*La proposta di Regolamento su imballaggi e rifiuti di imballaggio (PPWR) pubblicata dalla Commissione Europea nel Novembre 2022 ha suscitato, fin dall’inizio, un numero di reazioni senza precedenti. Le nuove regole, volte a rafforzare la prevenzione il riuso e il riciclo degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio, si inseriscono in quadro ben più ampio, che coinvolge tutti i settori economici, nessuno escluso, al fine di ricondurre la pressione sui sistemi naturali esercitata dai modelli prevalenti di produzione e consumo all’interno di quello che la comunità scientifica internazionale definisce lo “spazio operativo sicuro” al di fuori del quale vi è il rischio di innescare cambiamenti irreversibili nella stabilità della biosfera.
“Pensare globalmente, agire localmente”, il vecchio slogan che viene utilizzato per evocare l’Agenda 21, il programma di azione scaturito dalla Conferenza sull’ambiente e lo sviluppo delle Nazioni Unite di Rio de Janeiro nel lontano 1992, risulta oggi, a 30 anni di distanza, ancora più cogente. L’evidente fallimento del percorso che avrebbe dovuto “ricondurre lo sviluppo sui binari della sostenibilità”, l’inadeguatezza delle azioni messe in campo per traguardare al 2030 i “nuovi” obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite e lo stato di salute della biosfera fotografato dal recente studio dal titolo evocativo “Earth beyond six of nine planetary boundaries”, impongono una riflessione profonda sulla portata e sui tempi del cambiamento richiesto e sulle conseguenze sociali, ambientali ed economiche di una risposta non commisurata all’entità dei problemi che, volenti o nolenti, siamo chiamati ad affrontare.
A livello Europeo, la traiettoria attuale appare ancora incompatibile con la dimensione e i tempi del cambiamento richiesto. Le conseguenze sono già ampiamente visibili anche nel nostro paese, sia sul piano ambientale/climatico, sia su quello economico, in particolare sulle filiere di approvvigionamento, mostrando l’estrema vulnerabilità dell’attuale assetto caratterizzato, a dispetto dei numeri apparentemente rassicuranti sui tassi nazionali di raccolta differenziata ed avvio a riciclo, da una profonda dipendenza dell’economia italiana dall’approvvigionamento di materie prime ed energia dall’estero. Nonostante il tasso di circolarità dei materiali in Italia nel 2021 (18,4%) resti più alto della media UE (11,7%) e al quarto posto in Europa dopo Olanda, Belgio e Francia, oltre l’80% del fabbisogno di materie prime del sistema produttivo italiano è rappresentato da materie prime vergini. Il riciclo, da solo, evidentemente non basta.
Secondo la Commissione europea, il settore degli imballaggi è uno dei principali utilizzatori di materie prime: il 40% di tutte le materie plastiche e il 50% della carta utilizzata in Europa viene impiegato proprio per la fabbricazione di imballaggi. Contrariamente agli obiettivi (aspirazionali e non vincolanti) di prevenzione dei rifiuti storicamente presenti nel quadro di regolazione europeo, la produzione di imballaggi usa e getta (e dei relativi rifiuti) è aumentata negli anni, ed è aumentata ad un tasso superiore alla crescita economica, contribuendo alla crescita delle emissioni di CO2 e di altre sostanze, allo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali, alla perdita di biodiversità e all’inquinamento (La produzione totale di rifiuti di imballaggio nell’UE è aumentata da 66 milioni di tonnellate nel 2009 a 78,5 milioni di tonnellate nel 2019 (una crescita del 19%, superiore a quella del Reddito nazionale lordo – RNL. Si prevede inoltre che il totale dei rifiuti di imballaggio generati in Europa aumenterà a 92 milioni di tonnellate nel 2030 e a 107 milioni di tonnellate nel 2040). L’Italia non fa eccezione: dal 1998 al 2022 la quantità in peso degli imballaggi immessi al consumo nel nostro paese è cresciuta del 35%, passando da 10,7 a 14,5 milioni di tonnellate. I dati Eurostat e le analisi sul mercato del packaging evidenziano inoltre un trend negativo in materia di “design for recycling”, ovvero un uso diffuso e crescente di caratteristiche di progettazione che ostacolano i processi di riciclo.
