Dire che il 2024 proseguirà sulla scia del 2023 appare un’ovvietà, eppure dal punto di vista energetico è un’affermazione essenziale per provare a immaginare che anno sarà quello che è appena cominciato. Ciò vale soprattutto per l’Europa, incastrata in due guerre – quella in Ucraina e quella a Gaza – che secondo le valutazioni di analiste e analisti sono conflitti destinati a durare a lungo. Col risultato di confermare i nuovi equilibri energetici delineati sin dal 2022, e cioè la sostituzione di un unico fornitore di gas a basso prezzo, cioè la Russia, con una serie di Paesi mediorientali e africani, dal Qatar all’Azerbaijan, dall’Egitto all’Algeria.
In questo senso il 2024 sarà cruciale per il Vecchio Continente: se da una parte l’Ue conferma la volontà di sostenere l’Ucraina, e dunque di fare a meno del gas russo, un possibile allargamento del conflitto nel Golfo, con l’eventuale e temuto coinvolgimento dell’Iran, rovinerebbe i piani delle istituzioni comunitarie, da sempre fragilissime sul fronte dell’indipendenza energetica e con gli Stati membri che, al di là degli annunci, continuano a muoversi in ordine sparso.
D’altra parte la crisi energetica scaturita tra il 2021 e il 2022 non ha ancora smesso di perpetuare i suoi effetti nocivi sull’intera Unione europea, afflitta da un’inflazione ancora molto alta e da una stagnazione economica che si ripercuote anche su una produzione industriale (vedi Germania e Italia) molto bassa. Il prezzo del gas sul mercato TTF di Amsterdam è sceso ai valori del 2021 ma ciò non ha significato un ritorno ai prezzi di tre anni fa: un chiaro segnale che i prezzi dell’energia sono destinati a rimanere alti in Europa, anche per via del forte affidamento al GNL, il gas naturale liquefatto che per sua natura è soggetto alle fluttuazioni del mercato e alle speculazioni finanziarie.
Durante l’inaugurazione della presidenza belga del Consiglio dell’Ue, iniziata ufficialmente l’1 gennaio e che durerà fino alla fine di giugno, appena in tempo per assistere all’esito delle elezioni europee dal 6 al 9 giugno, la presidente della Commissione Ursula Von Der Leyen ha annunciato che la Commissione “presenterà un’iniziativa sugli obiettivi climatici per il 2040, in seguito al successo ottenuto dall’UE nel fissare nuovi obiettivi globali sulle energie rinnovabili e sull’efficienza energetica a livello globale durante la Cop28”. E proprio dall’annuale conferenza sui cambiamenti climatici si può ripartire per comprendere, dopo aver delineato il contesto generale, quali sono le prospettive future.
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Il 2024 e l’energia che verrà dopo la Cop28
Quando la Cop28 di Dubai si è chiusa a metà dicembre in molti hanno scomodato l’aggettivo “storico”, per via della decisione finale che per la prima volta ha sancito una “transizione dalle fonti fossili”. Tuttavia le criticità di quella formula sono molte, come abbiamo raccontato, a partire dal fatto che stati e aziende fossili sono riuscite a inserire una tecnologia come la cattura e lo stoccaggio di carbonio (ccs), utile a mantenere il “business as usual” e soprattutto a confermare la centralità dell’industria oil&gas. In questo modo il 2024 potrebbe davvero essere l’anno della svolta per la ccs, che fino a questo momento ha invece arrancato tra costi insostenibili e scarsissime riduzioni delle emissioni. Mentre adesso potrà approfittare del consenso esplicito espresso dalle Nazioni Unite ed è facile prevedere che gli investimenti aumenteranno in maniera esponenziale.
D’altra parte proprio nei giorni della Cop28 un rapporto McKinsey, una delle più note e discusse società di consulenza al mondo, scriveva che “si prevede che entro il 2030 gli investimenti globali nella capacità di rimozione del carbonio raggiungeranno tra i 100 e i 400 miliardi di dollari”. Il report, intitolato “Carbon removals: How to scale a new gigaton industry”, indica dieci soluzioni tra cui, appunto, le varie forme di cattura e stoccaggio di carbonio. E nel 2024 il vero banco di prova per questa tecnologia sarà proprio in Italia: entro quest’anno Eni e Snam prevedono di avviare l’impianto pilota dell’hub di Ravenna, che recentemente è stato inserito dalla Commissione europea tra i PIC, i Progetti di Interesse Comune, con la conseguenza che l’intero progetto, che prevede anche la raccolta dell’anidride carbonica nel distretto industriale di Marsiglia, potrà essere finanziato con soldi europei.
Altra forma di energia che potrebbe essere beneficiata dal documento finale della Cop28 è il nucleare: anche per esso, così come per i combustibili fossili, è stata la prima volta in cui è stato menzionato esplicitamente, insieme alla ccs come “tecnologie a zero e a basse emissioni”. Non un posto di primo piano ma comunque un appiglio forte per quei governi che dipendono già dall’energia nucleare, come la Francia e gli Stati Uniti, e per quelli che guardano con favore a questa opzione, come l’Italia.
