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sabato, Novembre 30, 2024

“Imballaggi? Prima di tutto ridurre”. Parliamo di ambiente, rifiuti e regole con Raffaella Giugni di Marevivo

Dai lavori per il trattato globale ONU sull’inquinamento da plastica alla proposta europea di regolamento sugli imballaggi, la responsabile relazioni istituzionali dell’associazione ambientalista ci illustra la posizione di Marevivo su alcune cruciali questioni ambientali

Daniele Di Stefano
Daniele Di Stefano
Giornalista ambientale, un passato nell’associazionismo e nella ricerca non profit, collabora con diverse testate

“In generale la prima cosa da fare, la cosa fondamentale, è ridurre la produzione della plastica monouso e quella dei rifiuti in plastica. Fondamentale per l’ambiente, per il mare, per noi”. Abbiamo raggiunto Raffaella Giugni, ambientalista e responsabile delle relazioni istituzionali dell’associazione Marevivo, a pochi giorni dalla pubblicazione della zero draft del trattato globale sulla plastica al quale stanno lavorando le nazioni Unite.

Dottoressa Giugni, il 4 settembre il programma per l’ambiente delle Nazioni Unite (UNEP) ha pubblicato la “bozza zero” di quello che sarà il testo del trattato globale giuridicamente vincolante sull’inquinamento da plastica. E che verrà discussa nella prossima tornata dei negoziati a Nairobi, in Kenya, il prossimo novembre. Marevivo che ne pensa?

La bozza zero è sicuramente un buon punto di partenza: si parla in maniera concreta di riduzione della produzione, di riuso, di riciclo ma il punto più importante da ottenere è che il trattato sia vincolante a livello globale. L’azione deve essere forte e congiunta per arginare il fenomeno della plastica in particolare quella monouso la cui produzione e consumo sono ormai fuori controllo tanto che l’ONU l’ha definita “una catastrofe in divenire”. Questo trattato dimostra la consapevolezza a livello globale della necessità di agire globalmente.

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Come giustamente ci ricorda, nella bozza vengono messi in campo, oltre al riciclo, anche il riutilizzo e la ricarica. Pensa sia importante il riutilizzo? Perché?

Qualsiasi sistema di riciclaggio, anche il più efficiente, non è in grado di trattare tutta la plastica che produciamo, specialmente quella monouso. Non ci sono dubbi sulla riduzione, e il riutilizzo è il secondo passo più importante. Dopo c’è il riciclo, quello fatto bene, quello virtuoso che impiega il materiale riciclato per gli stessi prodotti dai quali deriva: il pet riciclato delle bottiglie, ad esempio, per fare altre bottiglie.

Restando al ricicl: una legge californiana regolamenta l’uso del logo del riciclo (le freccette che si inseguono) e dell’affermazione “riciclabile” sugli imballaggi e sugli oggetti venduti nello Stato: in particolare fissa specifici tassi di raccolta (il 60% della popolazione) e riciclo (75% della raccolta) sotto i quale uno specifico prodotto non può fregiarsi del logo e dell’etichetta ‘riciclabile’. A noi sembra un aiuto alla trasparenza. Lei che ne dice?

Oggi c’è troppa confusione: il consumatore pensa che tutto sia riciclabile, poi invece la quota di quello che effettivamente viene riciclato in realtà è ben diversa, è molto minore. Non va bene per l’ambiente ed è frustrante per il consumatore questo. Per questo credo che tutte le misure che forniscono informazioni più chiare ai cittadini siano benvenute.

D’altra parte è vero che non possiamo essere bombardati di informazioni: il problema andrebbe gestito alla fonte, alcuni materiali andrebbero sostituiti con altri totalmente riciclabili ed effettivamente riciclati. È l’obiettivo, ad esempio, della proposta di regolamento sugli imballaggi di cui si discute al Parlamento europeo: proposta che il nostro governo ha subito bocciato, ma che invece è molto buona. La bozza, tra l’altro, pone l’attenzione a come i prodotti sono pensati all’origine, a come sono disegnati: quello della progettazione è uno dei grandi problemi da affrontare.

Insomma, il sistema va rivisto integralmente, partendo da quando i prodotti e gli imballaggi sono ideati fino a quando arrivano a fine vita.

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Ha citato la bozza di regolamento sugli imballaggi e ha ricordato la bocciatura da parte del governo (e del Parlamento) perché, nella sostanza, è percepito come una minaccia per il nostro sistema industriale del riciclo.

