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sabato, Novembre 30, 2024

I rischi dell’estrazione di materie prime critiche sulle risorse idriche

Dato per scontato che nel futuro serviranno sempre più materie prime critiche è necessario analizzare lo stress che le estrazioni comportano sulle risorse idriche. Una ricerca del World Resources Institute (WRI) mostra che almeno il 16% delle miniere si trova in aree già sottoposte a livelli elevati di stress idrico

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Redazione EconomiaCircolare.com

Non c’è dubbio che nel futuro a breve e medio termine serviranno molte più materie prime critiche. Materiali e metalli come litio, cobalto, grafite, rame sono indispensabili per la costruzione di veicoli elettrici, pannelli solari, smartphone e altri dispositivi elettronici di consumo. Insieme a un auspicato aumento del riciclo, però, già da ora bisogna fare i conti con l’estrazione di queste risorse vitali. Tra i rischi più sottovalutati di queste pratiche c’è la correlazione con l’acqua.

La maggior parte dei metodi utilizzati oggi per estrarre le materie prime critiche, infatti,  richiede quantità significative di acqua per separare i minerali, raffreddare le macchine e controllare la polvere. I rifiuti provenienti dall’estrazione e dal processo, inclusi i minerali residui e le sostanze chimiche, possono inoltre contaminare l’acqua, con effetti potenzialmente gravi sull’ambiente e sulle popolazioni circostanti. Quali possono essere i rischi maggiori? In quali zone? E come è possibile far diventare questi processi più sostenibili?

A queste domande prova a rispondere una ricerca del World Resources Institute (noto anche con l’acronimo WRI). L’Istituto Mondiale delle Risorse è una organizzazione no profit di ricerca mondiale nata nel 1982 grazie ai fondi della Ellen MacArthur Foundation. Utilizzando i dati globali dell’Ufficio Geologico degli Stati Uniti (USGS) e lo strumento Aqueduct,  il World Resources Institute ha scoperto che almeno il 16% delle miniere, dei depositi e dei distretti di minerali critici su terra nel mondo si trova in aree già sottoposte a livelli elevati o estremamente elevati di stress idrico. Si tratta di aree dove agricoltura, industria e famiglie utilizzano regolarmente gran parte o la totalità della disponibilità di acqua. Senza una gestione adeguata, dunque, l’estrazione di minerali critici può essere estremamente intensiva dal punto di vista idrico, nonché inquinante, aggravando ulteriormente la scarsità d’acqua e acuendo i problemi di territori già complessi.

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Il triangolo del litio nell’America Latina

C’è un caso, nella ricerca del WRI, che più di altri racconta bene questa correlazione tra estrazione e acqua. Ed è il cosiddetto “triangolo del litio”, che si concentra nell’America Latina, più precisamente tra Cile, Argentina e Bolivia, dove si produce attualmente  oltre la metà dell’offerta globale di litio.

È noto che gli attuali processi per l’estrazione del litio, una delle materie prime critiche più utilizzate, soprattutto nelle batterie delle auto elettriche e nei pannelli solari, sono particolarmente intensi dal punto di vista idrico. Gli estrattori pompano la salamoia in grandi pozze sulla superficie delle distese di sale, dove l’acqua evapora e lascia il carbonato di litio, utilizzato poi per produrre tecnologie cosiddette pulite. Si tratta di tecniche di estrazione che possono portare alla salinizzazione dell’acqua dolce e al depauperamento delle risorse idriche superficiali e sotterranee nelle vicinanze.

Nel Salar de Atacama del Cile, una delle principali regioni minerarie del Paese, l’estrazione di litio e rame ha consumato oltre il 65% dell’approvvigionamento idrico locale, impoverendo l’acqua disponibile per le comunità agricole indigene in una regione già scarsa di risorse idriche. Le comunità indigene in Cile e in Argentina hanno anche segnalato la contaminazione dell’acqua dolce utilizzata per bere, per il bestiame e per l’agricoltura con rifiuti tossici provenienti dalle operazioni di estrazione del litio.

Gli impatti sull’acqua dolce non sono stati riscontrati soltanto in Cile né unicamente nell’industria del litio. Scenari simili si verificano infatti in molte località minerarie, per quel che riguarda l’estrazione di molte altre materie prime critiche. Preoccupazioni simili ad esempio  sono già state segnalate per il cobalto nella Repubblica Democratica del Congo e per la grafite in Cina.

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Nuove estrazioni? Nuova sostenibilità

Dalla ricerca del WRI emerge dunque un’analisi dei dati parecchio preoccupante: almeno il 16% delle miniere, dei depositi e dei distretti globali di minerali critici situati sulla terra si trova in aree con elevati o estremamente elevati livelli di stress idrico di base. In queste località, almeno il 40% dell’approvvigionamento idrico è necessario per soddisfare la domanda esistente, il che significa che esiste già una forte competizione per l’acqua tra le esigenze dell’agricoltura, dell’industria e delle utenze domestiche. Già così a volte gli ecosistemi d’acqua dolce non bastano, figurarsi se a ciò si devono aggiungere le esigenze dell’industria mineraria.

In più un ulteriore 8% delle località in cui sono state individuate notevoli quantità di materie prime critiche si trova in aree aride e a basso consumo d’acqua, dove le risorse idriche disponibili e la domanda totale d’acqua sono molto basse. Aumenti rapidi nell’attività mineraria in queste regioni potrebbero facilmente aumentare la domanda d’acqua e spingere queste località con risorse idriche già scarse a livelli di stress idrico elevati o estremamente elevati. Si tratta di zone che, sommate, comprendono una notevole parte del globo: gli Stati Uniti, l’Australia, il Sudafrica, l’India, la Cina, la Mongolia, la Russia, il Messico, il Cile e la Namibia. La ricerca mostra infine che lo stress idrico sta comunque aumentando in molte aree del mondo per via dei cambiamenti climatici.

Ecco perché lo studio di World Resources Institute si chiude con un appello. Data per assodata la necessità di maggiori materie critiche, e dato per certo il fatto che da sola l’economia circolare non potrà bastare (anche se il report non cita l’importanza di concetti fondamentali come la riduzione e la progettazione), le nuove estrazioni dovranno puntare gli investimenti maggiori in una maggiore sostenibilità delle tecnologie. Altrimenti la transizione ecologica dalle fonti fossili alle energie rinnovabili diventerà una nuova forma di estrattivismo. Con zero emissioni ma lo stesso impatto ambientale. A partire da una risorsa vitale come l’acqua. Non ce lo possiamo permettere.

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