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venerdì, Dicembre 13, 2024

Il ritorno delle estrazioni minerarie in Italia nella mappa di ISPRA

Col database GEMMA è possibile consultare le vecchie miniere sparse per il Paese - con alcune di queste dove è possibile riprendere le estrazioni - e i nuovi permessi di ricerca. Si tratta del primo passo del programma minerario nazionale che dovrà elaborare ISPRA. "Col riciclo non c'è contrapposizione"

Andrea Turco
Andrea Turco
Giornalista freelance. Ha collaborato per anni con diverse testate giornalistiche siciliane - I Quaderni de L’Ora, radio100passi, Palermo Repubblica, MeridioNews - e nazionali. Nel 2014 ha pubblicato il libro inchiesta “Fate il loro gioco, la Sicilia dell’azzardo” e nel 2018 l'ibrido narrativo “La città a sei zampe”, che racconta la chiusura della raffineria di Gela da parte dell’Eni. Si occupa prevalentemente di ambiente e temi sociali.

Sardegna e Nord Italia, soprattutto attorno alle Alpi, poi in ordine sparso un po’ di Sicilia e varie zone dell’Appennino: sono le zone dove è possibile, se non probabile, che possano esserci estrazioni minerarie in Italia. A dirlo è l’Istituto Superiore per la Protezione Ambientale (ISPRA), che nei giorni scorsi ha presentato la mappa delle risorse minerarie nazionali contenute nel database GeMMA (Geologico, Minerario, Museale e Ambientale). La banca dati, aggiornata nell’ambito del progetto PNRR GeoSciencesIR, rappresenta il punto di partenza per l’elaborazione del programma minerario nazionale, imposto dal regolamento europeo noto come Critical Raw Materials Act e affidato all’ISPRA con il decreto legislativo n°84/2024.

“L’estrazione di minerali metalliferi, che rappresentano la maggior parte dei materiali critici, ha interessato circa 900 siti ed è attualmente inesistente – scrive ISPRA in una nota stampa – In Italia non vengono, per ora, estratti critical raw materials metallici e per la loro fornitura il nostro Paese è totalmente dipendente dai mercati esteri. Alla luce delle nuove tecniche di esplorazione e dell’andamento dei prezzi di mercato, molti dei depositi conosciuti andrebbero rivalutati”.

Dopo aver seppellito, è proprio il caso di dirlo, nella seconda metà del Novecento la stagione delle miniere, la doppia transizione ecologica e digitale pone anche il nostro Paese nella necessità di dover acquisire una maggiore autonomia sul fronte delle materie prime critiche. Per farlo, è la tesi dell’Unione Europea, bisognerà ricorrere nuovamente alle estrazioni nel Vecchio Continente. In maniera sostenibile, si intende, considerato che nel frattempo la tecnologia ha registrato notevoli passi in avanti, al netto del fatto che anche la sensibilità ambientale è notevolmente aumentata. Sarà possibile?

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Cosa e dove estrarre?

C’era una malcelata trepidazione nel workshop dello scorso 24 luglio con cui ISPRA ha illustrato a circa 200 persone, tra presenze dal vivo e online, il proprio ruolo nella strategia integrata tra le pratiche di economia circolare, il ricorso a una attività estrattiva sostenibile e il recupero di materie prime critiche e strategiche dalle discariche di rifiuti estrattivi abbandonati. Una sorta quasi di commozione per il ritorno dell’attenzione verso l’ingegneria mineraria, le scienze delle terra e le materie affini, che in questi anni hanno dovuto affrontare quasi una sorta di oblio.

