La Digital Fair Repair Act, la legge sul diritto alla riparazione dello Stato di New York, la prima negli Stati Uniti che aveva fatto sì che il diritto alla riparazione passasse attraverso una legislatura statale, sembrava un punto di svolta per tutto il Paese. Ad oggi, nonostante se ne riconosca il risultato, lascia invece gli attivisti con l’amaro in bocca, a causa di alcune modifiche che ne avrebbero indebolito gli effetti.
La legge era stata originariamente approvata a giugno con una schiacciante maggioranza bipartisan, ma è stata formalmente inviata alla scrivania della governatrice dello Stato di New York, Kathy Hochul, solo ad inizio dicembre; la governatrice aveva tempo fino alla mezzanotte del 28 dicembre per firmarla, porre il veto o permettere che venisse approvata senza la sua firma.
Tuttavia, già nel corso dell’iter legislativo, i big dell’industria tecnologica e i gruppi commerciali avevano spinto per delle modifiche. Il risultato è stato che la legge firmata da Hochul a fine dicembre contiene diverse condizioni ed eccezioni che, almeno secondo quanto dichiarato, sarebbero state aggiunte per rispondere alle preoccupazioni della governatrice riguardo a “questioni tecniche che potrebbero mettere a rischio la sicurezza e l’incolumità, oltre che aumentare il pericolo di lesioni dovute a progetti di riparazione”. Ma la questione è ben più complessa.
Cos’è la Digital Fair Repair Act
Inizialmente, il disegno di legge era stato accolto con entusiasmo da attivisti e associazioni di categoria, come iFixit – sito che fornisce guide dettagliate per la riparazione e parti di ricambio per i dispositivi -, perché si riteneva che fosse in grado di creare un precedente per tutto il Paese.
Quando entrerà in vigore il 1° luglio 2023, la legge richiederà ai produttori di fornire ai consumatori e ai centri di riparazione indipendenti di New York gli strumenti di diagnostica, i pezzi di ricambio e i manuali necessari per riparare i loro dispositivi a un costo ragionevole, rendendo di fatto maggiormente accessibili quelle componenti che i produttori tendevano a tenere entro la loro rete e, magari, a rendere la riparazione una scelta economicamente più conveniente.
Vi sono però delle eccezioni: solo i dispositivi fabbricati e venduti a New York a partire dal 1° luglio 2023 dovranno soddisfare i requisiti della legge, sono quindi esclusi tutti i prodotti attualmente in circolazione o quelli che le persone già possiedono. Sono escluse anche le apparecchiature business-to-business e business-to-government non vendute ai consumatori. Inoltre, i produttori non saranno tenuti a fornire password o altri strumenti per aggirare i blocchi di sicurezza dei dispositivi: una misura sensata, specie per la sicurezza di quei prodotti che hanno la funzione antifurto come Apple, ma che potrebbe, d’altra parte, bloccare dispositivi funzionanti di utenti che hanno semplicemente dimenticato la password o non riescono a trovare una chiave di recupero.
La legge, inoltre, riguarda dispositivi dotati di microchip come smartphone, tablet e computer portatili ma esclude alcune schede dei circuiti degli smartphone dall’elenco delle parti che i produttori sono tenuti a vendere.
Le aziende produttrici possono poi scegliere di fornire una parte del dispositivo, invece delle singole componenti per evitare che “un’installazione impropria aumenti il rischio di lesioni”. Se, ad esempio, si volesse sostituire il display o la batteria dello smartphone, l’azienda potrebbe fornirli con una serie di cavi extra o altre parti collegate, indipendentemente dal fatto che tali parti siano necessarie o meno. Naturalmente questo potrebbe far lievitare il costo delle riparazioni, e il consumatore potrebbe quindi optare per l’acquisto di un nuovo dispositivo.
Questi compromessi si aggiungono ad alcune ampie esenzioni già presenti nel disegno di legge originale, che escludono i dispositivi medici, i veicoli a motore, i fuoristrada e gli elettrodomestici.
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Cosa cambia con le modifiche
Oltre ai consumatori, a trarre beneficio dalla legislazione sul diritto alla riparazione sono i centri di riparazione indipendenti, che risentono delle scelte di design mirate a complicare l’autoriparazione. Ad esempio, Apple, Google e Samsung, metterebbero in atto una strategia chiamata “serializzazione”, che porterebbe all’interruzione di alcuni funzioni quando viene effettuata una riparazione non autorizzata. Per intenderci, su alcuni modelli di iPhone la sostituzione dello schermo disabilita funzioni come True Tone (che regola automaticamente il colore del display) e la luminosità automatica, anche se lo schermo di ricambio è un pezzo originale Apple.
