Senza misurazione non può esserci valutazione: è difficile capire se una politica aziendale ispirata ai principi dell’economia circolare è efficace o sviluppare strategie innovative e sostenibili senza adottare metriche specifiche che permettono di monitorare i fattori fisici, economici, sociali e organizzativi del sistema in cui si inseriscono queste politiche. Da un lato è utile per chi vuole smascherare le aziende disoneste e i casi di greenwashing, dall’altro per aiutare concretamente le imprese che vogliono veramente migliorare la circolarità della propria attività economica.
Con questa idea di fondo, da quasi quindici anni, il Laboratorio Sustainability Management del Sant’Anna di Pisa e il suo spinoff Ergo hanno messo a punto un tool a supporto delle imprese. “È un metodo e un approccio originale per la misurazione delle performance relative all’economia circolare, oltre che alla quantificazione dei benefici ambientali, di efficienza ed economici conseguibili grazie a una maggiore circolarità dei processi e dei prodotti aziendali”, premette Fabio Iraldo, professore di Management al Sant’Anna e impegnato nel progetto fin dalla sua nascita.
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Una diagnosi sulla circolarità
“Questo metodo di lavoro è maturato a partire dal 2009 dalla riflessione sulle esigenze delle singole aziende, che possiamo riassumere in tre tipologie di necessità”, racconta Iraldo andando più nel dettaglio. “Le aziende comprendevano l’importanza dell’economia circolare, sebbene inizialmente solo in ottica di riciclo e non preventiva. Tuttavia – continua il professore del Sant’Anna – quando si passava a temi più complessi come l’uso efficiente delle risorse, la dematerializzazione, il prolungamento della vita utile degli imballaggi, avevano difficoltà ad avere un quadro generale su cosa si dovesse fare.
Il primo obiettivo del tool, quindi, è simile al check up dal medico e permette di capire se l’azienda ha già adottato o meno alcune politiche circolari. “Il concetto di economia circolare – spiega Iraldo – è stato disaggregato nei vari ambiti del ciclo di vita: approvvigionamento, design dei prodotti, servizi, logistica, cicli industriali. Per ciascuno di questi ambiti sono state elaborate una serie di domande ad hoc per aiutare le aziende nella successiva diagnosi”. Domande tipiche sono, ad esempio: come sono scelte le materie prime? Quali materie prime sono utilizzate? Qual è la provenienza e come avviene l’approvvigionamento? C’è il ricorso a materie prime seconde?
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A quali esigenze rispondono gli indicatori
Come in ogni visita medica, dopo l’anamnesi e le successive analisi, si passa alla misurazione dei valori. “Abbiamo perciò lavorato sulla costruzione di benchmark di riferimento per la valutazione: applicando più volte il tool nel tempo sono stati raccolti dati a sufficienza per avere una banca dati da cui ricavare dei valori medi di riferimento che rappresentino le imprese ‘in salute’ appartenenti a un certo settore o filiera”, aggiunge Iraldo.
È la risposta alla seconda esigenza delle aziende: capire come si posizionano rispetto alla concorrenza sulle tematiche dell’economia circolare, quali sono i punti di forza e i punti deboli. Per valutarlo ci sono indicatori specifici. Da un lato quelli di performance, che misurano in numeri le prestazioni dell’azienda nell’economia circolare, ad esempio riguardo alla produzione di rifiuti, al loro riutilizzo, alla durabilità dei prodotti, alla dematerializzazione del packaging.
“Dall’altro si misura l’impegno nella sostenibilità – aggiunge Iraldo – ad esempio se la flotta per la distribuzione dei prodotti è stata elettrificata, se c’è stato un aumento nell’utilizzo di materie prime seconde, quanti prodotti sono stati ridisegnati per rispondere alle esigenze dell’economia circolare. Infine – conclude il professore – ci sono indicatori che valutano gli aspetti più immateriali, ovvero quanto l’azienda ha assorbito i principi dell’economia circolare nell’organizzazione, nel personale, nel business”.
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Perché il tool è utile alle aziende
In presenza di valori sballati, il medico suggerisce azioni o prescrive una cura per farli rientrare ai livelli normali. “Allo stesso modo – prosegue Iraldo – nel momento in cui presentiamo i risultati del report finale, consigliamo alle aziende una serie di azioni concrete per migliorare dove ci sono carenze, in modo possano incrementare il livello di circolarità rispetto alla concorrenza, in un’ottica di efficienza non solo ambientale, ma orientata al ritorno economico, perché non sono assolutamente in contrasto i due aspetti”.
L’esempio è la miglior fonte di ispirazione e perciò i consulenti del Sant’Anna e di Ergo hanno raccolto le best practices incontrate in quasi quindici anni di lavoro in un database di oltre 400 casi aziendali, che vengono sottoposti alle imprese a seconda dell’intervento da fare o del settore di riferimento per suggerire soluzioni concrete. “I nostri principali clienti – spiega Iraldo – sono grandi società oppure associazioni di categoria, che a loro volta inviano il tool ai loro associati: per questo c’è una certa dose di customizzazione nel tool, senza naturalmente ovviare alla conformità con i principi generali”.
Il tool, inoltre, data la sua funzione a supporto delle aziende, è in continua evoluzione per adeguarsi agli stimoli normativi dell’Unione europea, in modo da essere sempre aggiornato ai requisiti sempre più stringenti sui temi della sostenibilità e dell’economia circolare. Basti pensare all’ultima direttiva CSRD e alle disclosure sulla sostenibilità: per stilare i report di sostenibilità, infatti, le aziende hanno bisogno di sapere come reperire le informazioni sensibili, come misurarle e valutarle. Lo stesso lavoro sarà necessario per rendere compatibile il tool con la tassonomia, la direttiva ecodesign e del diritto alla riparazione.
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L’evoluzione del dibattito sugli indicatori
Indicatori e strumenti di valutazione affidabili sulla sostenibilità sono, del resto, centrali anche a livello istituzionale. L’Unione europea ha sviluppato recentemente la Consumption Footprint per calcolare gli impatti aggregati di chi consuma e questo è un ulteriore stimolo e sfida per chi si occupa di misurazioni, sostiene Iraldo, anche se il professore di management è scettico che il nuovo indicatore verrà “digerito” in fretta dalle aziende.
“La logica della Consumption Footprint è molto utile per estrapolare informazioni sulle fasi a più elevato impatto come l’utilizzo di risorse, i consumi, lo smaltimento degli imballaggi, ma a livello aziendale è interessante solo se permette di capire meglio comportamenti e scelte dei consumatori in modo da costruire un’offerta che possa rispondere a queste esigenze per migliorare la stessa consumption footprint”, spiega.
Su scala globale, poi, c’è il discorso dei planetary boundaries: indicatori legati ai limiti fisici di sopportazione della Terra su aspetti come la biodiversità, il capitale naturale e i servizi ecosistemici, che per Iraldo dovranno inevitabilmente integrarsi con quelli dell’economia circolare. “C’è la necessità di elaborare una strategia aziendale che porti a valorizzare il rapporto con il capitale naturale a disposizione, in modo che non sia visto solo come un input per i processi produttivi, ma come una risorsa competitiva. E questo, naturalmente, passa dalla capacità di misurare i planetary boundaries in relazione alle stesse aziende, oltre che agli Stati”, conclude il professore del Sant’Anna. Il futuro, e la sorte del Pianeta, passa (anche) da qui.
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