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mercoledì, Gennaio 8, 2025

Tutte le sfide ambientali che dovrà affrontare il governo Meloni

Tra pochi giorni la vincitrice indiscussa delle elezioni del 25 settembre, cioè Giorgia Meloni, dovrebbe insediarsi a Palazzo Chigi. Sul tavolo troverà parecchi nodi irrisolti: dal piano di adattamento al deposito delle scorie nucleari fino al piano di gestione dei rifiuti e alle comunità energetiche

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Redazione EconomiaCircolare.com

Questioni di giorni per la nascita del governo Meloni: l’ampia maggioranza ottenuta dal centrodestra in generale e da Fratelli d’Italia in particolare dovrebbe garantire alla leader di Fdi l’ambito traguardo della prima donna premier della storia d’Italia. In questi giorni Meloni, a leggere le indiscrezioni dei giornali, è impegnata a tempo pieno per garantire la formazione di alto livello nella lista dei nomi che dovrebbero far parte del “suo” governo, in modo che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella possa poi approvarne le preferenze e dare così il via alla formazione del nuovo governo.

Dal punto di vista ambientale, però, si è parlato poco delle preferenze e delle possibili indicazioni di Meloni. Negli scorsi giorni alcuni giornali hanno indicato una possibile riconferma dell’attuale ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani, anche se l’interessato finora ha smentito. Eppure si tratta di una nomina cruciale. Sono tante e complesse, infatti, le sfide ambientali che il nuovo governo dovrà affrontare. Tra questioni irrisolte, rinvii su rinvii e decisioni da assumere.

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Piano di adattamento climatico

“Aggiornare e rendere operativo il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici”: una sola frase ma secca e decisa quella dedicata dal programma elettorale di Fratelli d’Italia a una delle questioni più importanti per il nostro Paese, come ha confermato il recente dramma delle Marche. Elaborato nel 2017 dall’allora ministero dell’Ambiente (che nel frattempo ha cambiato nome), il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc) era giunto a termine dopo una consultazione pubblica.

Ma adesso il Pnacc avrebbe bisogno di una nuova revisione, data la velocità con cui la crisi climatica colpisce, oltre che di una accelerazione nell’adozione di un atto che si fa sempre più necessario e invocato da una miriade di associazioni, tra cui A Sud. Secondo gli ultimi dati di Legambiente, da gennaio a luglio 2022 si sono registrati 132 eventi climatici estremi, il numero più alto degli ultimi dieci anni. Sarà la volta buona per agire?

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Deposito delle scorie nucleari

Tra tutte le questioni ambientali è quella che si trascina da più tempo. Sull’individuazione di un deposito per le scorie nucleari, vale a dire un sito dove stoccare i rifiuti radioattivi italiani di bassa e media attività (attualmente sparsi per l’Italia) e quelli ad alta intensità (che oggi vengono esportati all’estero), anche uno scorso governo di centrodestra dovette fare i conti con l’opposizione della popolazione di Scanzano Jonico, luogo scelto nel 2003 dall’allora governo Berlusconi.

Dopo la procedura di infrazione avviata dall’Unione europea, il nostro Paese ha cominciato, lentamente e tra mille dubbi, ad avviare il nuovo iter per individuare un nuovo sito. Peccato che la società di Stato che avrebbe dovuto occuparsi delle procedura, vale a dire Sogin, sia stata nel frattempo commissariata. Le inchieste de L’Espresso avevano messo in luce “un sistema di inefficienze, faide fra manager e appalti oscuri”. Un groviglio che servirà risolvere al più presto.

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Pnrr

Il tema del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è stato l’oggetto della prima vera polemica tra il presidente uscente Mario Draghi e la futura premier Giorgia Meloni a seguito del voto del 25 settembre. “Ereditiamo una situazione difficile: i ritardi del Pnrr sono evidenti e difficili da recuperare e siamo consapevoli che sarà una mancanza che non dipende da noi ma che a noi verrà attribuita anche da chi l’ha determinata”, ha detto la leader di FdI nel corso dell’esecutivo nazionale del partito.

Affermazioni immediatamente smentite da Draghi.”Non ci sono ritardi nell’attuazione del Pnrr: se ce ne fossero, la Commissione non verserebbe i soldi“, ha sottolineato il presidente del Consiglio nel corso della cabina di regia a Palazzo Chigi. Al di là del merito della questione – è comunque innegabile che l’Unione europea ha da poco versato la seconda tranche dei fondi del Next Generation Eu, segno che “i compiti” sono stati fatti – la partita resta fondamentale: vanno infatti completati i bandi sulle varie misure ancora da attuare e stabiliti i futuri decreti di assegnazione delle risorse sui progetti già approvati. Soprattutto bisognerà capire se Giorgia Meloni vorrà davvero provare a modificare l’intero impianto del Pnrr, come annunciato in campagna elettorale, ed eventualmente in che modo si confronterà su ciò con le istituzioni europee.