Inoltre un problema ricorrente sarebbe proprio quello di trovare pezzi di ricambio, non prodotti in numero sufficiente. In questo senso, la nuova legge newyorkese non obbligherà le aziende a produrre un maggior numero di pezzi di ricambio, ma dovranno essere più trasparenti riguardo alle componenti di cui dispongono, fa sapere ad Ars Technica Nathan Proctor, direttore senior della campagna Right to Repair presso il gruppo di difesa dei consumatori statunitense, Public Interest Network (PIRG).
Nella sua forma originaria, il Digital Fair Repair Act era molto più esteso e copriva dai microonde ai frigoriferi, dai tosaerba ai trattori, mentre la scorsa primavera questi prodotti sono stati completamente rimossi dalla legge. L’esclusione delle attrezzature agricole si è rivelata particolarmente scoraggiante per gli agricoltori newyorkesi, che continuano a lanciare l’allarme su come aziende come John Deere e Caterpillar utilizzino software di blocco per impedire ai proprietari di occuparsi da soli di semplici riparazioni.
Per alcuni attivisti, dunque, le concessioni date alle aziende produttrici sarebbero state troppe e avrebbero compromesso la buona riuscita della legge, così come era stata immaginata.
Sebbene il deputato Pat Fahy, promotore della proposta di legge si rammarichi di aver dovuto ridurre il disegno di legge, sostiene che senza l’eliminazione delle attrezzature agricole la legge non sarebbe passata, e che non avevano altra scelta.
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Possibili conseguenze indesiderate
La legislazione sul diritto alla riparazione è stata concepita per rompere il monopolio dei produttori sul mercato delle riparazioni, consentendo così ai consumatori di conservare più a lungo i loro prodotti, in modo da non gettarli via e acquistarne subito di nuovi. Questo con lo scopo anche di ridurre l’impatto ambientale, generando meno rifiuti elettronici e mettendo sul mercato un numero inferiore di prodotti nuovi.
Tuttavia, una ricerca pubblicata sulla rivista Management Science mette in discussione questa assunto e, attraverso alcune proiezioni di mercato, sostiene che la legislazione sul diritto alla riparazione potrebbe in alcuni casi indurre i produttori a inondare il mercato di prodotti a basso costo, danneggiando così l’ambiente, e in altri casi ad aumentare drasticamente il prezzo dei prodotti, danneggiando così i consumatori.
C’è da dire che non concedere per questo un diritto fondamentale ai consumatori sarebbe evidentemente un errore, anche per non essere ostaggio di pretese delle aziende produttrici, ma differenziare la legge in base alle categorie di prodotti, analizzandone anche costi di produzione e impatto ambientale, potrebbe essere un valore aggiunto di una futura legislazione in materia.
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Perché c’era bisogno di una legge
Per capire la necessità e l’impellenza di questa legge basta seguire la storia del Restart Center, un programma di tutoraggio lanciato nel 2015 che coinvolgeva studenti di una scuola privata del Bronx: le ragazze ed i ragazzi potevano portare i loro dispositivi rotti e imparare a ripararli grazie all’aiuto di altri studenti e tecnici professionisti. Attraverso pezzi di ricambio provenienti da produttori di apparecchiature originali – gli stessi con cui aziende come Apple hanno un contratto -, gli studenti si mettevano alla prova su compiti come la sostituzione degli schermi dei loro telefoni.
Successivamente, raccontano su Intelligencer, con l’arrivo di nuovi modelli di smartphone è diventato tutto più complicato, facendo quasi chiudere il programma. Quando nel 2017 è uscito l’iPhone X, il prezzo degli schermi di ricambio è più che triplicato e i produttori erano spesso a corto di scorte: ogni nuova caratteristica, raccontano, sembrava progettata per rendere i telefoni più difficili da riparare per chiunque non fosse Apple.
Riparare alcuni dispositivi era, inoltre, troppo costoso o semplicemente i pezzi di ricambio non erano disponibili.
Dal 2010, quando diversi macchinari e dispositivi, dai trattori agli smartphone, sono diventati sempre più complessi e le aziende hanno sviluppato nuovi metodi per disincentivare le riparazioni indipendenti, la comunità si è riunita nel movimento politico denominato Right to repair. A livello locale, si organizzano eventi come i repair café, dove le persone possono portare i loro dispositivi rotti e aiutarsi a ripararli. La comunità è supportata da risorse come iFixit e da gruppi di attivisti come la Repair Association, che hanno guidato la spinta degli Stati Uniti per la legislazione sul diritto alla riparazione, dando la priorità proprio alle legislature statali.
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