Un comunicato congiunto per sostenere, in maniera un po’ trionfalistica, che riparte la “politica mineraria del Paese”: così Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE) e Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT) hanno annunciato il 20 giugno il decreto legge sulle materie prime critiche, approvato dall’intero consiglio dei ministri. Atteso da tempo, il testo intende adeguare la normativa nazionale sul settore minerario agli obiettivi e agli standard europei previsti dal regolamento europeo noto come Critical Raw Materials Act.
Ad annunciarne i dettagli in una conferenza stampa sono stati i titolari del MASE, Gilberto Pichetto Fratin, e del MIMIT, Adolfo Urso, con quest’ultimo che ha presentato anche il disegno di legge sulla space economy, ponendo l’accento principalmente sulle estrazioni minerarie senza parlare di miniere urbane e di economia circolare. Il decreto legge ha una dotazione iniziale di un miliardo di euro e, nelle anticipazioni di stampa, è composto da 15 articoli.
Adesso si attende il passaggio del testo alla Camere, per la conversione in legge e successivamente la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Il governo si aspetta che le prime miniere a terra possano riaprire dal 2026 in poi, coerentemente con i tempi indicati dal decreto. Di più: il ministro Urso ha parlato di progetti di estrazioni che sarebbero già pronti a essere inoltrati alla Commissione europea.
Leggi anche: Il regolamento sulle materie prime critiche, le criticità da colmare e i ritardi dell’Italia
Cosa prevede il decreto legge sulle materie prime critiche
Lo accennavamo prima: il decreto legge ha lo scopo di rilanciare il settore minerario italiano, praticamente inesistente negli ultimi decenni. La storia mineraria italiana si è infatti interrotta attorno agli anni ‘70 del Novecento, dato che le miniere avevano un altissimo impatto ambientale, costituivano un terribile ambiente di lavoro (si pensi alla strage della miniera di Ribolla del 1954 che costò la vita a 43 persone) e si rivelarono economicamente insostenibili. A proposito di sostenibilità, nel trittico che tanto piace alla destra (ambientale, sociale ed economica), per i nuovi progetti estrattivi si prevedono procedure semplificate per gli iter autorizzativi, a patto che tali progetti siano definiti strategici.
Come previsto dal regolamento europeo, un progetto per essere definito strategico deve essere validato dalla Commissione Europea. Una volta ottenuto il sigillo da parte dell’esecutivo Ue, sarà lo Stato a rilasciare le autorizzazioni necessarie. Nel decreto legge si prevede che sarà il MASE l’amministrazione competente per ogni titolo relativo all’estrazione e alle autorizzazioni al riciclo di materie prime critiche strategiche: le tempistiche per la durata della procedura non possono superare rispettivamente i 18 e 10 mesi. Al MIMIT spetterà invece la procedura autorizzativa relativa alla trasformazione di materie prime critiche strategiche, per una durata massima di dieci mesi.
Il decreto legge prevede inoltre l’istituzione, presso il Ministero delle Imprese e del Made in Italy, del Comitato tecnico permanente per le materie prime critiche e strategiche, al quale è affidato il monitoraggio delle catene di approvvigionamento, oltre alla predisposizione di un Piano Nazionale delle materie prime critiche. Sono stati individuati, inoltre, tre “punti unici di contatto“. I primi due presso il MASE per la presentazione delle istanze relative a progetti di estrazione e riciclo; il terzo è istituito presso il MIMIT per la presentazione dei progetti strategici aventi a oggetto la trasformazione.
Ancora il MIMIT – che si conferma principale regista del decreto legge – dovrà analizzare i fabbisogni, monitorare le catene del valore ed eseguire eventuali prove di stress. Per farlo, sarà realizzato, in linea con il Critical Raw Materials Act, il Registro nazionale delle aziende e delle catene del valore strategiche con l’obiettivo di individuare le grandi imprese che operano sul territorio nazionale e che utilizzano materie prime strategiche in una serie di settori cruciali relativi alle batterie, agli aeromobili, ai dispositivi elettronici mobili e alle apparecchiature connesse alla robotica, alla produzione di energia rinnovabile e ai semiconduttori.