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Energia

Non ci sono dubbi che la partita più urgente e più preoccupante sia però un’altra, ed è quella relativa all’energia. La stabilità, se non addirittura la durata di questo governo dipenderanno dalle modalità con cui la squadra scelta da Meloni saprà affrontare il caro bollette per persone e aziende. Sia sui singoli casi che sulle questioni più ampie.

Tra le vicende legate a un unico impianto il caso più caldo, è proprio il caso di dirlo, è quello relativo al rigassificatore di Piombino: gran parte della risoluzione, in un senso o nell’altro, passa dal confronto/scontro tra il sindaco della città toscana (Francesco Ferrari, esponente proprio di FdI), contrario all’installazione della nave di Snam, e il partito di Fratelli d’Italia che a livello nazionale spinge invece per l’avvio immediato dell’opera.

Più in generale il governo dovrà decidere se intende avviare una nuova rete di gasdotti per affrontare la crisi energetica in atto e raggiungere l’aumento della produzione nazionale di gas, tra l’avvio ormai imminente di Argo-Cassiopea in Sicilia e lo snodo di Sulmona in Abruzzo, su cui il presidente della Regione Marco Marsilio (sempre di FdI) ha manifestato più volte il proprio parere positivo. Ma come la pensa il partito a livello nazionale è difficile appurarlo, dato che il programma elettorale è molto vago.

Allo stesso tempo resta da capire quanto si vorrà sostenere il nucleare di quarta generazione, così come annunciato sempre sul programma elettorale di FdI, e allo stesso modo come si vorrà supportare la transizione energetica basata sulle energie rinnovabili. Finora, infatti, le misure intraprese dal ministro Cingolani non hanno convinto gli operatori del settore, che continuano a lamentare ritardi e ostruzionismi.

Al netto poi degli annunci, restano al palo anche le comunità energetiche, che invece avrebbero potuto essere uno degli strumenti più potenti ed efficaci per affrontare le bollette alle stelle. Oltre alla garanzia per ampie fette della popolazione di un’energia verde e democratica. Previste dal decreto Milleproroghe del febbraio 2020, a più di due anni e mezzo di distanza mancano ancora i decreti attuativi, e ciò ne ha finora limitato fortemente le potenzialità. Una mancanza sempre più urgente da colmare.

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Cop27

Sarà uno dei primi appuntamenti internazionali al quale il nuovo esecutivo di destra prenderà parte. La Cop27, l’annuale conferenza Onu sui cambiamenti climatici, quest’anno è ancora più delicata per via della guerra in Ucraina che, come ha dimostrato il recente sabotaggio del gasdotto Nord Stream e la conseguente fuga di metano, allontana gli obiettivi di decarbonizzazione degli Stati.

Ad amplificare ulteriormente le difficoltà c’è il fatto che la Cop si terrà in Egitto, un Paese notoriamente autoritario (come purtroppo ci ha insegnato l’assassinio del ricercatore Giulio Regeni) e fortemente basato sul gas: lo sa bene proprio l’Italia dato che Eni possiede il giacimento Zhor, il più grande del Mediterraneo. Quale sarà la direzione che si vorrà intraprendere? Si sceglierà di tenere un profilo basso?

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Procedure di infrazione

Tante, tantissime, e costosissime: sono le procedure di infrazione avviate dall’Unione europea nei confronti dell’Italia. Le più rimarchevoli riguardano proprio la sfera ambientale (16 sulle 85 totali), come racconta L’Espresso. A colpire da esempio è la procedura relativa alle 200 discariche abusive: ad oggi è stata pagata una sanzione da oltre 230 milioni di euro, con il contenzioso che, secondo il ministro Cingolani, dovrebbe chiudersi nel 2024 grazie (anche) ai fondi del Pnrr.

Sarà un impegno che il prossimo governo saprà rispettare? Non va meglio sul fronte delle acque reflue urbane, dove le procedure di infrazione sono  4, e sulla qualità dell’aria, dove le procedure si “limitano”, si fa per dire, a 3 per inquinanti pericolosi come il PM10, il PM2.5 e il biossido di azoto.

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Deposito cauzionale

Fatta la legge, manca il decreto attuativo: a quanto pare è una costante delle leggi ambientali. Succede anche con il deposito cauzionale, noto anche con la sigla DRS (Deposit Return System o Scheme), che sintetizza il sistema di raccolta selettiva nel quale chi compra una bevanda in bottiglia o in lattina paga un piccolo extra che gli sarà restituito quando avrà riportato indietro il contenitore.

A luglio 2021 un emendamento al decreto Semplificazioni del luglio 2021, poi convertito in legge, aveva aperto all’introduzione di un sistema di deposito cauzionale per imballaggi di bevande anche in Italia. Il problema è che da allora si attende ancora il decreto attuativo da parte del Ministero della Transizione ecologica. Mentre sta per compiere un anno l’appello, finora inascoltato, delle 15 sigle dell’associazionismo che premono affinchè anche l’Italia raggiunga al più presto i target europei in materia di raccolta differenziata e riciclo di bottiglie di plastica, lattine e simili, favorendo in questo settore la transizione verso un’economia circolare.