“La ricerca degli anni precedenti ci ha permesso di non partire da zero ora che le materie prime critiche e strategiche sono diventate così cruciali per la transizione ecologica e digitale – ha detto il presidente dell’ISPRA Stefano Laporta – Questa è una materia delicata perché l’approviggionamento è indispensabile ed è ai primi posti delle agende politiche dei Paesi avanzati. L’unica soluzione è integrare le pratiche di economia circolare con un’attività estrattiva sostenibile. Da qui a 10 mesi ogni Stato membro, come sancito dal Critical Raw Materials Act, deve elaborare un programma di estrazione delle materie prime critiche all’interno dei propri confini. Ed è ISPRA che deve elaborare il programma nazionale di estrazione. Alle miniere bisognerà ricorrere nel medio e lungo termine, ecco perché con gli altri Stati membri stiamo predisponendo avanzati criteri di sostenibilità ambientale e sociale. Anche in Italia abbiamo un discreto quantitativo di materie prime critiche, nonostante quel che si afferma spesso”.

estrazioni italia 2

Il database GEMMA elaborato da ISPRA, che mette insieme la vecchia Carta Mineraria Italiana, e dunque la mappatura delle miniere esistenti dal 1870 al 2023, con i nuovi titoli minerari – concessioni, istanze di permesso e permessi -, intende promuovere la raccolta e l’armonizzazione di dati minerari pregressi relativi a tutti i giacimenti coltivati in passato e i risultati delle varie campagne di ricerca, nazionali e locali, con un particolare focus sulle materie prime critiche.

In totale, afferma ISPRA, “sono 76 le miniere ancora attive in Italia, 22 relative a materiali che rientrano nell’elenco delle 34 materie prime critiche dell’UE. In 20 di queste, si estrae feldspato, minerale essenziale per l’industria ceramica e in 2 la fluorite (nei comuni di Bracciano e Silius), che ha un largo uso nell’industria dell’acciaio, dell’alluminio, del vetro, dell’elettronica e della refrigerazione. In particolare, la miniera di fluorite di Genna Tres Montis (Sud Sardegna), che rientrerà in piena produzione al termine dei lavori di ristrutturazione, rappresenterà una delle più importanti d’Europa. Delle altre 91 miniere di fluorite attive in passato, alcune molto importanti – da rivalutare con i prezzi attuali quadruplicati rispetto al 1990 – sono localizzate nel bergamasco, nel bresciano ed in trentino, oltre a quelle sarde e laziali. Feldspato e fluorite, dunque, sono ad oggi le uniche materie prime critiche ad oggi coltivate in Italia, ma i permessi di ricerca in corso, i dati sulle miniere attive in passato e quelli sulle ricerche pregresse e recenti, documentano la potenziale presenza di varie materie prime critiche e strategiche come il litio, scoperto in quantitativi importanti nei fluidi geotermici tosco-laziali-campani e come diversi altri minerali da cui si producono metalli indispensabili per il modello di sviluppo decarbonizzato, la green tech, la transizione digitale e la indipendenza da paesi terzi”.

Si punta poi sui depositi di rame, un minerale essenziale per  tutte le moderne tecnologie, presente in quantità discrete nell’Appennino ligure-emiliano, nelle Alpi occidentali, in Trentino, nella Carnia e in Sardegna. Il manganese è invece presente soprattutto in Liguria e Toscana. “Il tungsteno è documentato soprattutto in Calabria, nel cosentino e nel reggino, nella Sardegna orientale e settentrionale e nelle Alpi centro-orientali, spesso associato a piombo-zinco – scrive ISPRA – Il cobalto è documentato in Sardegna e Piemonte, dove il deposito di Punta Corna è ritenuto di strategica importanza europea, la magnesite in Toscana e i sali magnesiaci nelle Prealpi venete. L’accertato giacimento di titanio nel savonese è questione ben nota, così come le problematiche ambientali che ne precludono l’estrazione a cielo aperto. Le bauxiti, principale minerale per l’estrazione di alluminio, sono invece localizzate in quantitativi modesti in Appennino centrale ma più consistenti in Puglia e soprattutto nella Nurra (SS), dove la miniera di Olmedo, ultima miniera metallifera a essere chiusa in Italia, è ancora mantenuta in buone condizioni. Le bauxiti di Olmedo, come le altre bauxiti, contengono possibili quantitativi sfruttabili di terre rare, che sono sicuramente contenute all’interno di buona parte dei depositi di fluorite, come nel caso di Genna Tres Montis. Possibili depositi di celestina, principale minerale dello stronzio, materiale critico dai molteplici usi, sono documentati nelle solfare siciliane, soprattutto del nisseno”.

