Con la proposta della Commissione europea di un regolamento sulle materie prime critiche, che risale a marzo e attualmente nella fase di negoziazione tra le istituzioni dell’Unione europea, si aprono nuovi scenari per la transizione ecologica e digitale. Come è noto, infatti, con il Critical Raw Materials Act l’Ue punta a una maggiore autonomia nell’approvvigionamento di questi materiali, minerali e metalli, che sono cruciali per la produzione di tecnologie chiave utilizzate in quattro settori strategici: energie rinnovabili, mobilità elettrica, digitale, difesa e aerospazio.
Accanto alla ripresa delle estrazioni di elementi come litio, cobalto e terre rare – con gli impatti ambientali e le opposizioni dai territori individuati di cui tener conto – i 27 Stati membri mostrano di voler puntare anche sull’economia circolare e sul riciclo. L’obiettivo fissato dalla Commissione è di arrivare al 2030 con il 15% del consumo che provenga dal riciclo. E in questo senso la filiera con maggiori opportunità è quella dei RAEE, i rifiuti elettrici ed elettronici.
L’ultima analisi sul tema realizzata per Erion dall’European House – Ambrosetti è stata presentata ieri a Roma, in occasione dell’evento “Materia Viva. Le sfide del Critical Raw Materials Act per un futuro sostenibile“, e aggiorna un precedente lavoro del 2022 tenendo conto degli scenari più recenti.
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Materie prime critiche, il contesto europeo
Delle 30 materie prime critiche, classificate secondo i parametri dell’importanza economica e del rischio di fornitura, lo studio Ambrosetti ricorda che la Commissione Ue ha ampliato il numero, arrivando a 34, aggiungendone sei e togliendone due. Ecco la lista aggiornata delle materie prime critiche secondo l’Unione europea.
Va specificato, tuttavia, che “rame e nickel non sono propriamente materie prime critiche, in quanto non soddisfano i criteri relativi a rischio di fornitura e importanza economica, ma sono stati inseriti ugualmente dalla Commissione Europea perché ritenute materie prime strategiche” (sulla differenziazione tra materie prime critiche e materie prime strategiche leggi l’approfondimento di EconomiaCircolare.com).
Due sono gli elementi principali da tenere a mente sul contesto europeo in questo versante: l’importanza primaria, e ancora più crescente, delle materie prime critiche, e la fortissima dipendenza dalle importazioni. Sul primo versante lo studio Ambrosetti ha ricostruito il valore della produzione industriale riconducibile alle materie prime critiche “a partire dal loro impiego nei principali ecosistemi industriali e, di conseguenza, nelle principali tecnologie low-carbon. In particolare, sono stati censiti per la prima volta tutti i settori coinvolti dalle 34 materie prime critiche – così come definite nel censimento 2023 della Commissione Europea – con un approccio bottom-up, andando ad analizzare tutte le tecnologie e i prodotti nei quali sono coinvolte”. Il dato è impressionante: nei 27 Stati membri dell’Unione europea le materie prime critiche contribuiscono alla generazione di circa 3,3 trilioni di euro (3.300 miliardi).
Numeri che diventano preoccupanti se si va a guardare la fortissima dipendenza delle importazioni estere. Con un Paese che fa la parte del leone. “La Cina rappresenta oggi il principale fornitore mondiale di materie prime critiche per il 65%, facendo leva sullo sfruttamento dei giacimenti interni e sul posizionamento globale delle proprie compagnie minerarie – si legge nel report – Seguono il Sud Africa (10%), la Repubblica Democratica del Congo (4%) e gli Stati Uniti d’America (4%), che insieme arrivano al 18%. A supporto di questo posizionamento, basti dire che un terzo di tutti i nuovi giacimenti di terre rare è localizzato nel sottosuolo cinese, il che ha consentito a Pechino di posizionarsi ai vertici della catena di distribuzione di terre rare e materie prime critiche. La Cina detiene non solo il primato nelle fasi a monte, ma rappresenta anche un importante fornitore di beni intermedi a livello globale, nonché nelle fasi a valle relative al prodotto finito e ai singoli componenti”.
