In tanti ci siamo chiesti se i fondi del PNRR avrebbero davvero colmato le lacune e compensato i ritardi del Paese; se (almeno per l’economia circolare, di cui il nostro magazine si occupa) gli impianti finanziati sarebbero stati la risposta ai reali bisogni dei territori oppure se a ricevere il sostegno pubblico sarebbero stati progetti che giacevano da tempo nei cassetti, senza una vera pianificazione strategica (anche a causa dei tempi serratissimi e dei limiti che spesso intralciano le amministrazioni pubbliche). Un segnale negativo da questo punto di vista è arrivato durante la presentazione del Bilancio di sostenibilità di Erion, il sistema multi-consortile italiano di responsabilità estesa del produttore per la gestione dei rifiuti elettronici (ma anche dei rifiuti di prodotti del tabacco e tessili).
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Materie prime critiche, niente passi avanti col PNRR
Il quadro di partenza lo ha tracciato Claudia Brunori, vice direttore per l’economia circolare di ENEA: “In Italia, sugli impianti di trattamento dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE) in grado di produrre materie prime critiche, NCSP (come direbbe mia figlia): Non ci siamo proprio”. Il motivo è che “non ci sono impianti di produzione a partire da prodotti complessi a fine vita (che li chiamerei di riciclo). Ci sono tecnologia sviluppate a livello pilota, anche ENEA ne ha, ma manca lo step dell’industrializzazione. Questo fenomeno non riguarda solo l’Italia”. E se immaginavate che il PNRR sarebbe servito anche a colmare questo vuoto, resterete delusi: “Purtroppo anche a livello degli investimenti del PNRR non possiamo aspettarci grandi passi in avanti su questo aspetto”, ha aggiunto Brunori: “ENEA ha partecipato alla commissione di valutazione delle proposte, e da una prima valutazione informale sul bando dei progetti faro dedicato ai RAEE, la maggior parte delle proposte finanziate (circa il 90%) riguarda impianti che non prevedono il recupero delle materie prima critiche”.
La ricercatrice aggiunge dettagli: “Ci sono una decina di proposte che implementeranno tecnologie idrometallurgiche, quindi idonee al recupero delle materie prime critiche: di queste, presumibilmente 3 non saranno finanziate per motivi formali (almeno in base alle graduatorie allo stato attuale che ancora devono essere perfezionate e formalizzate), delle rimanenti 7, 4 andranno a recuperare metalli preziosi e solo tre sono dedicate alle materie prime critiche, di cui una sola alle terre rare”. Poi le conclusioni: “Direi che dobbiamo ancora fare tanto se come sistema Paese vogliamo sfruttare la nostra miniera di RAEE per produrre materie prime critiche. Non solo per rispettare gli obiettivi fissati da Critical Raw materials Act ma proprio per motivi di competitività industriale”.
Progetti troppo tradizionali
Alle stesse conclusioni arriva Roberto Morabito, direttore del Dipartimento sostenibilità dei sistemi produttivi e territoriali di ENEA: “Abbiamo la necessità di incrementare l’impiantistica: lo diciamo da anni. Pur essendo tutte le risorse del PNRR destinate all’economia circolare (l’1% del totale delle risorse stanziate) investite in impianti, le risorse sono ancora scarse. Necessitiamo certamente di impianti di trattamento, ma soprattutto di impianti innovativi per il recupero delle materie prime, in particolare le materie prime critiche. Su 73 progetti presentati, uno finanziato è dedicato alle terre rare, due a litio e ad altre materie prime critiche, sei al recupero di metalli preziosi. E basta. Dobbiamo necessariamente andare oltre”.
Sulla stessa linea d’onda Danilo Bonato, general manager di Erion Compliance Organization. “L’aspetto positivo – spiega a margine dell’evento – è che i soldi sono stati assegnati. Meno positivo è il fatto che il 90% progetti è di natura piuttosto tradizionale”. Si spiega con un esempio: “Il rame si estrae dai RAEE da 20 anni. Il rame è certo una materia prima strategica, ma se presenti un progetto per riciclare rame dai RAEE non stai portando innovazione”. Purtroppo, quindi, i progetti faro per la gestione dei RAEE, potenziale miniera urbana di materie prime critiche, “sono troppo sbilanciati su investimenti tradizionali, mentre c’è pochissimo di veramente innovativo e di frontiera”. Si poteva evitare questo problema? “Probabilmente sì, con una definizione più precisa delle aree di investimento”.
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