Appare evidente, come sottolineato dalla Commissione nelle premesse alla bozza di Regolamento (PPWR), che il quadro normativo attuale delineato dalla Direttiva 94/62 caratterizzato dalla presenza di target vincolanti per il solo riciclo, non è stato in grado di invertire la tendenza all’aumento della quantità di materiali ed energia in ingresso al metabolismo economico della filiera del packaging. In sintesi, l’obiettivo principale delle politiche ambientali europee, ovvero il disaccoppiamento assoluto della crescita economica dal consumo di risorse naturali e dagli impatti ambientali non si è realizzato e, certamente, non nella misura e nei tempi necessari.
Le motivazioni di quella che viene percepita in Italia come una mancanza di considerazione, da parte della Commissione, delle performance di riciclo raggiunte nel nostro paese, sono rinvenibili, pertanto, nel cambio di approccio della regolazione Europea in materia di gestione dei rifiuti: un cambio di approccio che, progressivamente, tende a spostare o meglio ad allargare l’attenzione dalla gestione dei rifiuti (a valle dei modelli di produzione e consumo) alla gestione delle risorse e alla tutela e ripristino degli ecosistemi. L’obiettivo principale della proposta di regolamento della commissione non è più, soltanto, quello di garantire che i rifiuti prodotti siano raccolti e avviati, almeno in parte, a riciclo, ma quella di ricondurre la pressione complessiva sui sistemi naturali esercitata dalla produzione e dal consumo di beni a livello europeo, all’interno dello “spazio operativo sicuro” delineato dalla comunità scientifica internazionale. Nessun paese europeo, Italia inclusa, può chiamarsi fuori da questo obiettivo, che richiede una riduzione rapida e consistente del consumo di materie prime ed energia, delle emissioni di gas serra, degli impatti sulla biodiversità e sulla salute degli ecosistemi che il consumo porta con sé, dall’estrazione delle materie prime, fino alla gestione dei rifiuti a fine vita. Rispetto al passato, la proposta di Regolamento porta con se i semi di un cambio di paradigma nella regolazione della gestione dei rifiuti, una metamorfosi, evocata dal Green Deal Europeo e dall’Ottavo programma di azione ambientale della UE, che guarda con grande preoccupazione alla strutturale dipendenza dell’Europa dalle importazioni di materie prime ed energia dall’estero, alla instabilità della situazione geopolitica internazionale e ai segnali di cedimento delle colonne portanti su cui poggia la stabilità della biosfera.
Nel seguito, alla luce delle contrapposizioni emerse in questi mesi alle misure e agli obiettivi di prevenzione e riuso presenti nella proposta di regolamento della Commissione, proverò ad entrare nel merito di alcune delle questioni aperte, rispondendo alla domanda: perché è importante e assolutamente necessario un quadro di regolazione europeo solido che rafforzi, oltre al riciclo, anche prevenzione e riuso?
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1.Perché i modelli del riuso, se ben progettati, presentano benefici ambientali di gran lunga superiori a quelli basati sull’usa e getta
Studi indipendenti, tra i quali quelli del programma ambientale delle nazioni unite (UNEP), EUNOMIA, Zero Waste Europe (ZWE), CITEO nonché quelli raccolti nel Report della campagna rEUse evidenziano i benefici ambientali dei modelli del riuso nei diversi campi di applicazione e forniscono gli elementi necessari per identificare e comprendere l’importanza dei principali elementi che caratterizzano un sistema del riuso efficiente sotto il profilo dell’uso delle risorse. Per contro, gli studi a supporto dell’usa e getta, commissionati rispettivamente da EPPA (European Paper Packaging Alliance) e McDonald’s, utilizzati dal nostro Paese in sede europea per screditare il riuso e chiedere lo stralcio dalla proposta di regolamento sugli imballaggi e i rifiuti da imballaggio (PPWR) dei relativi target, si sono rivelati, cosa già evidente per gli addetti ai lavori, totalmente inaffidabili, poiché affetti da profonde carenze metodologiche, e da una modellazione degli scenari sfacciatamente favorevole all’usa e getta e penalizzante per il riuso, come analizzato nel dettaglio nel recente Rapporto EUNOMIA dal titolo “Unveiling the Complexities: Exploring LCAs of Reusable Packaging in the Take-Away Sector”.