Leggi anche: L’UE adotta il regolamento sulle materie prime critiche. Con l’obiettivo dell’autonomia
Le estrazioni made in Italy
Che la regia del decreto legge sia più opera dell’ex ministero dello Sviluppo Economico (ora MIMIT) e meno dell’Ambiente (ora MASE), e cioè che l’approccio dell’intero testo è più legato alla produzione industriale che alla tutela ambientale, lo si nota anche dalla seconda parte del testo, legata principalmente alle estrazioni minerarie.
“Per il permesso di ricerca relativo a materie prime strategiche è esclusa la sussistenza di potenziali effetti significativi sull’ambiente e pertanto non è richiesta la procedura di verifica di assoggettabilità”, si legge nel testo. Non è prevista neppure la valutazione di incidenza nei casi in cui “la ricerca non eccede il periodo di due anni” e in tutti i casi in cui si fa riferimento a campionamenti esistenti. Ciò lascia presupporre che saranno privilegiate le vecchie miniere, i cosiddetti siti dimessi di cui hanno parlato in conferenza stampa anche i ministri Urso e Fratin. “Abbiamo alcune istanze per la produzione ma prima bisogna avere contezza dei giacimenti. Bisogna capire anche la convenienza rispetto ai costi negli altri Paesi europei rispetto all’estrazione di questo o quel materiale” ha detto Fratin. “Sul cobalto abbiamo dei grandi giacimenti, in particolare c’è una parte rilevante sull’Appennino tra Piemonte e Liguria. Poi si tratterà di valutare caso per caso le condizioni di estraibilità”.
Il provvedimento introduce anche un nuovo sistema di royalties per le concessioni minerarie di progetti strategici, che saranno corrisposte annualmente in favore dello Stato e della Regione interessata per i progetti sulla terraferma e sul mare, allo stesso modo di quel che avviene con le estrazioni fossili, in una forbice compresa tra il 5 e il 7% – il ministro Urso lo ha definito “il modello Basilicata”, facendo riferimento alle concessioni di petrolio.
Leggi anche: L’Italia punta al sovranismo delle estrazioni in mare? Musumeci: “Se compatibile coi fondali”
Il ruolo di ISPRA
Un ruolo centrale nelle estrazioni minerarie e più in generale sull’intero impianto delineato dal decreto legge sulle materie prime critiche è affidato a ISPRA, l’Istituto Superiore per la Protezione Ambientale. Ad esempio il testo partorito dai due ministeri prevede un Programma di esplorazione nazionale delle materie prime critiche che dovrà essere promosso da ISPRA entro il 24 maggio 2025 e sottoposto a riesame quinquennale come previsto dal Critical Raw Materials Act. In più un rappresentante di ISPRA farà parte del Comitato tecnico permanente per le materie prime critiche e strategiche. E ancora sarà ISPRA, insieme alla Soprintendenza territorialmente competente, ciascuna per i profili di competenza, a svolgere le funzioni di vigilanza e di controllo sui progetti di ricerca mineraria.
Soprattutto, come abbiamo già raccontato anche in passato, sarà fondamentale la Carta mineraria aggiornata – cioè la localizzazione e tutti i dati dei giacimenti noti (che sarà pubblicata entro fine luglio) nonché gli esiti delle ricerche già condotte da università ed enti di ricerca e quelli di nuove campagne di rilevamento e analisi – che dovrà essere pubblicata sul sito di ISPRA entro il 24 maggio 2025.
