giovedì, Novembre 6, 2025

Lacune sulle etichette e carenze nelle norme: così fiorisce il mercato di piatti e vaschette “finto-riutilizzabili”

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Redazione EconomiaCircolare.com

Nei negozi troviamo spessissimo piatti, bicchieri e vaschette in plastica tradizionale venduti come riutilizzabili ma trattati di fatto come usa e getta, in barba alle norme europee stabilite dalla direttiva SUP (Single use plastics) che vieta gli imballaggi monouso in plastica. Legambiente ha condotto un’analisi a campione (di cui dà conto nel report “Usa & getta o riutilizzabile? Facciamo chiarezza!”) per capire come questi prodotti forniscano informazioni su utilizzo e riutilizzo e sul conferimento nella raccolta differenziata.

Ne risulta che nel nostro Paese “la vendita dei prodotti presentati come riutilizzabili, ma considerati nei fatti usa e getta, è un gran pasticcio, che alimenta la produzione di plastica tradizionale, contraddicendo l’obiettivo della direttiva europea, e mette seriamente a rischio la filiera industriale nazionale della chimica verde e delle bioplastiche, fino ad oggi leader a livello globale”, commenta l’associazione.

Ad alimentare questo pasticcio “la scarsità e le informazioni fuorvianti sul riutilizzo, unite anche alla mancata definizione del concetto ‘riutilizzabile’ nella Direttiva SUP e nella norma italiana di recepimento (decreto legislativo 196/2021), fanno sì che spesso piatti, bicchieri e posate in plastica, presenti sugli scaffali dei negozi e che si definiscono ‘riutilizzabili’, dopo essere stati utilizzati la prima volta, vengono poi gettati esattamente come fossero ‘usa e getta’”.

Secondo Stefano Ciafani, presidente di Legambiente, siamo di fronte ad “un paradosso tutto italiano rispetto alla direttiva SUP, che mette a rischio l’obiettivo di ridurre l’uso della plastica usa e getta e minaccia seriamente la leadership della filiera nazionale della chimica verde e delle bioplastiche”.

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L’indagine

Per verificarne le informazioni presenti sulle confezioni, l’indagine, condotta nei primi sei mesi del 2024, ha preso in esame un campione di 317 prodotti – 57% piatti, 27% bicchieri, 12% posate e 4% coppette, vaschette e vassoi – appartenenti a 70 marchi diversi di produttori e presenti in oltre 60 di punti vendita (supermercati, casalinghi e negozi di prossimità)

imballaggi plastica monouso riutilizzabili
Fonte: Legambiente

“Un’impresa non semplice, come sanno gli stessi consumatori – dice Legambiente – perché spesso a mancare sulle confezioni dei prodotti sono proprio quelle informazioni più basilari sul riutilizzo”.

Mancano, rivela l’associazione chiarimenti come:

  • numero di lavaggi massimi;
  • modalità di lavaggio (se a mano o in lavastoviglie);
  • temperature massime consentite per il lavaggio;
  • se i materiali sono idonei all’uso in microonde o al forno tradizionale e relative temperature di utilizzo;
  • eventuali certificazioni.

I risultati

Ecco, in sintesi, cosa ha scoperto Legambiente analizzando i 317 i prodotti:

imballaggi plastica monouso riutilizzabili
Fonte: Legambiente
  • il 38% non specifica il numero di lavaggi massimi o consigliati: “Paradossale, visto che la peculiarità di questi oggetti sta proprio nella loro riutilizzabilità e le informazioni chiare e coerenti circa il loro lavaggio sono un primo tassello fondamentale per poterlo fare”;
  • mancano le informazioni sulla modalità di utilizzo e riutilizzo: solo l’8% dei prodotti riporta la possibilità del loro uso nel microonde e del lavaggio in lavastoviglie:
  • “Nel caso del lavaggio, nel 25% dei casi non è specificato se i prodotti possono andare in lavastoviglie e, laddove specificato, nel 60% dei casi non viene indicata la temperatura e la modalità di lavaggio”;
  • Rispetto all’utilizzo del prodotto nel microonde, è riportato solo nel 30% dei casi. E nel 43% dei beni in cui è esplicitato è assente l’informazione sulla temperatura;
  • Solo in un campione su due viene esplicitata l’impossibilità di utilizzo del prodotto nel forno tradizionale;
  • Altro “buco nero” evidenziato dall’indagine riguarda le certificazioni riportate sulle confezioni: almeno una è presente solo nel 35% dei prodotti (110 su 317) e nel 70% dei casi non riguardano la riutilizzabilità ma altri aspetti (certificazione di qualità dell’azienda, gestione ambientale, sicurezza sul lavoro, l’HACCP); solo il 30% dei certificati (55 su 183) riguarda la “resistenza meccanica al lavaggio in lavastoviglie degli utensili per uso domesticoche, ricorda Legambiente “rappresenta, però, una condizione necessaria ma non sufficiente per definire il riutilizzo”;
  • Poca chiarezza anche per la gestione del fine vita di piatti, bicchieri e vaschette: ben il 19% dei prodotti non offre indicazioni sulle modalità di conferimento per la raccolta differenziata.
imballaggi plastica monouso riutilizzabili
Fonte: Legambiente

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Le richieste di Legambiente

Per rimediare a questa confusione – non priva di conseguenze per i consumatori, l’ambiente, le imprese oneste – Legambiente chiede al Governo Meloni “di colmare il vuoto normativo creato dalla direttiva europea e dal decreto legislativo 196/2021 per evitare che i vecchi prodotti monouso in plastica, messi alla porta dalla normativa comunitaria, rientrino dalla finestra”. Tre le priorità, secondo l’associazione:

  1. Aggiungere la definizione di “riutilizzabile” alle le “definizioni” correlate con la direttiva SUP (articolo 3 del D.lgs. 8 novembre 2021, n. 196);
  2. stabilire una check list delle informazioni da riportare in etichetta per i prodotti riutilizzabili e realizzare campagne di sensibilizzazione al consumatore;
  3. Prevedere attività di monitoraggio dei flussi di prodotti in plastica monouso e dei prodotti riutilizzabili immessi sul mercato, anche per quantificare la riduzione del consumo prevista dalla direttiva.

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