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venerdì, Novembre 15, 2024

Giornata mondiale del vento: dalla fonte di energia più pulita la risposta alla crisi climatica?

È la fonte di energia con minore impronta di carbonio e ha un impatto ambientale ridotto. Gran parte dell’energia del vento, però, resta inaccessibile all’uomo. Tuttavia l’offshore ha maggiori potenzialità, sebbene a un costo più elevato. Eppure nazioni come l’Italia restano indietro. Cosa c'è da sapere

Tiziano Rugi
Tiziano Rugi
Giornalista, collaboratore di EconomiaCircolare.com, si è occupato per anni di cronaca locale per il quotidiano Il Tirreno Ha collaborato con La Repubblica, l’agenzia stampa Adnkronos e la rivista musicale Il Mucchio Selvaggio. Attualmente scrive per il blog minima&moralia, dove si occupa di recensioni di libri. Ha collaborato con la casa editrice il Saggiatore e con Round Robin editrice, per la quale ha scritto il libro "Bergamo anno zero"

L’energia eolica accompagna lo sviluppo dell’uomo da oltre 3500 anni e già nel 650 gli olandesi utilizzavano il vento per pompare l’acqua dai polder, i terreni al di sotto del livello del mare. Un secolo dopo, nel 1650, l’Olanda ricavava dall’eolico 7,5 megawatt di energia, ovvero il 33%del fabbisogno energetico del tempo. La prima turbina eolica al mondo per la generazione di energia elettrica fu inventata, invece, negli Stati Uniti a fine Ottocento.

Fu il fisico danese Poul La Cour ad avere l’intuizione, pochi anni dopo, che poche pale ruotano più velocemente e generano una quantità maggiore di energia: ecco perché le moderne turbine bianche che vediamo all’orizzonte hanno solo tre pale rispetto ai vecchi mulini a vento, e se non si è passati a due è solo per il fatto che a quel punto la velocità sarebbe tale da mettere in pericolo la stabilità della struttura portante.

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Eolico: potenzialità e limiti

Il 15 giugno, giornata mondiale del vento, è l’occasione per riflettere su questa fonte di energia rinnovabile così importante in ottica della transizione ecologica e della  decarbonizzazione. In Italia è al centro degli investimenti nelle rinnovabili del Piano nazionale di ripresa e resilienza, almeno nelle intenzioni. Ad oggi il settore eolico produce il 15% dell’energia consumata in Europa ed è in grado di soddisfare il fabbisogno di 87 milioni di famiglie. Secondo le stime fatte nel 2021 da Irena, l’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili, sarà una delle più importanti fonti di energia entro il 2030 e arriverà a fornire il 24% del fabbisogno di elettricità.

Circa il 2% della radiazione solare che investe il nostro pianeta si converte, infatti, in energia eolica. C’è però un grosso problema: gran parte di questa energia è completamente inaccessibile all’uomo, perché riguarda le correnti a getto d’alta quota. Inoltre, i venti di bassa quota soffiano perlopiù in alto mare, al di fuori della portata immaginabile di parchi eolici installati fuori costa.

E anche nel caso dei venti che spirano bassi sopra la terraferma e le acque costiere, non soffiano mai in maniera costante e una moltitudine di limitazioni geografiche fanno sì che sia possibile imbrigliare solo una piccola parte della loro energia. Parchi eolici troppo estesi, con svariate decine di turbine, infatti, non permetterebbero di sfruttare al massimo le pale perché una turbina rallenta il flusso del vento che raggiunge la successiva. La capacità di produzione di energia, per questo motivo, è solamente di circa un watt per metro quadrato di suolo.

L’eolico difficilmente riuscirà, quindi, a coprire la maggior parte del fabbisogno di energia. Resta, tuttavia, una componente indispensabile nel mix energetico delle fonti rinnovabili. Infatti, i giorni e i mesi più ventosi, sono in genere anche quelli in cui c’è minore luce solare, dunque l’eolico può parzialmente porre rimedio all’utilizzo limitato di radiazione solare soprattutto nelle ventose e nuvolose nazioni del Nord Europa, come il Regno Unito.

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Come cresce l’eolico nel mondo

Perciò l’eolico appare oggi una tecnologia matura e diffusa ed è uno dei settori con il più rapido tasso di crescita. Del resto, se si vuole raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e restare sotto gli 1.5°C di aumento medio della temperatura da qui al 2050, sarà necessario installare nei prossimi dieci anni turbine eoliche per produrre 40 GW di energia eolica negli Stati Uniti e 20 GW in Europa. Per avere un termine di paragone, una singola turbina eolica di medie dimensioni ha una potenza istantanea massima di 2,5-3 MW, mentre una di grandi dimensioni oscilla tra i 6 e i 10 MW.