A tale scenario vanno aggiunte le conseguenze della guerra in Ucraina, che dopo aver modificato le strategie energetiche dell’Unione europea promettono di fare altrettanto sul versante delle materie prime critiche. Come ricorda ancora lo studio Ambrosetti, infatti, va tenuto in conto che la Russia è il Paese leader nella produzione di 13 tra le materie prime classificate come critiche dalla Commissione europea. Con quote rilevantissime di palladio (41%), platino (12,2%) e alluminio (5,8%). Dall’altra parte anche l’Ucraina, pur se con quote notevolmente inferiori di fornitura rispetto alla Russia, resta comunque il quinto produttore mondiale di titanio e manganese. Nonché del cruciale ferro. Lo studio sottolinea che “in generale, alcuni di questi materiali sono indispensabili per le catene del valore strategiche dell’Ue: i metalli del gruppo del platino per l’industria automobilistica, il titanio per l’industria aerospaziale“. Di fronte a questo quadro, e all’incertezza di un conflitto che si protrae da più di un anno e mezzo e di cui è difficile scorgere la fine, la strada da perseguire resta quella di una maggiore autonomia.
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Materie prime critiche, il contesto italiano
Se l’Europa piange, l’Italia non ride. Il nostro Paese, infatti, è storicamente povero di materie prime. Mentre, dal punto di vista politico, la transizione ecologica e la transizione digitale fanno ancora fatica ad attecchire. Per non restare indietro serve recuperare, anche, il gap sulle materie prime critiche.
Nella propria analisi lo studio Ambrosetti ha ricavato “i settori di riferimento all’interno della produzione industriale italiana, individuando una short-list di attività industriali il cui valore ne risulta fortemente dipendente (15 principali produzioni industriali)”. Il risultato non è dei più incoraggianti. “Dai dati risulta come circa 686 miliardi di euro siano abilitati dalle materie prime critiche, che, nonostante vengano impiegate in quantità limitate, sono quindi essenziali per il 38% del PIL del Paese. L’Italia risulta, inoltre, il primo Paese per incidenza sul PIL del valore della produzione industriale sostenuto da materie prime critiche, rendendo quindi la nazione significativamente vulnerabile”. Solo nell’ultimo decennio, inoltre, “il valore della produzione industriale italiana sostenuto da CRM è aumentato del 35%, a indicarne la crescente importanza economica nei principali ecosistemi manifatturieri del nostro Paese”.
Se è vero, dunque, che un contributo al rafforzamento dell’indipendenza da Paesi terzi proviene dai rifiuti elettronici correttamente raccolti e riciclati” va fatto notare che attualmente i RAEE raccolti correttamente sono pari al 37%, a fronte di un obiettivo europeo al 65%. “È bene poi evidenziare – si legge ancora nello studio – come il tasso di raccolta sia ancora più basso per i RAEE contenenti un maggiore quantitativo di CRM, quali le piccole apparecchiature elettroniche (cellulari, tablet, laptop, console) e i RAEE professionali – ovvero quei rifiuti derivanti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche (AEE) destinate ad attività amministrative ed economiche. In generale, sia per i RAEE domestici che per quelli professionali, il fenomeno dei flussi paralleli rappresenta ancora una grossa criticità sia per gli impatti ambientali di un trattamento non corretto che per il mancato recupero della maggior parte dei CRM in essi presenti, considerato che gli operatori informali sono interessati alle frazioni metalliche facilmente riciclabili”.
Ma cosa accadrebbe se da qui al 2030 l’Italia raggiungesse l’obiettivo dall’Unione europea di un riciclo dei al 65%? È lo scenario ipotizzato dallo studio Ambrosetti. “Si potrebbero avviare al corretto trattamento 312mila tonnellate di RAEE domestici e professionali in più. L’aumento dei volumi raccolti e la realizzazione di impianti adeguati al loro riciclo, potrebbe portare ad un recupero di circa 17mila tonnellate di materie prime critiche, pari al 25% di quelle importate dalla Cina nel 2021“.
Oltre ai benefici di un minor approviggionamento dall’estero sono stati valutati anche i vantaggi ambientali ed economici. Nel primo caso si otterrebbe la riduzione di circa 2,5 milioni di tonnellate di CO2, mentre nel secondo caso si genererebbe un vantaggio economico che è stato stimato in 31 milioni di euro tra il 2025 e il 2030.