Il governo Meloni, infatti, ha promosso nell’anno che si è appena concluso la “piattaforma nazionale per un nucleare sostenibile”. L’obiettivo è di definire già quest’anno una “strategia nazionale” che presumibilmente escluderà la possibilità di realizzare centrali nucleare di grande taglia, relative alla cosiddetta terza generazione, ma si pronuncerà sui reattori nucleari di quarta generazione, che sono più sicuri, economici, affidabili e meno inquinanti rispetto ai predecessori. Tuttavia, dato che sono ancora in una fase sperimentale, questi reattori vedrebbero la luce nel prossimo decennio. Mentre le energie rinnovabili, pronte da tempo a rivoluzionare l’approccio fin qui perseguito, dopo anni di crescita esponenziale potrebbero proprio nel 2024 conseguire risultati straordinari e decisivi. O no?
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Il possibile cambio di scenario dopo le elezioni del 2024
Tornando alla Cop28, il risultato più atteso, e anche quello più prevedibile, è stato l’impegno di più di 130 governi nazionali, inclusa l’Ue, a triplicare la capacità installata di energia rinnovabile nel mondo fino ad almeno 11mila gigawatt entro il 2030. Un obiettivo che appare ambizioso e allo stesso tempo alla portata. In attesa di capirne di più sulla fattibilità di tale traguardo – a breve l’Agenzia Internazionale dell’Energia rilascerà un report specifico dedicato alle rinnovabili, ma c’è da aggiungere che negli ultimi anni i dati dell’IEA hanno peccato di eccessiva fiducia verso i governi nazionali – c’è da ricordare che il 2024 è anche l’anno delle elezioni. Sono attesi al voto 76 Paesi in giro per il mondo, vale a dire metà della popolazione mondiale dovrà, o per meglio dire dovrebbe, recarsi alle urne.
L’orizzonte energetico tracciato dalla Cop28 potrebbe essere in parte ribaltato dall’esito delle votazioni. Se dalla Russia, dall’India e dall’Iran non ci si attendono sorprese – e dunque verranno confermati gli attuali assetti basati sulle fonti fossili – il voto più atteso riguarda l’Unione europea. Se a giugno dovessero confermati i “venti da destra” che soffiano praticamente su tutto il Continente, le rinnovate istituzioni europee si troverebbero governate da esponenti che sulla crisi climatica sono “riduzionisti” quanto non apertamente “negazionisti”, e che dunque potrebbero ridimensionare di molto le ambizioni del Green Deal e puntare su una real politik ancora una volta basata su carbone, petrolio e gas.
Scenario ancora più preoccupante riguarda gli Stati Uniti, che a novembre potrebbero ritrovarsi addirittura a scegliere il ritorno di Donald Trump – che nell’ex presidenza ha confermato in maniera massiccia l’utilizzo del discusso fracking, con il quale gli Usa sono diventati indipendenti sull’approviggionamento di petrolio e gas – o, ipotesi più probabile, con una presidenza debole di Joe Biden, che potrebbe confermare la volontà di perseguire gli obiettivi interni, lasciando alla Cina il ruolo di Paese leader delle energie rinnovabili e rinnovando l’intesa con le cosiddette petromonarchie del Golfo.
Fondamentale poi il voto di alcuni Paesi dell’America Latina, soprattutto Messico e Venezuela: si tratta di Stati ricchissimi di idrocarburi, che potrebbero scegliere la strada della “nazionalizzazione” o dell’apertura alle esportazioni. E le recenti votazioni in Argentina e Brasile confermano che in questo momento storico chi va a votare predilige governi forti e decisi, che intendono dire la loro anche dal punto di vista energetico.
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Cosa aspettarsi dal G7 a guida italiana?
Intanto dall’1 gennaio 2024 l’Italia ha assunto la presidenza del G7, il gruppo che riunisce, oltre il nostro Paese, Canada, Francia, Germania, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti d’America, e la manterrà fino al 31 dicembre dell’anno in corso. L’appuntamento principale, il vertice dei leader del G7, si svolgerà dal 13 al 15 giugno in Puglia.
Nel sito in costruzione dedicato ad hoc alla presidenza del G7 il governo Meloni, pur senza citare esplicitamente l’energia, lascia intendere che sarà uno dei temi fondamentali delle riunioni tecniche e degli eventi istituzionali. Se è vero che alle questioni specifiche “clima, energia e ambiente” sarà dedicata una tre giorni a Torino, dal 28 al 30 aprile, è evidente che per la premier Giorgia Meloni le questioni energetiche si intrecciano con altri fattori, dalle migrazioni all’industria, dai trasporti alla finanza.
Di sicuro ampia centralità verrà data all’Africa. “La sfida è costruire un modello di partenariato vantaggioso per tutti, lontano da logiche paternalistiche o predatorie” scrive il governo Meloni. Eppure lo strumento principale per favorire questo intento, vale a dire il Piano Mattei, è ancora in alto mare: dopo l’annuncio dato a ottobre 2022 nella richiesta di fiducia alla Camera, il 2023 è trascorso nella faticosa stesura di una “governance” finora apparsa insoddisfacente. Se ne dovrebbe sapere di più alla Conferenza Italia-Africa, prevista per fine mese. “Quello che va fatto in Africa è difendere il diritto a non dover emigrare prima del diritto a poter emigrare. E questo si fa con investimenti e con una strategia” ha detto Meloni durante la conferenza stampa di fine anno. Dal punto di vista energetico la strategia del governo è quella di fare affidamento sull’Africa per poter diventare un “hub del gas”. Non proprio la più rosea delle aspettative per il 2024 e per qualsiasi altro anno.
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