Solo nell’Unione europea nel 2020 gli investimenti in eolico offshore (in mare) hanno fatto segnare un aumento record di 26,3 miliardi di euro, che serviranno a finanziare l’installazione di 7,1 GW di nuova capacità nei prossimi anni (dati WindEurope). A livello globale, negli ultimi dieci anni sono state installate nella terraferma (onshore) pale eoliche per una capacità di 53 GW all’anno, ma nel 2020 il tasso è raddoppiato a 109 GW. Per poi quadruplicare nel 2030 e raggiungere, in base alle previsioni, 3000 GW e poi 6170 GW entro il 2050.

La situazione in Italia

In Italia le regioni con le maggiori potenzialità per l’eolico onshore sono Sicilia, Puglia e Sardegna: nelle sei regioni del Meridione si trova già il 90% delle turbine. Ogni regione ha una capacità superiore ad almeno 1 GW, mentre la Puglia arriva addirittura a 2,7 GW. Per quanto riguarda l’offshore, i tratti di mare intorno alle coste italiane sono i più ventosi del Mediterraneo, sebbene non siano paragonabili al mare del Nord o all’Atlantico. In ogni caso, secondo l’Anev (Associazione nazionale energia del vento), l’Italia potrebbe rapidamente arrivare tra onshore e offshore a circa 2,5 GW di potenza, generando elettricità per 1,9 milioni di famiglie.

Tuttavia il nostro Paese sembra andare più a rilento di altre nazioni dell’Ue nella direzione dell’eolico, soprattutto per quanto riguarda l’offshore, visto che il primo ed unico impianto in mare è stato inaugurato ad aprile 2022 a Taranto. Il Piano Nazionale Energia e Clima (Pniec) presentato dal governo prevede in teoria un obiettivo per l’eolico offshore di 900 MW al 2030. Obiettivo, peraltro, da rivedere al rialzo. Eppure, anche considerando gli impianti onshore, la potenza eolica installata in Italia al 30 giugno 2021 (ultimo dato disponibile fornito da Terna) è di circa 11 GW. Ciò significa che in due anni e mezzo è stato installato poco meno di 1 GW e abbiamo appena 3 GW in più rispetto a quasi dieci anni fa, con una crescita di soli 354 MW nell’ultimo anno.

Il nostro Paese cresce molto di meno rispetto agli altri Paesi. A farlo notare è ancora Anev, che sottolinea come nel 2021 a livello globale il tasso di crescita delle installazioni di nuove pale eoliche è stato del 13%, contro il 14% del 2020 e il 10% del 2019. In Italia nello scorso anno si sono installati appena 0,3 GW di eolico in più: un dato che ci pone di poco sopra rispetto al Giappone, fanalino di coda del mondo industrializzato a livello mondiale con 0,2 gw di eolico in più. È la Cina il paese leader nel mondo nell’energia eolica: nel 2021 ha installato 55,8 GW di nuova potenza, battendo il suo record del 2020 di 52 GW. Il paese asiatico ha oggi turbine eoliche per 346 GW. Seguono gli Stati Uniti con 12,5 nuovi gigawatt (135 GW complessivi): una crescita robusta, ma inferiore ai 17 GW del 2020. Al terzo posto in classifica c’è il Brasile, con 3,4 gigawatt in più nel 2021 (+18,6%) e una potenza complessiva di 21,8 GW.

Il problema delle autorizzazioni

Il motivo principale dei ritardi italiani, secondo Legambiente, è la lentezza delle autorizzazioni. Ci sarebbero, spiega l’associazione in un recente rapporto, 1400 progetti per l’eolico e il fotovoltaico ancora al palo in Italia. A Terna sono pervenute nel 2021 richieste di autorizzazione per impianti eolici e solari sulla terraferma pari a 130 GW e 22,7 GW per parchi eolici offshore. E nella maggior parte dei casi ha già dato il parere positivo per l’allacciamento alla rete elettrica.

Il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani ha precisato che spesso si tratta di progetti che si sovrappongono, perché riguardano lo stesso territorio. I tassi di crescita dell’eolico in Italia sono comunque troppo bassi e alcuni recenti casi dimostrano come il meccanismo si inceppi nel giro di autorizzazioni da parte di regioni, soprintendenze e valutazioni di impatto ambientale. La mancanza di regole chiare porta addirittura le autorità competenti a entrare in contrasto tra di loro, rallentando il processo decisionale. Così dai sei mesi previsti dalla normativa per dare il via libera a un impianto eolico si arriva intorno ai cinque anni.