Non è un caso che 58 ricercatori/ricercatrici attivi nel campo dell’LCA (Life Cycle Assessment), provenienti da diversi paesi, abbiano inoltrato una lettera aperta rivolta ai policy makers europei per esprimere le loro preoccupazioni riguardo agli studi finanziati dall’industria che vengono utilizzati per influenzare le scelte sul Regolamento sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio. Preoccupazioni analoghe sono state espresse anche da Pascal Canfin, presidente della Commissione Ambiente del Parlamento Europeo.
Ad ogni modo, preso atto delle obiezioni avanzate dall’Italia e da parte del mondo industriale che lamentano una “posizione ideologica dell’Europa sul riuso, non sostenuta da evidenze scientifiche” il JRC – il braccio scientifico della Commissione Europea, che ha il compito di fornire prove indipendenti a sostegno dello sviluppo delle politiche dell’UE – ha avviato nel maggio 2023 un nuovo studio, tutt’ora in corso, i cui risultati preliminari, presentati dal JRC a settembre 2023, confermano, per tutti gli scenari considerati, che le opzioni basate sul riutilizzo, presentano impatti ambientali complessivamente inferiori rispetto alle diverse alternative monouso, in particolare in relazione alle emissioni di gas serra al consumo di acqua. Ovviamente, il JRC, come già il Report di EUNOMIA e la lettera dei ricercatori europei, non sottovaluta gli elementi che influenzano le prestazioni ambientali dei modelli del riuso: è evidente che il tasso di restituzione, che influenza il numero di volte che un imballaggio viene riutilizzato all’interno del sistema, è di centrale importanza, ed è altrettanto chiaro che l’efficienza dei sistemi di lavaggio, il tipo e il mix di energia utilizzata, le distanze di trasporto, il peso dell’imballaggio e il comportamento degli utenti possono a loro volta essere ottimizzati/guidati per ridurre al minimo i consumi di materiali, acqua ed energia necessari per il funzionamento del sistema.
2.Perché “plastic-free” non fa rima con sostenibilità
Carta e bioplastica compostabile sono spesso presentate come alternative green al monouso in plastica tradizionale. Ma nessun materiale è intrinsecamente sostenibile. Lo studio “Disposable paper-based food packaging: the false solution to the packaging waste crisis” elaborato da Profundo e commissionato da Rethink Plastic Alliance, Zero Waste Europe, European Environmental Bureau, Fern e Environmental Paper Network, evidenzia, tra le altre cose, che il Paese che fornisce la maggior quantità di carta e polpa di cellulosa all’UE è il Brasile, che ne fornisce più dei maggiori produttori europei – Svezia e Finlandia (UN Comtrade, 2023, “EU pulp imports (including intra-European trade)”. Negli ultimi due decenni il Brasile ha triplicato la sua produzione di cellulosa, che ora copre un’area di 7,2 milioni di ettari (il doppio della superficie del Belgio). Le piantagioni di eucalipto e pino in Brasile stanno aggravando la scarsità d’acqua, gli incendi boschivi e la perdita di biodiversità (Environmental Paper Network, 2022, Scorching the earth. Pulp and paper expansion in Três Lagoas, Brazil. Summary Report). In Europa, le foreste finlandesi sono diventate un emettitore netto di anidride carbonica e il 76% degli habitat forestali finlandesi è classificato come minacciato (Greenpeace, 2022, Products of Nordic forest destruction end up on EU supermarket shelves). La capacità delle foreste svedesi di catturare CO2 si è ridotta di 5 milioni di tonnellate a causa dell’eccessivo sfruttamento. A dispetto del sistema di “Due Diligence” europeo introdotto nel 2013 dal Regolamento EUTR (EU Timber Regulation), e recentemente sostituito dal nuovo regolamento sui prodotti “deforestation-free”, il consumo di polpa di cellulosa europeo continua ad esercitare una pressione insostenibile sui sistemi naturali contribuendo a spingere l’umanità al di fuori dei limiti ecosistemici.