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Materie prime critiche, dove agire? I 5 punti dello studio
Data per assodata l’importanza di puntare sul riciclo dei RAEE per diventare più indipendenti nelle forniture di materie prime critiche e accelerare in questo modo sulle transizioni ecologica e digitale, cosa serve fare? Lo studio Ambrosetti realizzato per Erion individua 5 punti cardine: normativa, volumi, dotazione impiantistica, produzione manifatturiera e sensibilizzazione.
Sulla normativa, scrive lo studio, “è auspicabile, allo scopo di semplificare gli adempimenti a carico delle imprese e il sistema dei controlli, rilasciare il provvedimento d’iscrizione all’Albo Nazionale Gestori Ambientali solo in formato digitale, eliminare l’attestazione redatta dal responsabile tecnico dell’impresa o dell’ente, dell’idoneità dei mezzi di trasporto in relazione ai tipi di rifiuti da trasportare, e semplificare gli oneri connessi alla microraccolta di rifiuti. Inoltre, bisognerebbe prevedere modalità di raccolta innovative per i RAEE domestici e professionali (es. raccolta domiciliare e negli uffici, contenitori intelligenti) con procedure semplificate di autorizzazione”.
Per quanto riguarda i volumi, invece, “si rende necessario sviluppare e incrementare la capillarità dei luoghi di raccolta per i RAEE domestici valutando la possibilità di estendere questo servizio anche nei centri città, nelle scuole e in altre attività commerciali e professionali. Pertanto, risulta essenziale adeguare la rete dei centri di raccolta esistenti, che per ora è distribuita territorialmente in modo disomogeneo e costituita da punti di raccolta disciplinati in modo differenziato. Inoltre, si rende necessaria la realizzazione di programmi semplificati di raccolta dei RAEE professionali che tengano in considerazione le specificità delle reti di distribuzione e di installazione dei prodotti ad uso professionale”.
Sull’impiantistica “è opportuno ammodernare gli impianti esistenti, anche sfruttando le risorse messe a disposizione dal PNRR. Ad oggi i progetti flagship di finanziamento per progetti di innovazione dedicati all’estrazione e riciclo delle materie prime critiche risultano marginali e pari circa al 10% del totale degli investimenti previsti (la restante parte dei progetti rimane focalizzata solo sul pre-trattamento dei RAEE). Risulta inoltre necessario ridurre l’incertezza normativa e le tempistiche troppo lunghe per ottenere le necessarie autorizzazioni alla realizzazione di nuovi impianti. Nello specifico, per quanto riguarda il procedimento volto al rilascio dell’autorizzazione degli impianti di trattamento dei rifiuti, occorrerebbe privilegiare il ricorso allo strumento della conferenza di servizi garantendo, inoltre, tempi certi. Infatti, la durata media effettiva della realizzazione di impianti per il trattamento dei rifiuti si attesta sui 4,3 anni, di cui 2,7 assorbiti dai tempi di progettazione e autorizzazione“.
Importante, poi, è l’aspetto che riguarda la produzione manifatturiera: una volta ottenuti più RAEE, infatti, bisogna poi essere in grado di sfruttare le materie prime seconde che vengono prodotte. Per questo motivo, si legge ancora, “sarà fondamentale creare degli incentivi (o introdurre requisiti nelle valutazioni ESG) affinché le imprese siano disposte a utilizzare materie prime seconde nei propri processi produttivi, a fronte di prezzi maggiori e standard qualitativi – almeno inizialmente – inferiori (che richiedono processi complessi di raffinazione)”.
Infine serve incrementare notevolmente la sensibilizzazione sui RAEE “affinché questi rifiuti vengano conferiti correttamente, invitando i cittadini a sfruttare i servizi che hanno a disposizione, attraverso campagne di comunicazione volte ad accrescere il livello di consapevolezza. Gli italiani, infatti, mostrano una scarsa conoscenza e attitudine alla corretta gestione dei RAEE: meno della metà (44%) ritiene di averne sentito parlare e due terzi (67%) ritiene di averne in casa almeno uno da smaltire. Sarebbero, inoltre, auspicabili campagne di comunicazione rivolte a cittadini e consumatori sulle modalità a loro disposizione, già attive, per il ritiro dei RAEE: Uno contro Uno e Uno contro Zero”.
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