Ma il regolamento della Commissione favorisce il riciclo. Questo è chiarissimo leggendo la bozza. Tutti i sistemi che predilige e incoraggia rafforzano il riciclo. Il deposito su cauzione ad esempio.

Mi perdoni se la interrompo: siete favorevoli ai sistemi di deposito su cauzione per aumentare e migliorare il riciclo?

Certamente sì. Nei Paesi, e sono tantissimi, che hanno adottato sistemi di deposito su cauzione si raggiungono tassi di raccolta del 90%, e tassi di riciclo conseguenti. Parliamo del riciclo migliore, quello bottle-to-bottle ad esempio, in cui la materia prima ottenuta non perde valore col riciclo. Il governo sostiene che il regolamento predilige il riuso a favore del riciclo, ma non è vero: la Commissione incentiva il riciclo migliore.

Per questo noi ambientalisti siamo favorevoli alla bozza della Commissione, invece tutto il sistema produttivo nazionale è contrario. Se non riduciamo la produzione di rifiuti da imballaggio, afferma il regolamento, anche se abbiamo un ottimo sistema di riciclo non risolveremo il problema (e già lo vediamo oggi, altrimenti i nostri rifiuti non sarebbero dappertutto).

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Gli ottimi risultati nazionali nel riciclo sono frutto anche dell’adesione dei cittadini ad un modello e a comportamenti che solo 20 anni fa non esistevano. Ci siamo abituati, insomma. Ma gli italiani sono pronti ad abituarsi anche al deposito su cauzione e agli imballaggi riutilizzabili?

Credo di sì. E ce lo conferma il sondaggio effettuato con Ipsos per la nostra campagna #BastaVaschette. Credo che i cittadini siano più pronti di quanto si pensi.

Lo abbiamo visto ad esempio con l’aumento dell’utilizzo delle borracce: un’azione volontaria che ha preso piede ed è aumentata moltissimo negli ultimi anni. La persone sono pronte, perché capiscono che la plastica monouso è un problema per l’ambiente, per il mare e per noi.

Quanto alle alternative, come il riuso, il problema è quello che i cittadini trovano nei negozi, è quello che gli viene messo a disposizione: se l’industria non incentiva sistemi sostenibili, mettiamo il riuso appunto, l’italiano si adatta a quello che trova. Insomma, molto dipende dall’atteggiamento del governo e dell’industria nazionale.

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Ci racconti della campagna #BastaVaschette.

La campagna è nata in collaborazione con Zero Waste Italy per sensibilizzare i cittadini sulla riduzione dell’utilizzo delle vaschette per frutta e verdura (quelle impiegate per imballare prodotti interi). Sono imballaggi che non hanno tanto senso perché la frutta ha un suo involucro naturale e non serve proteggerla ulteriormente. Non è vero che questi contenitori riducono lo spreco alimentare, perché molte volte siamo costretti a comprare di più di quanto ci serve, perché è tutto già imballato: l’imballaggio he riduce lo spreco è un falso mito. E poi per questo tipo di imballaggi produciamo ogni anno 1,2 miliardi di vaschette, la maggior parte delle quali neanche riciclabili, con aumento considerevole di rifiuti.

In Spagne e Francia esiste già una normativa che limita l’utilizzo di queste vaschette. Lo stesso vorrebbe fare il regolamento europeo di cui abbiamo parlato. Abbiamo lanciato #BastaVaschette per questo: partendo da attività di sensibilizzazione verso consumatori vorremmo arrivare anche in Italia ad una legge che limiti l’uso di questi imballaggi.

E la campagna ha riscosso molto successo, evidentemente perché c’è la percezione dell’inutilità di questi oggetti e dei danni che producono. Allora abbiamo voluto capire meglio e abbiamo effettuato il sondaggio con Ipsos.

Cosa è emerso?

È emerso che quasi l’80% degli italiani comprerebbe sfuso. Ma molto spesso non lo trovano, perché nei supermercati abbiamo sempre più prodotti in vaschetta. Il sondaggio ci ha restituito un profilo degli italiani come persone pronte al cambiamento e niente affatto infastidite di non trovare più le vaschette al supermercato. C’è la percezione comune del problema e la comune disponibilità a fare qualcosa. Inoltre gli intervistati hanno chiesto che il governo e le istituzioni facciano di più per sensibilizzare i cittadini al rispetto dell’ambiente.

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