Nel merito della gestione dei rifiuti generati dal consumo di tali prodotti, inoltre, nonostante gli elevati tassi di intercettazione degli imballaggi in carta e cartone in Italia rispetto alla media europea, i tassi di intercettazione dei contenitori monouso in polpa di cellulosa utilizzati per la somministrazione di alimenti e bevande sono molto bassi, come l’esperienza suggerisce, in assenza di dati specifici relativi al settore. Sia la contaminazione da alimenti, normalmente presente su tali tipologie di prodotti, sia il basso tasso di intercettazione, fanno sì che il destino prevalente di tali tipologie di prodotti sia l’incenerimento o la discarica, con evidenti e ulteriori conseguenze sia sul piano ambientale, sia sui costi sostenuti dai comuni per i servizi di igiene urbana.
Quanto alle alternative monouso in bioplastica compostabile, la Commissione Europea nell’”EU policy framework on biobased, biodegradable and compostable plastics” sottolinea che tali materiali non sono sostenibili a prescindere, ma “vi sono prove scientifiche crescenti e consapevolezza che una serie di condizioni devono essere soddisfatte per garantire che la produzione e l’uso di queste materie plastiche si traducono in esiti ambientali complessivamente positivi e non si aggravano problemi di inquinamento da plastica, cambiamenti climatici e perdita di biodiversità”. Lo studio dell’Hamburg Institute of International Economics dal titolo “Innovative feedstocks in biodegradable bio-based plastics: a literature review” ha evidenziato ad esempio come per la maggior parte degli studi di letteratura sull’argomento, la produzione di plastiche “bio-based” (incluse quelle compostabili) da “first generation feedstocks”, ovvero da coltivazioni dedicate come il mais e la canna da zucchero utilizzate per la produzione della maggior parte dei prodotti monouso compostabili in commercio, presenta impatti ambientali (incluso il contributo ai cambiamenti climatici), superiori ai rispettivi prodotti in plastica da fonte fossile, prevalentemente a causa dei consumi di energia, fertilizzanti e delle emissioni legate alla produzione agricola.
“La maggior parte degli studi LCA che analizzano le materie prime di prima generazione eseguono un LCA comparativo e confrontano gli impatti ambientali delle plastiche a base biologica con quelli delle plastiche a base fossile. Questi studi affermano prevalentemente che le plastiche biobased di prima generazione sono addirittura inferiori alle loro controparti fossili a causa dell’agricoltura intensiva e delle influenze ambientali associate. L’uso di pesticidi e fertilizzanti durante la coltivazione della materia prima è spesso identificato come la principale causa di danni alla salute umana e all’ambiente”.
Si aggiunga che, tali prodotti, spesso confusi dagli utenti con gli analoghi prodotti in plastica tradizionale e conferiti erroneamente nella raccolta differenziata degli imballaggi in plastica, contribuiscono al peggioramento della qualità della raccolta differenziata degli imballaggi in plastica e determinano oneri aggiuntivi per i sistemi di gestione dei rifiuti urbani, e per l’ambiente.
