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lunedì, Dicembre 16, 2024

Il progetto per riportare le ostriche nella baia di New York. “Fondamentali per il ripristino ambientale”

Filtrare l’acqua, favorire la biodiversità, ridurre gli effetti delle mareggiate: le ostriche possono essere molto importanti per New York. Arrivare a un miliardo di questi bivalvi nella baia della città entro il 2035 è l'obiettivo del Billion Oyster Project

Maurita Cardone
Maurita Cardone
Giornalista freelance, pr e organizzatrice culturale, ha lavorato per diverse testate tra cui Il Tempo, Il Sole 24 Ore, La Nuova Ecologia. Abruzzese trapiantata a New York dove è stata vicedirettore di una testata italiana online, attualmente è corrispondente dagli USA per Artribune oltre a collaborare con diversi media italiani e non. Si occupa di temi sociali e culturali con particolare attenzione alle intersezioni tra arte e attivismo.

È difficile immaginarlo oggi mentre decine di traghetti vanno avanti e indietro sotto lo sguardo della Statua della Libertà, ma prima della colonizzazione del Nord America la baia di New York era un paradiso naturale, una delle aree della terra con la più alta biodiversità. Centinaia di specie vivevano nelle acque che bagnano le isole oggi parte della città ed elemento chiave di quell’equilibrio erano le barriere di ostriche che avevano trovato in quelle isole il loro habitat.

Si stima che nella prima metà del Seicento, quando la città fu fondata, ci fossero circa 90mila ettari di barriere di ostriche nell’area. Quando gli insediamenti intorno alla baia iniziarono ad espandersi e la popolazione cominciò a crescere esponenzialmente, gli abitanti della città scoprirono le tante virtù di queste bivalve che diventarono così una prelibatezza locale molto richiesta: New York divenne la capitale mondiale delle ostriche. Newyorchesi e visitatori ne consumavano talmente tante che, già nel 1715, la città decretò quello che fu forse uno dei primi fermi biologici della storia, stabilendo che in primavera e in estate era vietato raccogliere le ostriche nella baia. Ma nel 1807 la legge fu sospesa, portando a uno sfruttamento massiccio e alla creazione di grossi allevamenti intorno alla città. Tuttavia, l’aumento delle attività industriali e dei trasporti marittimi nel porto, oltre che il sistema di smaltimento delle acque reflue urbane implementato a metà Ottocento, portarono la fauna marittima all’esaurimento. L’ultimo allevamento commerciale di ostriche nella baia chiuse nel 1927. Da allora, grazie al Clean Water Act del 1972, la qualità delle acque della baia di New York ha cominciato a migliorare, ma le ostriche erano ormai da lungo tempo scomparse e la loro funzione di regolazione ambientale, di depurazione delle acque e di mitigazione delle mareggiate, era andata persa.

Un miliardo di ostriche entro il 2035

Oggi c’è chi sta provando a invertire la storia e riportare le ostriche nella Baia di New York. Nato nel 2014, Billion Oyster Project mira a ripristinare la qualità delle acque della baia con il coinvolgimento delle comunità locali. Il progetto nasce dall’iniziativa di Murray Fisher e Pete Malinowski, l’uno direttore e l’altro professore di acquacoltura alla Urban Assembly New York Harbor School, una scuola di scienze marine di base a Governor Island, una piccola isola a meno di mezzo miglio marittimo dalla punta meridionale di Manhattan.

Il progetto punta ad arrivare a un miliardo di ostriche entro il 2035. Finora grazie all’impegno del gruppo e di decine di volontari, la popolazione di ostriche è arrivata a quota 47 milioni, suddivisi tra gli allevamenti di Governors Island e Red Hook e 15 barriere create in varie località dell’area. Il progetto è infatti in continua espansione e oggi, oltre ai due siti in cui le ostriche vengono coltivate dallo staff del progetto, ne sono stati creati altri in cui i molluschi vengono trasportati e colocati in modo che possano creare delle barriere simili a quelle naturali. Spiega a Economia Circolare, Helene Hetrick, la portavoce di Billion Oyster Project: “L’obiettivo è creare un terreno fertile per altre ostriche e, negli anni, abbiamo visto ostriche che non abbiamo colocato noi iniziare a riprodursi e crescere. Inoltre le barriere stanno iniziando ad attirare altra fauna, come cavallucci marini e pesci pipa, un’indicazione del fatto che l’acqua sta diventando più pulita”.

