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sabato, Novembre 30, 2024

Sui biocarburanti le pressioni italiane sull’UE si fanno più intense

Al G20 in India l'Italia ha aderito, unico Paese europeo, all'Alleanza globale sui biocarburanti. Per la viceministra Gava “l’obiettivo della decarbonizzazione ha il dovere di sposare il dovere della tutela del nostro tessuto imprenditoriale e sociale”. Ma serve fare i conti con i mancati controlli sulle importazioni

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Redazione EconomiaCircolare.com

Se si vuole provare a capire come sarà l’Unione europea dei prossimi anni la partita dei biocarburanti è una di quelle che non si può perdere. Nonostante le resistenze e le attività di lobbying, infatti, l’era dei combustibili fossili appare avviata a un (lento?) tramonto. Lo ha dichiarato recentemente anche l’Agenzia internazionale dell’energia ma, in fondo, è la sensazione più diffusa tra le imprese e i governi. Ma cosa arriverà dopo? Quanto sarà lunga questa transizione? Quali sono le alternative preferibili? Sarà anche un’occasione per ridiscutere il modello economico della crescita infinita? Sono tutte domande alle quali è complicato dare una risposta univoca, e chi legge EconomiaCircolare.com sa che anche noi, nel nostro piccolo, abbiamo provato a rispondere a questi quesiti fondamentali.

Uno dei campi di battaglia più importanti è quello del trasporto, dove i combustibili fossili giocano ancora la parte del leone. La strada dell’elettrico è da tempo costruita e promette di diventare quella principale. Ma ce n’è un’altra che punta ad affiancargli, per decongestionare un po’ il traffico, ed è quella appunto dei biocarburanti – cioè i combustibili ottenuti da materie prime di origine agricola, animale o da oli usati (da qui la parola bio).

Se l’elettrico sarà l’autostrada, i biocarburanti potranno essere la statale? È quel che sostiene da tempo, al di fuori della metafora, l’Italia. Che negli ultimi tempi ha registrato alcuni innegabili passi in avanti all’interno delle istituzioni europee. Ecco quali.

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Le conseguenze europee dell’alleanza al G20 sui biocarburanti

Lo scorso 9 settembre, a margine del G20 che si è tenuto in India, è stata lanciata la Global Biofuel Alliance (GBA). A questa alleanza globale dedicata ai biocarburanti hanno aderito India, Brasile, Emirati Arabi, Argentina, Bangladesh, Italia e Stati Uniti d’America. Dall’elenco si nota immediatamente che l’unico Paese europeo che ne fa parte è proprio l’Italia. Come mai? Tranne la Germania, che punta in parte sugli e-fuels,gli altri grandi Stati membri dell’Unione europea, infatti, sembrano aver abbracciato in maniera più decisa la conversione dell’auto termica ad auto elettrica, anche in vista della scelta di vietare nuove produzioni di motori termici a partire dal 2035.

Il nostro Paese, invece, preferisce affiancare anche la scelta dei biocarburanti, che consentirebbe di tenere in vita le auto termiche, sostituendo alla tradizionale benzina i biocarburanti, specie quelli di seconda generazione. Guardando la composizione dei Paesi che aderiscono all’Alleanza globale per i biocarburanti (d’ora in poi con l’acronimo inglese GBA) l’altro dato che salta all’occhio è che si tratta in gran parte di Paesi produttori di bio-fuels: dagli Usa, che per primi hanno puntato sul settore e sono il maggior produttore a livello mondiale, all’India fino ad arrivare al Brasile e Bangladesh. Ma allo stesso tempo ci sono notevoli differenze tra uno Stato e l’altro, che riguardano l’approviggionamento delle materie prime necessarie.

In questo senso l’Italia gioca una partita a parte, perché si tratta dell’unico Paese produttore che non ha direttamente sul territorio le materie prime necessarie – dagli oli esausti all’olio di ricino – ma le deve acquistare dai mercati esteri. L’esempio più evidente è quello di Eni: il cane a sei zampe possiede in Italia due bioraffinerie (Porto Marghera e Venezia), con la terza (Livorno) in lavorazione, ma le materie prime arrivano dall’Africa, dalla Cina, dall’Indonesia e da altri Stati. La speranza principale del governo Meloni appare dunque un’altra: e cioè che strumenti come la GBA possano convincere indirettamente l’Unione europea ad adottare i biocarburanti non solo nel trasporto pesante (navi e aerei) ma anche nel trasporto privato.

“L’Alleanza – si legge nella nota del lancio della GBA – intende accelerare l’adozione globale dei biocarburanti facilitando i progressi tecnologici, intensificando l’utilizzo di biocarburanti sostenibili, definendo solidi standard e certificazioni attraverso la partecipazione di un ampio spettro di parti interessate. L’alleanza fungerà anche da deposito centrale di conoscenze e da hub di esperti. GBA mira a fungere da piattaforma catalitica, promuovendo la collaborazione globale per il progresso e l’adozione diffusa dei biocarburanti.

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L’Italia detta la linea all’Europa sui biocarburanti?