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3.Perché prevenzione e riuso sono essenziali per raggiungere gli obiettivi europei di sostenibilità
L‘Europa si è data, lo sentiamo ripetere spesso, obiettivi ambientali molto ambiziosi, almeno se confrontati con quelli di altri paesi/regioni del Mondo. Nel quadro attuale – segnato dal rischio di un collasso irreversibile del sistema climatico, dal sovrasfruttamento delle risorse in tutti i principali comparti ambientali, dalla vertiginosa perdita della biodiversità, dall’accelerazione della competizione internazionale per l’accesso alle risorse naturali e dall’instabilità geopolitica che ne deriva – quali sono questi obiettivi? L’obiettivo principale da raggiungere, sul piano ambientale, non può essere che quello di ricondurre la pressione sui sistemi naturali esercitata dalla produzione e dal consumo di beni e servizi all’interno di quei limiti fisici che la comunità scientifica internazionale riconosce come il perimetro dello “spazio operativo sicuro” all’interno del quale possiamo vivere e prosperare. Per declinare tale obiettivo all’interno della regolazione europea, sarebbe necessario (e a mio avviso auspicabile) introdurre obiettivi vincolanti per ridurre l’impronta dei consumi (material footprint) dell’UE] e dei singoli paesi membri (Italia inclusa), da affiancare agli attuali obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra. In questo contesto, la filiera degli imballaggi dovrebbe essere chiamata a ridurre il consumo di risorse naturali (energetiche e non) e le emissioni di sua competenza, abilitando quel principio di neutralità tecnologica che oggi viene evocato per liberarsi dai target di riuso.
Considerata la distanza abissale che ci separa dalla sostenibilità, risulta evidente che il riciclaggio, da solo, non sarebbe neanche lontanamente sufficiente a ridurre l’impronta di carbonio e di materiali dell’Europa (e dell’Italia) alla velocità e alla scala necessarie per raggiungere gli obiettivi climatici e ambientali.
Dopo anni in cui prevenzione e riuso sono rimasti meri obiettivi “aspirazionali”, senza obblighi di sorta, né per gli Stati Membri, né per le imprese, non è più rimandabile il passaggio da un approccio basato sulla sola gestione dei rifiuti a valle, ad un approccio integrato basato sull’azione sinergica di tre strategie: eliminazione, riuso e riciclo, ognuna con i suoi specifici target e le sue regole. Ed è proprio questo l’approccio proposto dalla Commissione con il PPWR.
4.Perché prevenzione e riuso sono da sempre al vertice della gerarchia europea sui rifiuti
Chi, nei decenni trascorsi, ha seguito l’evoluzione delle politiche ambientali europee, sa bene che prevenzione e riuso sono sempre stati al vertice delle politiche e delle strategie europee legate alla gestione dei rifiuti e all’uso efficiente delle risorse. Il problema è proprio questo: nonostante tali obiettivi siano storicamente presenti nelle politiche europee, e al vertice delle politiche settoriali in materia di gestione dei rifiuti, l’assenza di obiettivi vincolanti e di strumenti di regolazione volti a favorirne il conseguimento da parte di Stati Membri e imprese, ha determinato un progressivo aumento della produzione di rifiuti di imballaggio e, con essa, degli impatti ambientali correlati (consumo di materie prime vergini, emissioni di gas serra, perdita di biodiversità, littering etc…). Per non rimanere nel vago, si richiamano, in particolare, i seguenti riferimenti normativi:
- L’art 3, comma 1 della Direttiva del Consiglio 75/442/CEE del 15 Luglio 1975 relativa ai rifiuti chiedeva già agli Stati membri di adottare “misure appropriate per promuovere, in primo luogo, la prevenzione o la riduzione della produzione e della nocività dei rifiuti“.
- L’art. 4 della Direttiva 98/2008 sui rifiuti (Direttiva quadro sui rifiuti) ha introdotto la “Gerarchia europea dei rifiuti”, dove la prevenzione dei rifiuti a monte (ovvero la riduzione della produzione dei rifiuti) è al vertice delle priorità. Il riutilizzo, in quanto misura che consente di allungare la vita utile di un prodotto, si colloca a pieno titolo tra le misure di prevenzione dei rifiuti.