Un esempio è stato il dibattito sulla definizione “near-shore” per gli impianti realizzati nella fascia dell’entroterra a meno di 3 km dalla costa o sul mare ad una distanza di 7-10 km dalla costa. Il riconoscimento di questa categoria “ibrida” ipotizzata dal comune di Taranto avrebbe reso autorità competenti per le autorizzazioni di molti impianti in mare le regioni e non i ministeri coinvolti (infrastrutture, sviluppo economico e ambiente), ma due sentenze del Tar e del Consiglio di Stato hanno bocciato questa tesi, in quanto l’unica distinzione riconosciuta dal legislatore è tra terraferma e mare.

L’impatto paesaggistico e ambientale dell’eolico

Naturalmente installare dei parchi eolici in terraferma e mare non è neppure una cosa che si può fare con superficialità perché l’impatto sull’ambiente deve essere ridotto al minimo. Se un parco eolico onshore ha un impatto maggiore dal punto di vista paesaggistico, ma può essere smantellato senza lasciare traccia in sei mesi, questo è particolarmente vero per l’offshore, dove è necessario minimizzare le modifiche dell’habitat bentonico (organismi acquatici).

Dal punto di vista dell’economia circolare, inoltre, ci sono ancora molti miglioramenti da fare, perché la struttura portante delle turbine è composta per il 60% di acciaio, che quasi sempre finisce in discarica. E anche quando viene riciclato ha comunque un costo indiretto in emissioni di carbonio sia per il processo di fusione sia perché viene quasi sempre esportato in altre zone del mondo. Inoltre, più aumenteranno le turbine, maggiore sarà la richiesta di magneti permanenti come il neodimio, un metallo fondamentale per farle funzionare.

La componente delle turbine più difficile da riutilizzare, tuttavia, è rappresentata dalle pale, che sono realizzate con materiali in fibra di vetro difficili da riciclare. Secondo un’analisi fatta da Catapult, le turbine sono responsabili del 50% delle emissioni di carbonio del ciclo di vita dell’eolico e se si riuscisse a migliorarne il riciclo sarebbe possibile ridurre di almeno il 35% le emissioni di carbonio equivalenti per kWh, legate alle materie prime utilizzate nella loro costruzione. Nonostante ciò, l’energia eolica resta una delle fonti di energia con la minore impronta di carbonio e produce elettricità a zero emissioni.

Problemi tecnologici e come affrontarli

Non sono gli unici problemi legati all’utilizzo esteso dell’energia eolica. Gli impianti offshore sono sicuramente più costosi, ma questo non sarebbe un ostacolo insormontabile perché i costi per l’installazione dei parchi eolici è crollato rispetto al passato e può essere attutito grazie alla produttività più alta dovuta al maggior vento e alle turbine più grandi. Servirebbero lavoratori con qualifiche specifiche per gestirli, e non sempre ci sono, ma è comunque possibile formarli.

Sono necessari, tuttavia, elettrodotti da collegare alla rete nazionale con cavi sottomarini e infrastrutture di supporto. Le condizioni climatiche imprevedibili del mare, inoltre, non permettono di spingersi troppo a largo, dove le correnti marine mettono in pericolo la tenuta delle strutture. Anche se le più recenti tecnologie, basate sull’utilizzo di piattaforme galleggianti, permettono l’istallazione di impianti in aree dove le batimetrie elevate non permettevano la progettazione di turbine con fondamenta fisse, ampliando notevolmente le potenzialità di utilizzo dell’energia eolica nei mari.

Una volta che si ricava l’energia elettrica, tuttavia, bisogna anche immagazzinarla e da come ci si riuscirà a farlo dipende molto del successo della transizione ecologica. Nei momenti di massimo funzionamento, infatti, gli impianti eolici potrebbero produrre più energia della capacità di assorbimento della rete: in pratica c’è più elettricità di quella che serve. La soluzione più semplice che verrebbe in mente sono le batterie, ma il 99% dell’energia eolica è immagazzinata attraverso i sistemi di pompaggio idroelettrici, che si basano fondamentalmente su bacini d’acqua sopraelevati.

Quando c’è bisogno di energia, l’acqua viene trasportata a valle e trasformata in elettricità dalle turbine. Quando, invece, i parchi eolici producono un eccesso di elettricità l’energia viene utilizzata per pompare nuovamente l’acqua verso il bacino, che si “ricarica”, funzionando come una batteria meccanica gigante. Naturalmente, è necessario avere a disposizione abbondanza d’acqua e un terreno sopraelevato e questo a volte è un problema per i parchi eolici offshore vicini a coste pianeggianti. In questo caso, l’unica soluzione resta un sistema di batterie simile ai powerwall domestici, naturalmente in scala più grande.

Leggi anche: Dentro il cantiere della pala eolica riciclabile più grande del mondo

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