Sul litio, come abbiamo raccontato anche su questo giornale (qui), si punta soprattutto sulla recente scoperta di importanti quantitativi di litio nei fluidi geotermici tosco-laziali-campani: attualmente risulta che soltanto la Regione Lazio ha rilasciato sette permessi di ricerca, ma c’è da aspettarsi un aumento delle ricerche nelle zone già citate, fino all’Abruzzo e (forse) alla Puglia. Di fondamentale interesse per le nuove tecnologie, infine, sono i depositi di grafite, precedentemente estratti per coloranti, lubrificanti e per la fabbricazione delle matite. I depositi noti sono localizzati nel torinese (attualmente interessati da due permessi di ricerca), nel savonese e nella Sila.

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L’importanza dei rifiuti estrattivi

Allo scopo di rilanciare il settore minerario italiano, e in modo che non il nostro Paese non diventi soltanto terra di conquista per multinazionali estere con capitali notevoli e competenze riconosciute, l’obiettivo del governo Meloni e del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica è di prevedere per i progetti strategici procedure di autorizzazioni non più lunghe di 18 mesi per le estrazioni e 10 mesi per il riciclo, così come stabilito dal recente decreto legge sulle materie prime critiche (che abbiamo affrontato qui). Al workshop del 24 luglio era presente anche la viceministra del MASE Vannia Gava, che ha tenuto il punto proprio su questo aspetto.

“Siamo un Paese, lo sappiamo, con poche risorse naturali e trasformatore – ha affermato – Abbiamo un gap che stiamo colmando, nel PNRR abbiamo stanziato 600 milioni di euro per recuperare materie prime critiche come ad esempio dai RAEE. A fine 2023 abbiamo ottenuto altri 50 milioni dal REPower Eu per affidare a ISPRA la ricerca di materie prime critiche  dai rifiuti delle miniere estrattive. C’è bisogno di implementare la logistica, soprattutto per quel che riguarda i RAEE. Dobbiamo essere sempre meno dipendenti da catene del valore estere, come dimostrano le tensioni geopolitiche di questi anni. Il nostro orizzonte è lo sviluppo sostenibile”.

Ed è importante l’accenno di Gava, ripetuto poi più volte nel corso del workshop del 24 luglio, ai rifiuti estrattivi. A livello mondiale, infatti, sta crescendo sempre più l’interesse della coltivazione degli scarti minerari come fonte di materie prime. “In Italia – scrive ISPRA – le pregresse attività minerarie hanno lasciato un’eredità di circa 150 milioni di metri cubi di scarti di lavorazione (rifiuti estrattivi), che si trovano in strutture di deposito spesso fatiscenti e che rappresentano un serio problema ambientale, con inquinamento diffuso delle acque superficiali/sotterranee e dei suoli da metalli pesanti, cioè gli stessi che potrebbero essere recuperati. È necessario un cambio di paradigma: da rifiuti inquinanti da bonificare a potenziale risorsa da recuperare. Il regolamento EU riapre, sia pur con grande ritardo rispetto alle grandi economie minerarie mondiali, il tema dell’estrazione mineraria e delle problematiche sociali ed ambientali. Nell’ottica del rilancio della politica mineraria nazionale, occorre puntare su formazione e ricerca di base nel settore minerario, coinvolgendo oltre agli enti di ricerca, la comunità scientifica, le università e le scuole professionali”.

Aspetti affrontati anche dalla relazione di Fiorenzo Fumanti, geologo e ricercatore ISPRA nonché una delle figure chiave che spinge da anni per un ritorno delle estrazioni minerarie in Italia (ce ne aveva parlato qui). Nel suo intervento vengono rilanciate le aree più promettenti, quelle di cui si è parlato spesso in questo periodo, e vengono escluse al momento le esplorazioni marine – il cosiddetto Deep Sea Mining – anche se non si chiude del tutto la porta a questa opzione – lo dimostra anche la mappa che si trova sul portale GEMMA.