- la Direttiva 852/2018 (cfr. Considerando 4) sottolinea che “la prevenzione dei rifiuti è il modo più efficace per incrementare l’efficienza delle risorse e ridurre l’impatto dei rifiuti sull’ambiente” e richiama l’importanza che “gli Stati membri adottino misure adeguate per incoraggiare l’aumento della percentuale di imballaggi riutilizzabili immessi sul mercato e il riutilizzo degli imballaggi”;
- il nuovo art. 1 della Direttiva imballaggi (Dir. 94/62) come modificato dalla Direttiva 852/2018 chiarisce che le misure in essa contenute sono “intese, in via prioritaria, a prevenire la produzione di rifiuti di imballaggio, a cui si affiancano, come ulteriori principi fondamentali, il riutilizzo degli imballaggi, il riciclaggio e altre forme di recupero dei rifiuti di imballaggio […]“;
- il nuovo art. 5 (Riutilizzo) della Direttiva 94/62 (come modificato dalla direttiva 852/2018), al comma 1, dispone che gli Stati membri, conformemente alla gerarchia dei rifiuti, adottino “misure volte a incoraggiare l’aumento della percentuale di imballaggi riutilizzabili immessi sul mercato, nonché dei sistemi per il riutilizzo degli imballaggi in modo ecologicamente corretto e nel rispetto del trattato, senza compromettere l’igiene degli alimenti né la sicurezza dei consumatori.” Il medesimo articolo, nella versione originale della Direttiva, risalente al 1994, recitava: “Gli Stati membri possono favorire sistemi di riutilizzo degli imballaggi che possono essere reimpiegati in modo ecologicamente sano, in conformità con il trattato”
- nell’ambito della “Strategia sulla plastica nell’economia circolare” del Gennaio 2018 le autorità nazionali e regionali sono incoraggiate a favorire la plastica riutilizzabile e riciclata negli appalti pubblici nonché a fare un uso migliore della tassazione e di altri strumenti economici per favorire il riutilizzo e il riciclaggio rispetto allo smaltimento in discarica e all’incenerimento.
Per questo, tornando alla proposta di regolamento imballaggi, la narrazione di un’Europa schizofrenica che vuole cambiare improvvisamente le carte in tavola mettendo in crisi “l’eccellenza italiana del riciclo” risulta del tutto fuorviante. Semplicemente, la “spinta gentile” alla definizione da parte degli Stati Membri di un quadro regolatorio nazionale favorevole alla riduzione dei rifiuti di imballaggio e alla diffusione dei modelli del riuso non ha funzionato, com’era prevedibile, e di fronte a l’inasprirsi della crisi ecologica e della competizione internazionale per l’accesso alle risorse naturali, la regolazione europea passa ora al livello successivo: l’introduzione di target e obiettivi vincolanti.
5.Perché prevenzione e riuso consentirebbero di ridurre la pressione sulle materie prime e sui sistemi naturali e rafforzerebbero la resilienza del sistema produttivo nazionale
C’è chi afferma che l’Italia avrebbe da perdere se si favorisse il riuso perché “eliminerebbe un elevato quantitativo di materie prime seconde dal mercato spingendo nuovamente sull’utilizzo di materie prime vergini”. Come dire: dobbiamo produrre più rifiuti per avere più materiali da avviare a riciclo da utilizzare in sostituzione delle materie prime vergini nella produzione di nuovi prodotti: una strana idea di circolarità. Cambiando i rifiuti con l’acqua, sarebbe come affermare che dobbiamo consumare più acqua per avere più acqua da depurare da utilizzare in sostituzione dell’acqua di falda per irrigare i campi.
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6.Perché il riuso è sicuro, anche a contatto con alimenti
Il settore alimentare rappresenta il maggior utilizzatore di imballaggi. Tra le critiche sollevate ai modelli del riuso, non mancano quelle relative alla sicurezza alimentare, paventando rischi igienico sanitari legati all’utilizzo di imballaggi riutilizzabili a contatto con alimenti, specie in relazione ai contenitori per la somministrazione di alimenti e bevande per il consumo sul posto e da asporto. Eppure, i processi, le tecnologie e gli standard di lavaggio, pulizia e igienizzazione dei contenitori riutilizzabili attualmente disponibili e normalmente utilizzati per la gestione industriale di imballaggi riutilizzabili a contatto con alimenti garantiscono già i più alti standard di sicurezza e igiene.