Inoltre, come spiega la stessa ISPRA, sarà sempre lo stesso ente ad avere una parte importante nel programma di esplorazione nazionale, indicato dall’art. 19 del Critical Raw Materials Act per ciascuno dei 27 Stati membri, e che prevede:
- a) mappatura dei minerali su scala idonea;
- b) campagne geochimiche, anche per stabilire la composizione chimica di terreni, sedimenti e rocce;
- c) indagini geognostiche, incluse le indagini geofisiche;
- d) elaborazione dei dati raccolti attraverso l’esplorazione generale, anche mediante lo sviluppo di mappe predittive”
Dopo l’elaborazione del programma nazionale, previsto entro marzo 2025, seguiranno rapporti annuali sullo stato di avanzamento come previsto dal regolamento europeo. È stata inoltre inserita una specifica norma sui rifiuti estrattivi, già catalogati nell’Inventario nazionale delle strutture di Deposito dei rifiuti estrattivi affidato ad ISPRA e oggetto di una specifico intervento del PNRR (dopo l’aggiornamento del REPowerEU) al fine di permetterne il trattamento come fonti di materie prime critiche di origine secondaria.
Leggi anche: Progetti finanziati dal PNRR poco ambiziosi sulle materie prime critiche
Tutta l’economia circolare (che non c’è) sulle materie prime critiche
Dove il decreto legge delude di più è sugli aspetti relativi all’economia circolare, che non viene mai menzionata nelle 12 pagine del testo redatto dal governo (ripetiamo che abbiamo consultato una bozza, che però non è stata smentita), e sul quale si spera che sappia intervenire il parlamento. Nessuna menzione neppure dell’urban mining, cioè sull’estrazione urbana che consente di recuperare materie prime critiche da rifiuti noti a tutti come i RAEE, i rifiuti elettrici ed elettronici come smartphone, lavatrici e tablet. Come ha ricordato un recente studio di Erion, “nonostante gli sforzi compiuti nell’ambito dell’economia circolare oltre l’87% del consumo di risorse nell’Unione europea dipende ancora da materie prime vergini. Ad oggi, purtroppo, i modelli di business innovativi dell’economia circolare in Europa registrano una penetrazione media tra il 5-10%. I materiali riciclati rappresentano solo l’8,6% dei materiali in ingresso e la quota di rigenerazione di prodotti rispetto alla nuova produzione è ferma all’1,9%”.
In conferenza stampa il ministro Fratin si è limitato a generici riferimenti sull’economia circolare, parlando semplicemente di “rifiuti”, di “riciclo dei RAEE” ed elencando le materie prime critiche contenute nei pannelli fotovoltaici, nelle turbine eoliche e nelle batterie elettriche; ma senza dare alcuna indicazione precisa su come ricavare tali risorse senza ricorrere all’estrazione. Da parte propria il ministro Urso ha aggiunto soltanto a mò di slogan che “qui in Italia sappiamo come fare riciclaggio, avendo un’industria particolarmente significativa”.
Così ci si deve accontentare dell’art.9 del decreto legge, intitolato “Norme per il recupero di risorse minerarie dai rifiuti estrattivi”, in cui si fa riferimento esclusivamente a siti preesistenti. Qui si riporta ad esempio che “l’estrazione di sostanze minerali nelle strutture di deposito di rifiuti estrattivi, chiuse o abbandonate, per le quali non è più vigente il titolo minerario, può essere concessa solo a seguito dell’elaborazione, da parte dell’aspirante concessionario, di uno specifico Piano di recupero di materie prime dai rifiuti di estrazione storici. Il Piano di recupero deve dimostrare la sostenibilità economica ed ambientale dell’intero ciclo di vita delle operazioni, compresa la gestione degli sterili di lavorazione”. Il rischio, insomma, è che a siti già impattati da attività industriali pesanti possano sommarsi ulteriori attività. Non proprio la migliore delle garanzie ambientali e circolari.
Leggi anche: Erion: sistemi EPR per ridurre rischi approvvigionamento delle materie prime
© Riproduzione riservata