione, chi visita questi territori. Siamo soprattutto un centro culturale, vogliamo sperimentare nuovi modelli di sostenibilità, attraverso percorsi formativi, incontri tra chi vive qui da sempre, chi studia le aree montane e chi lo scopre attraverso camminate ed escursioni”, racconta Daria Tiberto.

Al primo piano della casa del parco c’è una stanza dedicata alla formazione ambientale, con un percorso alla geomorfologia della Valle Camonica. Da quando la casa del Parco è tornata operativa questo piano ha ospitato ricercatori, attiviste e attivisti ambientali, guide alpine, associazioni, scuole. La comunità montana ha scelto il progetto di Avanzi per il modo in cui hanno immaginato l’utilizzo degli spazi: per aver puntato a vocazioni differenti, e non solo alla promozione territoriale. Ad agosto la casa del Parco ha ospitato quaranta attiviste e attivisti da tutta Italia con Acclimatarsi, un percorso di tre giorni curato da Fondazione Acra che ha fatto conoscere le pratiche rigenerative delle comunità montane.

Oltre ad accogliere i partecipanti, la Casa del Parco è stata l’occasione per scoprire il lavoro del servizio glaciologico lombardo, una rete di volontari che da 30 anni monitora sul campo lo stato dei ghiacciai della regione, diffonde ogni anno i chilometri quadrati di superficie di ghiaccio persa, il numero dei ghiacciai estinti e la superficie che ancora resta coperta. Dal Parco dell’Adamello capire il senso dei ghiacciai vuol dire concepire meglio le conseguenze dei cambiamenti climatici. Da qui parlare di riscaldamento globale assume una dimensione diversa, perché i segni sono percepibili e gli impatti dei cambiamenti climatici possono essere raccontati dagli abitanti e da chi lavora in montagna.

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Un’impresa di territorio al servizio delle comunità locali

“In questa prima estate passata alla Casa del Parco abbiamo iniziato a comporre una filiera locale sostenibile, intrecciando rapporti con aziende agricole che hanno scelto di lavorare in modo biologico, etico e meno impattante possibile. I nostri fornitori spesso vengono qui da noi a raccontare come lavorano, come allevano e cosa coltivano. A fine agosto abbiamo fatto una cena sociale con loro. È stato un momento di scambio importante, non solo per noi, anche per gli abitanti di Cevio e Saviore. Poi sono arrivati doni: un artigiano locale ci ha regalato un tagliere, abbiamo ricevuto segnalazioni sul territorio che cerchiamo di integrare con le nostre attività di monitoraggio, soprattutto sulla sentieristica da rinnovare o sui percorsi nel parco che vanno sistemati” spiega ancora Daria.

La giovane vuole indagare questo territorio, ha deciso di vivere qui per i prossimi nove anni, abitando uno spazio sociale che insieme ai suoi colleghi vuole tenere aperto e trasformabile dalle voci della comunità. La casa del Parco è uno spazio ibrido, dove circolano saperi e dove chi lo gestisce vuole l’intervento degli abitanti di Cevo e di Saviore. Nei prossimi mesi il gruppo ha deciso di confrontarsi anche sui servizi presenti nelle comunità: presidi sanitari, servizi scolastici, mense. Quando le guide alpine della zona hanno saputo della riapertura dell’Ex Colonia Ferrari hanno ricominciato a portare gruppi di persone a fare escursioni nel parco dell’Adamello, fermandosi poi alle attività culturali pensate dai nuovi gestori della casa del Parco.

“Sono stati mesi frenetici, che ci hanno assorbito molto, ma è stata anche un’estate di incontri preziosi in cui abbiamo conosciuto persone che da prospettive differenti si occupano di ecologia, di aree interne, di residenzialità. Ci sono stati momenti inaspettati, piccoli episodi però importanti, come l’arrivo di ragazze e ragazzi in motorino che si sono fermati alla casa del parco. Sono adolescenti del posto, nei prossimi mesi sarà importante capire come renderli protagonisti. In generale questo spazio deve essere un luogo praticato da chi qui ci vive e per chi decide di vivere a Cevo e Saviore, rispondendo ai loro bisogni e ai loro desideri”, continua Daria.