Se parliamo di sicurezza alimentare, inoltre, non dobbiamo dimenticare che la stessa riguarda anche il problema delle sostanze chimiche utilizzate per la fabbricazione degli imballaggi, e i rischi sulla salute derivanti dalla loro migrazione negli alimenti. Come evidenzia il recente factsheet di Zero Waste Europe dal titolo “Debunking common myths about food hygiene, food waste, and health concerns related to reusable packaging” vi sono prove sempre più evidenti che molti articoli monouso a contatto con gli alimenti, realizzati sia in plastica che in carta e cartone, comportano rischi diretti per la salute dei consumatori, in quanto possono contenere centinaia di sostanze chimiche nocive o potenzialmente nocive che migrano negli alimenti.
7.Perché i modelli del riuso generano innovazione economica e sociale e nuova occupazione
Il quadro europeo mostra negli ultimi anni una forte accelerazione delle soluzioni basate sull’utilizzo di imballaggi riutilizzabili: dagli imballaggi secondari e terziari per la logistica distributiva delle merci, ai contenitori per bevande, ai contenitori per la somministrazione di alimenti e bevande per il consumo sul posto e da asporto, fino agli imballaggi per l’e-commerce. La diffusione e il consolidamento di tali iniziative è particolarmente evidente in quei paesi (in particolare in Germania, Francia, Olanda, Spagna) che hanno introdotto legislazioni favorevoli ai modelli del riuso, fornendo lo stimolo all’innovazione e alla nascita di nuove imprese che stanno dimostrando sul campo il potenziale e i benefici di tali modelli sia sul piano economico che ambientale. Nel settore dei contenitori per la somministrazione di alimenti e bevande per il consumo da asporto, iniziative come il ReuSe Vanguard Project (RSVP) e il progetto Buddie-Pack stanno gettando le basi per l’armonizzazione e la scalabilità a livello europeo dei sistemi basati sull’utilizzo di contenitori riutilizzabili.
Il processo di innovazione che accompagna la diffusione e il consolidamento dei modelli del riuso coinvolge una pluralità di soggetti e di settori economici, tra i quali: progettazione e realizzazione di imballaggi riutilizzabili; fornitori di servizi (secondo il modello “packaging as a service”); sviluppo software (es. sviluppo di software per la tracciatura degli imballaggi e per la gestione dei dati); fornitura di tecnologie (es. dispositivi di tracciatura/lettura degli imballaggi); progettazione, realizzazione e installazione di macchinari e impianti industriali di lavaggio; consulenza (es. supporto per la configurazione del sistema di riuso); logistica (es. servizi di logistica inversa); commercio (es. piattaforme per la vendita di prodotti in imballaggi riutilizzabili).
In Italia, tuttavia, tali modelli stentano a decollare, frenati da un quadro di riferimento normativo sfavorevole, e da una narrazione diffusa che vede il riuso contrapposto (e non sinergico) al riciclo.
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8.Perché il quantitativo dei rifiuti di imballaggio da avviare a riciclo sarebbe comunque destinato ad aumentare proprio grazie al Regolamento
La Commissaria alla Salute e sicurezza alimentare, nella sua lettera indirizzata al presidente della Camera, ha già evidenziato che le misure volte a favorire il riciclo presenti nella proposta di regolamento, comporteranno un aumento (e non una diminuzione) della quantità (e della qualità) di rifiuti di imballaggio che dovranno essere gestiti dagli impianti al servizio delle filiere del riciclo. Sul piano economico quindi, gli investimenti effettuati dalle imprese per la realizzazione di tali infrastrutture saranno garantiti. Ad ogni modo, in un paese caratterizzato da una carenza strutturale (specie al Sud) di impianti per la gestione dei rifiuti, che esporta all’estero oltre 500.000 tonnellate/anno di rifiuti dal trattamento dei rifiuti e che ha visto nel quinquennio 2014-2019 almeno 500 incendi, molti dei quali dolosi, di impianti di trattamento/stoccaggio/smaltimento rifiuti in quasi tutte le regioni italiane, la preoccupazione legata agli impatti sulla redditività delle imprese di trattamento rifiuti di una diminuzione dei rifiuti da trattare non dovrebbe a mio avviso essere presa troppo sul serio.
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*Questo intervento è stato pubblicato nel Quaderno di EconomiaCicolare.com “Istruzioni per il riuso”, presentato ad Ecomondo 2023