estrazioni italia mare

“Una legge vecchia come il mondo afferma che chi detiene le risorse naturali detiene il potere – ha affermato Fumanti – Tra estrazione e riciclo non c’è contrapposizione, non si può scegliere l’una o l’altra, serve una strategia integrata. Il caso del rame è emblematico: è uno dei materiali più recuperabili di tutti ma allo stesso tempo la sua richiesta continua ad aumentare. L’unico Continente che in questi anni ha ridotto le estrazioni è l’Europa. A mio parere i benchmarks fissati dalla Commissione col Critical Raw Materials Act sono molto ottimisti, specie la capacità di trattamento del 40%. Ed è grave che all’ultimo siano stati eliminati i provvedimenti sulla formazione all’interno del Critical Raw Materials Act, sarebbe stata una buona opportunità per il nostro Paese”.

Un mito da sfatare, secondo il geologo e ricercatore ISPRA, è che in Italia non ci siano quantità degne di note di materie prime critiche. “Si scrive persino nei sussidiari ma non è vero – dice – Altra fissazione è quella dei tempi lunghissimi necessari per le miniere estrattive, e anche in questo caso ci sono esempi che sfatano questa credenza, come ad esempio insegna la Sardegna. Quel che è certo è che al momento non abbiamo informazioni sugli impatti delle estrazioni nelle attività marine, per cui sarà necessaria un’analisi d’impatto ancora più accurata”.

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Ma sui RAEE si continua ad arrancare

Una parte dell’incontro del 24 luglio è stata moderata da Gian Andrea Blengini, ex consulente della Commissione Europea sul Critical Raw Materials Act (lo avevamo intervistato qui) che auspica un’Agenzia Internazionale dell’Energia esclusivamente dedicata alle materie prime critiche o perlomeno che dedichi a questi temi molto più spazio. “In Commissione il ruolo delle miniere è stato sempre chiarissimo, così come quello del riciclaggio e dell’economia circolare, sin dal 2008. Sono elementi che si intersecano e a nessuno di questi si può rinunciare”. Lo vuole l’Ue, lo vuole il governo, lo vogliono tutti: e così il ritorno delle estrazioni minerarie in Italia si delinea in maniera sempre più concreta.

Occorrerà vigilare affinché l’annunciata sostenibilità sia poi reale, con i singoli progetti che coinvolgano i territori e non li vedano per l’ennesima volta fonte di sfruttamento. E in ogni caso bisognerà esigere altrettanta, se non maggiore, attenzione sul fronte dell’economia circolare, agevolando il ricorso alle miniere urbane (a cui abbiamo dedicato uno Speciale, qui) e al riciclo dei RAEE. Su quest’ultimo punto proprio il giorno dopo il workshop di ISPRA la Commissione europea ha notificato una procedura di infrazione all’Italia per il mancato raggiungimento dei target di raccolta e riciclaggio dei rifiuti.

“La direttiva sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE) (direttiva 2012/19/UE, quale modificata dalla direttiva (UE) 2024/884) – scrive la Commissione – impone la raccolta differenziata e il trattamento adeguato dei RAEE e fissa obiettivi per la loro raccolta, nonché per il loro recupero e riciclaggio. Il tasso minimo di raccolta che gli Stati membri devono conseguire ogni anno è pari al 65% del peso medio delle apparecchiature elettriche ed elettroniche immesse sul mercato nello Stato membro interessato nei 3 anni precedenti o, in alternativa, all’85% del peso dei RAEE prodotti nel territorio di tale Stato membro. La maggior parte degli Stati membri non ha pertanto conseguito l’obiettivo di raccolta dell’UE. Gli Stati membri dovrebbero intensificare gli sforzi di attuazione al fine di rispettare i suddetti obblighi. A tale riguardo, gli Stati membri potrebbero basarsi sulle raccomandazioni specifiche per Paese individuate nella segnalazione preventiva sui rifiuti del 2023. Ciò aiuterà inoltre gli Stati membri a conseguire i prossimi obiettivi per il 2025, 2030 e 2035, stabiliti mediante le recenti modifiche della legislazione dell’UE in materia di rifiuti”. Non il migliore dei segnali per l’epocale sfida della transizione ecologica che ci attende.

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