Gestire la casa del Parco dell’Adamello per nove anni non è un ritiro dal mondo, neanche un fermo momentaneo dalla contemporaneità. È l’esatto contrario: per Daria, Tiberto e per gli altri ragazzi stare qui è una forma di attivismo in un percorso collettivo che impegna ad ascoltare le comunità e a praticare un modello circolare di gestione delle risorse ambientali. La casa del parco è immersa in un paesaggio stupendo e rigenerante. Ma la Casa del Parco è soprattutto ecocompatibile e accessibile, anche economicamente. I prezzi del bar, del ristorante e dell’alloggio sono contenuti. È un elemento fondante della struttura, che in questo modo si allontana dall’esclusività, dal lusso o dal finto lusso di montagna, capace spesso di prendere le forme di resort costosissimi, di agriturismi bio vivibili soltanto da quel turismo borghese riflessivo che, come orizzonte, ha solo il proprio cammino e benessere in alta quota.

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Dalla consulenza alla sostenibilità per azioni

Con Avanzi discover, la società di consulenza milanese cambia in qualche modo rotta. Passa all’azione diretta, come nel parco dell’Adamello. Lo fa dopo la lezione del Covid, come spiega Giovanni Pizzocchero, coordinatore di Avanzi Discover.

“La pandemia guarda famelica al pieno, non al vuoto, ogni epidemia si trasmette attraverso la densità. È partita dal centro della pianura padana, territorio ad altissima concentrazione umana prima che produttiva, il cuore pulsante della logistica, della produzione, del capitalismo delle reti – riflette Pizzocchero – Ha aperto una lunga riflessione sul ruolo della città, delle aree interne, della montagna, di nuovi paradigmi del vivere, del lavorare, dell’abitare. La pandemia ha ripensato la vita e ha permesso di ridiscutere questioni fondanti su cui in molti si erano adagiati, di segnare un prima e un dopo. Mentre attraversava i corpi con il virus, la pandemia attraversava i luoghi e le comunità. Ha aperto un dialogo nuovo tra l’io e il noi, tra l’individuo e la collettività sbattendoci sotto il naso l’evidenza che la comunità è immunità. Così la pandemia ha rifondato il senso, il ruolo e il destino delle comunità, e in particolare di quelle più piccole e definite, che specificamente si trovano in media montagna. Tornare in montagna non significa solo abbandonare la città, significa anche abbandonare un certo tipo di capitalismo, con i suoi eccessi e le sue storture. Ed è qui, nella media montagna, nella bassa densità, che abbiamo scelto di concentrare la nostra operazione”.

Le parole di Pizzocchero trovano ragioni e pratiche in quell’ex colonia pensata per curare i mali del tempo. Oggi la casa del Parco cerca di generare cambiamento, insiema ad Avanzi discover, che dovrà garantire il suo principio: lavorare al fianco e a servizio delle comunità locali attraverso la gestione diretta di spazi. “Per aspirare insieme a loro a traiettorie di futuro. Non tanto per costruire opportunità, ma per rendere le comunità possibili”, spiega Pizzocchero.

Intanto a Cevo è caduta la prima neve, la Casa del Parco è quasi al completo, nella piccola chiesetta sconsacrata arriveranno artisti internazionali, autrici e autori importanti nel panorama della musica sperimentale, e poi artigiani e scrittori. “Stare qui nove anni non è solo una sfida. Vogliamo consegnare alla comunità questo spazio, per farlo vivere con noi e anche oltre il nostro gruppo. Stanno accadendo cose che non erano scontate, come tavoli di lavoro tematici, insieme ai comuni e alla comunità montana, dove è stato problematizzato l’arrivo di tante persone e della turistificazione”.

Daria è sempre lì, con un taccuino in mano, per appuntare le suggestioni e i consigli di chi soggiorna alla Casa del Parco e di chi vive lì intorno da sempre. Così quel sentimento di nostalgia iniziale per il ristorante che non c’è più ha lasciato campo a qualcosa di nuovo, di diverso e di inaspettato, dove le idee e i ragionamenti contano di più di qualsiasi recensione.

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