Come abbiamo già raccontato su EconomiaCircolare.com in un lungo e approfondito Speciale, secondo un recente studio della piattaforma Reloop, in Italia sono oltre 7 miliardi i contenitori per bevande che ogni anni sfuggono al riciclo. Oltre allo spreco, il danno in termini ambientali è enorme e potrebbe essere ridotto dell’80% attraverso l’introduzione di un sistema di deposito efficiente. A titolo di esempio si consideri l’attuale sistema di raccolta differenziata del PET, che permette di intercettare soltanto il 58% dei rifiuti, ben lontano dall’obiettivo del 90% chiesto dall’Europa.

Plastic tax

Dovrebbe entrare in vigore nel gennaio 2023 ma, visti i precedenti, il condizionale è fortemente consigliato. Si tratta della plastic tax, cioè l’imposta sul consumo dei manufatti con singolo impiego, indicati come MACSI, che hanno o sono destinati ad avere funzione di contenimento, protezione, manipolazione o consegna di merci o di prodotti alimentari. Insieme alla sugar tax, la plastic tax, nelle intenzioni di chi la introdusse con la Legge di Bilancio 2020, mira a ridurre il monouso. Le buone intenzioni, però, sono rimaste finora lettera morta.

Il programma di Fratelli d’Italia, d’altra parte, nemmeno cita la misura, segno che non si tratta quantomeno di una priorità che Meloni vorrà affrontare. Di rinvio in rinvio sino alla cancellazione finale, parafrando un noto aforisma dello scrittore cilenlo Luis Sepulveda? Dopo il governo Conte II e il governo Draghi, anche il governo Meloni si accoderà alla volontà di non inimicarsi la potente lobby della plastica?

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Epr tessile

Anche quando il nostro Paese riesce a distinguersi positivamente non riesce a farlo fino in fondo. È quel che è avvenuto ad esempio con il tessile. Da una parte, infatti, ha anticipato di ben tre anni rispetto alle indicazioni europee la sfida della raccolta differenziata dei rifiuti tessili, facendo partire l’obbligo della raccolta dall’1 gennaio 2022. Dall’altra non ha ancora regolamentato il sistema EPR (la responsabilità estesa del produttore) per questa tipologia di rifiuti.

Nel frattempo sono già sorti tre consorzi che si candidano a gestire collettivamente – come accade per gli imballaggi, i Raee, i penumatici – gli obblighi previsti per i rifiuti tessili. Il pessimismo da parte degli operatori è diffuso. Come ci ha raccontato Andrea Fluttero, presidente dell’Unione delle Imprese Raccolta Riuso e Riciclo dell’Abbigliamento Usato (Unirau), “coi tempi che corrono, col governo che si deve formare e con tutti gli sforzi fatti sul PNRR, non credo ci sarà un decreto EPR tessile in tempi troppo ravvicinati”. Chissà se verrà smentito.

Leggi anche: Karina Bolin (Rete ONU): Sull’EPR tessili l’Italia aspetti l’Europa

Piano nazionale di gestione dei rifiuti

Concludiamo questa carrellata sulle sfide ambientali che dovrà affrontare il governo Meloni con uno dei temi più complessi, che ha provocato problemi a livello locale, regionale e nazionale e che ha messo in crisi giunte di destra, sinistra, centro e movimentiste. La gestione dei rifiuti in Italia è notoriamente spesso un pantano in cui, accanto a gestioni efficaci e innovative, si accompagnano numerose carenze infrastrutturali, specie al Sud.

Da questo assunto parte il Programma Nazionale per la Gestione dei Rifiuti (PNGR), approvato dal MiTe lo scorso giugno. Il Piano vale per gli anni che vanno dal 2022 al 2028 e, elemento importante per il prossimo governo, la sua revisione può essere anticipata “a seguito di modifiche normative, organizzative e tecnologiche intervenute nello scenario nazionale e sovranazionale”. In più uno degli ultimi atti del governo Draghi riguarda l’introduzione dei poteri sostitutivi “al fine di accelerare gli iter autorizzativi degli impianti per il trattamento dei rifiuti, collegati all’attuazione del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) e individuati dal PNGR (Programma Nazionale per la Gestione dei Rifiuti)”. Ciò significa che questi impianti diventano “interventi di pubblica utilità, indifferibili e urgenti”, con lo Stato che potrà sopperire alla (presunta) inerzia delle Regioni. Un vero e proprio assist, quello offerto da Draghi, per un governo che si preannuncia decisionista. L’ambiente ringrazierà o i territori dovranno subire nuovi espropri di potere?

Leggi anche: È possibile una gestione di prossimità dei rifiuti? Il MiTe ci prova con il PNGR e gli “impianti minimi”

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