Per chi frequenta il sito del ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica è ormai abitudine constatare che su molti argomenti troverà due commenti: quello del ministro Fratin e quello della viceministra Gava. Avviene lo stesso anche coi biocarburanti. Per Fratin parla “se vogliamo una mobilità realisticamente pronta a traguardare gli obiettivi ambientali, dobbiamo prevedere un percorso ambizioso e pragmatico, che tenga conto dei principi di neutralità ambientale e di flessibilità nei tempi di attuazione delle misure”; per Gava “l’obiettivo della decarbonizzazione ha il dovere di sposare il dovere della tutela del nostro tessuto imprenditoriale e sociale”.

Una linea, quella italiana, che si può riassumere con l’espressione “neutralità tecnologica”, con la quale il governo Meloni sostiene i biocarburanti, l’eterno ritorno del nucleare, le industrie del riciclo (osteggiando il regolamento Ue sugli imballaggi). Sulla transizione dell’automotive un recente supporto alle tesi del governo è arrivato dal recente rapporto “Siccità, transizione auto, case green”, realizzato dall’Osservatorio delle Imprese dell’università La Sapienza di Roma. Il rapporto parte dal fatto che “i motori endotermici sono responsabili di un quarto delle emissioni globali di anidride carbonica, perché alimentati in prevalenza da combustibili fossili” e ne esamina le alternative, escludendo a priori la sola transizione all’elettrico ed esaminando invece le altre opzioni: idrogeno (purché prodotto da fonti rinnovabili), gli e-fuels e i biocarburanti, che vengono ritenuti “l’alternativa più interessante”, specie quelli di seconda generazione (in cui l’Italia e l’Eni sono tra i maggiori produttori al mondo).

Viene da chiedersi se tutte queste manovre riusciranno a convincere le istituzioni europee ad adottare i biocarburanti anche nel trasporto privato, fatto che al momento è escluso dalle votazioni per il cosiddetto pacchetto Fit for 55. Finora, infatti, l’Ue ha via via stabilito un uso maggiore dei biocarburanti esclusivamente nel trasporto pesante: è avvenuto anche con il voto del Parlamento europeo del 13 settembre scorso, con il quale le eurodeputate e gli eurodeputati hanno approvato una nuova legge per aumentare l’adozione di carburanti sostenibili, come i biocarburanti avanzati o l’idrogeno, nel settore dell’aviazione.

Più precisamente è stato votato l’obbligo per “gli aeroporti e i fornitori di carburante dell’UE a garantire che, a partire dal 2025, almeno il 2% dei carburanti per l’aviazione sarà verde, con una percentuale in aumento ogni cinque anni” fino a raggiungere l’obiettivo del 70% nel 2050. Una scelta importante, quella del Parlamento Eu, che però non sembra bastare al governo Meloni. Ad accomunare, però, la posizione europea e quella italiana è il mancato controllo sulla filiera dei biocarburanti.

Leggi anche: Il report di T&E e Oxfam denuncia il greenwashing sui biocarburanti. Ma l’Italia continua a puntarci

La necessità di una banca dati sui biocarburanti

L’allarme è stato lanciato a più riprese in questi anni dalle associazioni ambientaliste: che siano di prima o di seconda generazione, i biocarburanti prestano il fianco al greenwashing. Ma c’è di più. Come riporta il sito Euractiv, in un articolo che è intitolato in modo netto “i sistemi di certificazione Ue non riescono a prevedere le frodi nel mercato dei biocarburanti”, il settore su cui punta l’Italia dovrebbe rivedere le proprie norme e i propri strumenti di controllo.

“L’accusa – si legge nel pezzo – fa seguito all’annuncio di un’indagine da parte della Commissione europea su presunte frodi doganali, in cui il biodiesel prodotto in Indonesia, Paese soggetto a dazi contro le sovvenzioni pubbliche, sarebbe stato fatto passare attraverso la Cina e il Regno Unito per evitare le tasse sull’importazione”. Il problema è che i controlli europei si limitano a indicare una serie di parametri ambientali che dovranno poi essere le stesse aziende ad autocertificare. Il timore delle ong ambientaliste è che nazioni come Indonesia e Cina stiano facendo passare l’olio di palma, vietato nell’Ue, come olio di frittura esausto, con l’ulteriore beffa che questo viene conteggiato due volte rispetto agli obiettivi europea di energia rinnovabile, così come disciplinato dalla direttiva RED III che dà spazio sia ai biofuels che all’idrogeno.

“Il recente afflusso di biocarburanti a basso costo dall’estero ha gravemente sconvolto il mercato dell’UE, costringendo i governi nazionali a prenderne atto. A seguito delle pressioni dell’industria nazionale – si legge ancora nel pezzo di Euractiv – a giugno il governo tedesco ha chiesto alla Commissione europea di verificare se le importazioni di biocarburanti originarie della Cina soddisfassero gli standard di sostenibilità dell’UE. Le critiche di lunga data sull’efficacia dei sistemi di certificazione dei biocarburanti hanno portato i funzionari dell’UE a proporre il “Database dell’Unione per i biocarburanti”, una presunta soluzione alle frodi che consentirebbe di monitorare i biocarburanti lungo la catena di approvvigionamento.Tuttavia, il database è stato afflitto da ritardi e deve ancora essere pienamente operativo”.

Leggi anche: T&E: “I biocarburanti replicano i problemi dei carburanti fossili”

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