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giovedì, Maggio 16, 2024

Al vertice di Praga i nodi dell’Europa sull’energia: è arrivato il momento di una politica comune?

Con il vertice di Praga, aperto anche agli Stati extracomunitari, l'Unione europea prova a risolvere lo stallo dell'energia. L'Italia critica il passo in avanti della Germania e invoca azioni unitarie. Mentre la Commissione propone due "price cap"

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Redazione EconomiaCircolare.com

Dopo la pandemia venne l’energia: potrebbe sintetizzarsi così l’attuale momento storico. Se però le difficoltà relative al contenimento del Covid-19 riguardavano l’intero globo, quelle relative alle questioni energetiche, esplose dopo la guerra mossa dalla Russia nei confronti dell’Ucraina a febbraio di quest’anno, si concentrano più sull’Europa. Il Vecchio Continente, come è ormai noto, negli anni scorsi si è legato alle forniture a buon mercato del regime autoritario di Vladimir Putin, e ora fatica a uscire da questa dipendenza. Da mesi è in discussione un piano energetico comune per affrontare un inverno che si annuncia particolarmente difficile.

Lo spettro sempre più imminente parla di razionamenti del gas, mentre la realtà quotidiana è già ora costellata di prezzi stratosferici delle bollette, inflazione alle stelle e una recessione data per certa dagli esperti. L’autunno è cominciato e all’orizzonte non si vedono soluzioni immediate. Ecco perché c’è molta attesa sul vertice di Praga, dove si tiene il consiglio informale convocato dall’Unione europea: una due giorni di riunioni, organizzata dalla presidenza di turno affidata alla Repubblica Ceca (ma teorizzata per primo dal presidente francese Emmanuel Macron), che vede partecipare 44 esponenti di governi e stati. Con un allargamento extra-Eu – dal Regno Unito alla Georgia e all’Ucraina fino all’Armenia e all’Azerbaigian – e la scontata esclusione di Russia e Bielorussia.

Dopo il piano RePower EU, il Consiglio europeo dell’Energia e le raccomandazioni della Commissione europea, sarà la volta buona per una politica energetica comune? I segnali non sono incoraggianti.

Leggi anche: Dal prezzo del gas alla riduzione dei consumi: ecco di cosa si discute al Consiglio europeo dell’energia

Energia, chi fa da sé fa per tre?

Ogni crisi è, anche, lo svelamento di realtà spesso note che però non si vogliono o non si sanno affrontare. Un assunto ancor più vero con la questione energetica, in cui è emerso in maniera preponderante che a decidere delle sorti comuni dell’Unione europea sono, ancora, le volontà dei singoli Stati. L’incapacità di tessere una politica solidale è stata resa evidente dalla recente decisione della Germania di un piano triennale da circa 200 miliardi di euro per ridurre il costo delle bollette.

Si tratta di una sorta di fuga in avanti, da parte dello Stato che contemporaneamente è il più dipendente dal gas russo e quello con i conti pubblici più in ordine (e quindi può permettersi di creare nuovo debito per sostenere persone e imprese). Una scelta, quella tedesca, che non è stata apprezzata dalle istituzioni comunitarie: in una lettera aperta il commissario europeo agli Affari economici Paolo Gentiloni e del commissario al Mercato interno Thierry Breton si sono chiesti “come faranno i paesi europei che non hanno la stessa disponibilità fiscale a sostenere imprese e famiglie?”.

Ancor più netta, poi, è stata la lettera, datata 5 ottobre, della presidente della Commissione europea Ursula Von Der Leyen. Dopo aver sferzato gli Stati membri, chiedendo ancora una volta unità, sul tavolo di Praga si discuterà di una nuova proposta della Commissione sulla necessità di instaurare non uno ma ben due “price cap”, cioè il tetto al prezzo del gas di cui tanto si è discusso, a seguito della sua ideazione da parte del premier italiano Mario Draghi, ma che ancora resta pura teoria.

Per Von Der Leyen il primo price cap sarebbe un tetto massimo alle importazioni di gas che “dimostrerebbe che l’Ue non è pronta a pagare qualsiasi prezzo per il gas”; il secondo costituirebbe un tetto temporaneo al prezzo del gas utilizzato per la produzione di energia elettrica. Due misure ponte, in attesa di riforme strutturali da una parte del mercato del gas, che attualmente fa riferimento al TTF di Amsterdam, e dall’altra del mercato elettrico, i cui prezzi sono decisi dalle oscillazioni del gas.

Allo stesso tempo la Commissione europea ribadisce la necessità di negoziare con “fornitori affidabili”, come Stati Uniti e Norvegia, per ridurre il prezzo delle importazioni del gas naturale liquefatto (GNL), invita le aziende a” intensificare il loro lavoro per l’acquisto congiunto di gas” in maniera tale da evitare che la concorrenza tra di esse faccia salire ulteriormente i prezzi del gas, e introduce la possibilità di poter ulteriormente aumentare i fondi messi a disposizione con il RePower Eu. Basterà?

Leggi anche: Perché il prezzo del gas non tornerà quello di prima. Il report della Commissione europea

La partita italiana sull’energia

Come arriva l’Italia a questo snodo cruciale? Con un cambio di governo che rende inevitabilmente più deboli le richieste che avanzerà il premier Mario Draghi. D’altra parte la scelta della Germania di “andare da sola” sul caro bollette si era attirata le critiche dell’ex governatore della Banca d’Italia.

“Davanti alle minacce comuni dei nostri tempi, non possiamo dividerci a seconda dello spazio nei nostri bilanci nazionali» ha detto Draghi, aggiungendo che nei prossimi Consigli europei i Paesi Ue devono mostrarsi “compatti, determinati, solidali proprio come lo siamo stati nel sostenere l’Ucraina”. Ed è innegabile che nonostante l’apprezzato profilo internazionale, neppure Draghi sia riuscito a far convergere i 27 Stati membri dell’Unione sul tetto al prezzo del gas, proposta alla quale il premier lavora da più di sei mesi.

Così non sorprendono le indiscrezioni secondo cui la futura premier Giorgia Meloni sul tema dell’energia intenda muoversi in completa continuità con il governo uscente. Tanto da pensare addirittura di riconfermare l’attuale ministro alla Transizione Ecologica Roberto Cingolani. Il post sui social di ieri di Giorgia Meloni sostiene tra le altre cose che “la  crisi energetica è una questione europea e come tale deve essere affrontata”, che le “azioni di singoli Stati tese a sfruttare i propri punti di forza rischiano di interferire nella competitività delle aziende e creare distorsioni nel mercato unico europeo” e che lo scopo del nuovo governo è di “contrastare i fenomeni speculativi e gli ingiustificati aumenti del costo dell’energia” nonché di appoggiare “ogni iniziativa condivisa di concreto aiuto a famiglie e imprese”. Di fronte la complessità e l’urgenza di questo momento storico, insomma, anche il sovranismo fa un passo indietro.

Leggi anche: Tutte le sfide ambientali che dovrà affrontare il governo Meloni

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