Foto BillionOysterProject

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Una questione di istruzione

Cuore del progetto è un programma didattico che coinvolge studenti di diverse scuole locali nella convinzione che non ci possa essere recupero dell’ambiente senza istruzione. “Il progetto è stato creato da degli educatori – continua Hetrick – convinti del fatto che il ripristino ambientale senza educazione sia temporaneo e che sia cruciale creare una generazione di gestori dell’ambiente che possano far andare avanti il lavoro e che capiscano l’importanza di questa risorsa. E questo può avvenire solo con il coinvolgimento dei giovani”.  Le scuole partecipano direttamente alle attività del gruppo e gli studenti hanno l’opportunità di osservare e toccare con mano le ostriche, apprezzandone il valore di regolatori dell’ambiente marittimo. Nell’anno della pandemia, il lavoro sul campo degli studenti non è stato possibile a causa della chiusura delle scuole e dei protocolli sul distanziamento sociale, ma il progetto ha continuato le sue attività coinvolgendo le scuole in remoto.

Foto BillionOysterProject

Obiettivo: 100 milioni di ostriche in un anno

La scorsa estate è stata una delle più produttive per il Billion Oyster Project: fino ad allora il gruppo era stato in grado di coltivare pochi milioni di ostriche all’anno, ma nel 2020, sono riusciti ad arrivare a 17 milioni, coltivate nel solo nuovo sito creato nell’area di Red Hook, a Brooklyn dove, grazie a una partnership con l’azienda Sea Box, quattro container normalmente utilizzati per il trasporto delle merci, sono stati trasformati in vasche per la coltivazione delle ostriche. Nei prossimi anni il team conta di riuscire a posizionarne 50 milioni all’anno solo in questo nuovo sito. Un incremento che consentirà al Billion Oyster Project di avvicinarsi all’obiettivo di medio termine di 100 milioni totali l’anno entro il 2024.

Foto BillionOysterProject

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Riciclare i gusci

Il lavoro di monitoraggio e cura delle barriere è continuo: è fondamentale, infatti, che le ostriche trovino un ambiente favorevole che consenta loro di vivere più a lungo di quelle che normalmente vengono immesse sul mercato per uso alimentare (di media di poco più di un anno di età) e di riprodursi. Strategica è, in questo senso, la collaborazione con 75 ristoranti locali che hanno aderito a un programma di riciclaggio dei gusci di bivalve che vengono poi utilizzati per creare il substrato necessario per l’attecchimento. I ristoranti che partecipano raccolgono i gusci dei molluschi consumati dai propri clienti. In seguito, l’azienda di vendita all’ingrosso di frutti di mare, Lobster Place, quando consegna i propri prodotti ai ristoranti, raccoglie i gusci e li fa arrivare a Governors Island, dove vengono conservati e puliti per un intero anno, in modo da liberarli da batteri e possibili patogeni e, infine, installati in acqua come “fondamenta” per le future barriere di ostriche. Questo substrato è indispensabile per l’attecchimento e la riproduzione di nuovi esemplari: i gusci sono infatti ricchi in carbonato di calcio che è l’elemento che le ostriche utilizzano per sviluppare il proprio guscio. Con l’ulteriore vantaggio di evitare che questi scarti finiscano in discarica. L’anno scorso l’intero progetto di raccolta dei gusci è stato finanziato dal marchio di whisky Talisker.

Mitigare gli effetti della crisi climatica

La collaborazione con aziende, istituzioni, associazioni, scuole e privati cittadini è alla base della filosofia del Billion Oyster Project che non vuole essere un mero progetto scientifico, ma un programma per riavvicinare la città di New York alla sua acqua e alla sua baia, facendone riscoprire il valore ambientale e sociale a tutti i livelli, riportando la popolazione a contatto con questa preziosa risorsa. E, in tempi in cui si fanno concrete le minacce dei cambiamenti climatici, di sempre più frequenti fenomeni atmosferici estremi e dell’innalzamento delle acque, il valore delle barriere di ostriche sta anche nel loro ruolo di mitigazione delle mareggiate. Una consapevolezza che è andata crescendo da quando, nel 2012, l’uragano Sandy ha devastato l’area di New York mostrando tragicamente la vulnerabilità di un ambiente costruito a stretto contatto con l’acqua. A seguito di quegli eventi, sono diverse le proposte allo studio per creare barriere frangiflutto intorno alla città e le ostriche sono tra le soluzioni più gettonate. Come dice Helene Hetrick, “c’è qualcosa nelle ostriche che tende ad entusiasmare le persone dando un’idea di ciò che sarà possibile in futuro. Cose tangibili come prendere in mano le ostriche, vederle filtrare l’acqua, aiutano a immaginare quali possono essere i risultati di questo progetto”.

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